Per la prima volta, a 212 anni dalla sua morte, “Fra’ Diavolo” è stato commemorato nel luogo in cui è sepolto: nella chiesa di S. Maria del Popolo, nel cortile monumentale dell’Ospedale degli Incurabili. L’evento si è tenuto domenica 11 novembre, con inizio alle ore 11,30. 4 gli interventi volti ad approfondire la figura del colonnello borbonico, duca di Cassano allo Ionio : Michele Pezza, un discendente del guerrigliero, ha parlato del suo omonimo ; Erminio de Biase ha relazionato su “Quell’uom dal fiero aspetto…”; Fernando Riccardi ha illustrato la situazione del reame di Napoli ai tempi del capomassa; “ dulcis in fundo”, Alfredo Saccoccio, uno studioso che ha dedicato una decina di libri e centinaia di articoli per la riabilitazione del legittimista, citando come prova i documenti originali consultati e tradotti negli archivi storici parigini, ha dato una lettura approfondita del controverso personaggio e dell’incontestabile abilità del coraggioso ufficiale, che non meritava di subire l’ignominiosa morte riservata ai briganti di strada decretatagli da un tribunale straordinario. Il Pezza non ha che trentacinque anni, cioè tutta l’eternità dinanzi a lui.
“ Fra’ Diavolo – spiega lo storico aurunco – fu uno straordinario personaggio che fece parlare di sè – e fa parlare ancora – sotto tutti i profili.
Un incredibile protagonista, dotato di un eccezionale carisma personale, che ha infiammato, come forse nessun altro, la curiosità e l’interesse popolare e che ha suscitato un fascino irresistibile su storici, romanzieri, poeti, commediografi, musicisti, registi, pittori. Il bastaio di Itri, diventato colonnello e duca di Cassano allo Ionio, fu celebre in tutta Europa più di un maresciallo napoleonico, ricevuto come un principe da Sir William Sidney Smith, contrammiraglio inglese, comandante in capo della lotta britannica del Mediterraneo. Si tratta di Michele Pezza, alias “Fra’ Diavolo”, grottesco e contrastante binomio, simbolo di scaltrezza e di invincibilità, a cui teneva moltissimo, che suonò come un incubo alle orecchie di ogni soldato francese calato nel Bel Paese tra la fine del Settecento e i primi anni dell’Ottocento. I francesi delle armate di Napoleone Bonaparte che invasero il regno di Napoli lo definirono “brigante” perché si oppose a loro con tutte le forze. In realtà, lui non era altro che un patriota, un guerrigliero che lottava per la propria terra, il Sud d’Italia, essendo legato, in maniera inscindibile, alla cultura del proprio Paese, con un profondo amore per il focolare domestico, quello dei padri, reso sacro dalle tombe ancestrali.
Per Michele Pezza la patria non era soltanto una parola vuota di significato; la patria voleva dire tre cose : il suolo, gli abitanti e la religione, trasmessa di generazione in generazione. Il leggendario ribelle di Terra di Lavoro, trascinatore di uomini, dal cuore generoso e nobile, fu sempre pronto ad osare tutto per il trono e per la Chiesa. Egli non sapeva tradire (e ne aveva fornito mille e mille prove) la parola data a Ferdinando IV, quello del duplice esilio volontario in Sicilia, che non meritava un suddito e un difensore dal carattere e dal valore del Pezza, la cui rapidità di mosse, la cui furbizia, i cui espedienti, la cui energia, furono funesti ai francesi e furono studiati militarmente, come è affermato da Cesare De Laugier, conte di Bellecour. I sistemi applicati da “Fra’ Diavolo” in battaglia colpirono tutto il Vecchio Continente. Egli rivelò, nella temperie storica, virtù militari, con abili colpi di mano, con agguati e trabocchetti astutamente preparati, rendendo impraticabili le comunicazioni sull’Appia e ogni rifornimento tra Roma e Gaeta, dimostrandosi ben più capace di tanti generali ed ufficiali borbonici, molti dei quali stranieri, invidiosi delle sue imprese, che riempirono le gazzette di Parigi.
La guerriglia fu efficace, perché Michele, che si serviva di trovate inesauribili e lungimiranti, seppe darle una struttura unitaria. Così essa si espanse, a macchia d’olio, in Terra di Lavoro. La guerriglia fu particolarmente feroce, implacabile, senza esclusione di colpi. I suoi promotori affermavano un’identità rifiutando una tirannide, che bruciava villaggi, tagliava teste, saccheggiava, stuprava e si dava a crudeltà di ogni tipo.
Spesso il nome di Michele Pezza è associato a quello di “celebre brigante”. Non ci sorprendiamo. E’ più difficile sradicare una leggenda che promuovere la verità e, quanto a quello che concerne “Fra’ Diavolo”, come abbiamo già accennato, romanzieri, cineasti e musicisti l’hanno ormai troppo diffusa da lunga pezza, senza parlare delle vecchie passioni antiborboniche, che hanno trovato gusto a deformare la realtà storica. I francesi – è noto – dettero quell’appellativo a tutti i realisti
he lottarono nel 1799 e 1806 contro la loro violenta conquista, come l’avevano regalato, nel 1793, ai generosi figli della Vandea, sterminati nell’abominevole “Guerra degli Ignoranti” da tre eserciti, che li aggredirono da tre parti, poi infamati in tutti i modi e con tutti i mezzi, allo scopo di screditarne l’azione di valore e di fedeltà, oltre che di coraggio immenso.
Quanto al Pezza, nelle due occupazioni francesi del reame di Napoli, egli rispondeva al terrore dei transalpini con il terrore, inalberando la questione di identità e di orgoglio nazionale. Per lui, che aveva cuore aurunco, di quelli infiammabili, la rivoluzione francese fu un “virus”, che ha avvelenato, con la sua profonda irreligiosità, la società, scomponendola e distruggendo tutte quelle istituzioni e quei simboli, propri della Tradizione. Il legittimista aveva capito che, dietro il suo capillare e sanguinoso dispiegarsi in ogni strato della società civile, c’era stata l’implacabile dittatura delle società di pensiero, che erano formate da logge massoniche, da gente di penna e di parole, da avvocati, da giudici, da qualche medico. Essi si riunivano per discutere un po’ di tutto, “in astratto”, lontani dai bisogni reali del popolo, che pur dicevano di voler redimere, avendo voluto applicare meccanicamente le idee, le leggi, le istituzioni francesi, mentre il popolo del regno di Napoli era diverso di carattere, di tradizione, di condizioni sociali, civili, economiche. Esso era dalla parte degli odiati “Trono e Altare.
Michele Pezza se lo sono lungamente conteso, trascinandoselo capricciosamente nella luce della storia o nella penombra della leggenda. Dalla famosa opera comica di Scribe e Auber ai romanzetti popolari, dalle oleografie al vasellame da tavola, dai conventi alle galere, povero e glorioso guerrigliero ! Il suo nome, in tempi recenti, è stato finanche umiliato sulle bottiglie dei liquori e su vasetti di crema da barba! ”