Fu poeta di estrema e cristallina chiarezza
Vincenzo Cardarelli, nato a Corneto Tarquinia nel 1887 e morto a Roma nel 1957, ebbe un’infanzia infelice a causa sia della propria origine di figlio illegittimo sia del distacco della madre. Autodidatta, esordì nel giornalismo partendo dal gradino più basso fino a collaborare con “La voce” e “l’Avanti!” e divenire direttore de “La fiera letteraria”. Sin da ragazzo aveva nutrito l’ambizione di raggiungere Roma e la capitale infatti divenne la sua città. Quando l’Avanti! nel 1911 venne trasferito a Milano, Cardarelli preferì riscuotere la liquidazione e restare a Roma. Amava tanto la città eterna e il suo caffè preferito era l’Aragno.
Avverso a tutte le avanguardie del Novecento, fu fautore di un reinserimento della letteratura italiana contemporanea entro il solco della tradizione classica: Dante, Petrarca e specialmente Leopardi, in particolar modo quello delle Operette Morali. Poeta definito discorsivo, attribuì enorme importanza al “ragionare”. I grandi temi filosofici come quelli del fluire del tempo, del trascorrere delle stagioni, delle memorie, sono spesso risolti in chiave autobiografica. La sua scrittura risulta chiara e con cadenza misurata; si sente, leggendola, quanto fosse vivo in Cardarelli il bisogno di una poesia tesa alla conoscenza dello spirito e alla verità intellettuale. Rigore stilistico e compostezza sono alla base della sua produzione poetica. Ma l’amore per la forma non ha mai scalfito l’anima dei suoi versi, profondi e allo stesso tempo controllati. Quel lavoro di potatura e di tagli (un terzo del totale) che Ezra Pound fece sul manoscritto “The Waste Land” di Eliot (la fucina della poesia moderna), possiamo dire che il nostro Cardarelli lo fece direttamente sui suoi limpidi versi.
Tra le sue opere più notevoli ricordiamo “Il sole a picco” (1928), “Parliamo dell’Italia” (1931), “Villa Tarantola” (1948, Premio Strega).