Giuseppe Conte, Giovanni Acampora e Marino Masiero sono i protagonisti del convegno “Verso la Transizione Ecologica” celebrato a Torre Porta Nuova (Venezia).
“Un excursus dai dati dell’Osservatorio dell’Economia del Mare fino ad arrivare alle scelte più importanti in linea con il Green Deal e il nuovo approccio dell’Unione Europea alla crescita blu verso la transizione ecologica e la sostenibilità”
Il Rapporto sull’Economia del Mare della Camera di Commercio di Frosinone Latina, giunto alla sua IX edizione, elaborato dall’Istituto G. Tagliacarne e da Unioncamere traccia le coordinate dell’economia blu del nostro Paese e ne definisce la dimensione economica di un sistema complesso, oggi, più che mai, cruciale per una ripresa economica del Paese e più in generale di tutta l’Europa.
Questo studio serve a tutti noi per comprendere il perimetro delle attività economiche, offrendo spunti interpretativi in cui le risorse naturali rappresentano il centro dell’agire.
E’ proprio il mare rappresenta un fattore strategico per molte attività economiche, perché la forza dell’elemento marino è rintracciabile non solo nel paesaggio, ma nell’economia, nella storia e nelle culture locali, influenzando la vita delle comunità coinvolte.
Le metriche della blu Economy che sono raccontate in questo rapporto restituiscono una dimensione che nel panorama europeo è già ampiamente riconosciuta attraverso la nuova politica economica europea del Green Deal.
Infatti l’ultimo rapporto dell’Unione Europea sulla blue economy ci dice che ammontano a 218 miliardi di euro di valore aggiunto e 5 milioni di occupati; mentre in Italia il valore aggiunto prodotto dalla blue economy è arrivato a 47,5 miliardi di euro, pari al 3,0% del totale dell’economia italiana.
Seppure le metodologie usate dall’UE e dal nostro osservatorio sono diverse, il confronto seppur non puntualissimo ci dice che il nostro Paese realizza a grandi linee il 22% del valore aggiunto europeo ed impiega il 18% della forza lavoro europea.
Altro aspetto che emerge dal rapporto è che la Blu Economy si caratterizza per la sua trasversalità intercettando ed interconnettendo diverse filiere produttive: il settore ittico, acquicoltura e lavorazione del pesce, l’industria delle estrazioni marine, la cantieristica navale e nautica da diporto, il turismo sportivo e ricettività costiera, il trasporto merci e passeggeri.
Un ulteriore elemento da evidenziare è che esiste un effetto moltiplicatore in quanto ogni euro prodotto dalla Blue Economy ne ha attivati 1,9 nel resto dell’economia per un valore aggiunto creato nel resto dell’economia di ulteriori 89,4 miliardi di euro, per un ammontare produttivo complessivo che sfiora i 137 miliardi di euro (l’8,6% del valore aggiunto prodotto dall’intera economia nazionale).
Una dimensione imprenditoriale che sfiora le 209 mila unità (di cui il 90% nei comuni costieri), pari al 3,4% del totale delle imprese nel Paese, ed esprime 893,6 mila occupati che incidono per il 3,5% sul totale dell’occupazione del Paese.
Anche guardando a quanti sono stati più penalizzati dalla crisi, i giovani e alle donne, emergono indicazioni positive:
– 9 imprese della blue economy su 100 sono “capitanate” da under 35 (oltre 19 mila le imprese giovanili), e oltre 1/5 sono imprese in rosa (45 mila) entrambi con l’incidenza più significativa nelle attività turistico-ricettive.
Rispetto alla cantieristica navale, un altro dato da sottolineare con orgoglio è che, nonostante la pandemia, le vendite all’estero nell’ultimo anno sono cresciute intorno al 10%, a fronte del calo del 15% riferito all’intera economia.
Un risultato che conferma la leadership del nostro Paese.
Posto che esiste una pluralità di settori, non si può trascurare che il più significativo, il turistico-ricettivo (46% delle imprese, 38% degli occupati e 31% del valore aggiunto), è stato il più penalizzato delle misure e le restrizioni imposte a contrasto della diffusione del virus.
Tra l’altro è evidente che se il nostro Paese è estremamente competitivo nei settori più tradizionali, come le attività turistico-ricettive, il trasporto marittimo, la filiera ittica, la cantieristica, tuttavia ci aspettiamo un cambio di passo nei settori in cui è più ampio il ritardo come le biotecnologie blu, l’eolico offshore, la ricerca e sviluppo.
La crisi ci ha imposto nuove regole e cambierà il modo di fare impresa e noi siamo pronti a seguire questa evoluzione; abbiamo una opportunità trasformativa irripetibile in cui noi ci vogliamo essere come sistema nazionale camerale e come Assonautica in rappresentanza delle imprese.
Il Green Deal europeo definisce obiettivi ambiziosi da raggiungere entro il 2030 e l’azione dell’Unione Europea sta convergendo con decisione sugli obiettivi di neutralità climatica (riduzione delle emissioni di carbonio di almeno il 55% entro 2030 e conseguire la neutralità climatica entro il 2050) attraverso le fonti rinnovabili, sulla mobilità sostenibile ed intelligente, sull’economia circolare, sulla conservazione e protezione delle biodiversità e degli ecosistemi; la dimensione economica di tale azione è senza precedenti.
Al riguardo, l’Unione Europea, nel documento presentato lo scorso 17 maggio, nel definire il nuovo approccio per un’economia blu sostenibile individua un piano di azione concreto, con un programma che riconosce nell’economia del mare un fattore indispensabile per realizzare la trasformazione che gli obiettivi del green deal impongono.
Un cambio culturale che riconosce nella sostenibilità il codice univoco attraverso il quale si declinano i contenuti della transizione ecologica che sono ampiamente tracciati nei molteplici programmi di investimento europei.
Oggi siamo qui a Venezia, città simbolo che da tempo si è riconosciuta in questi temi e che vuole divenire il laboratorio dell’innovazione, un modello da esportare; una città che, forte della sua storia e cultura vuole essere il motore del rinnovamento, creando le condizioni favorevoli alla rigenerazione della sua identità storica che noi tutti le riconosciamo.
Noi siamo pronti come sistema delle imprese a metterci in gioco e lavorare sui temi più rilevanti, tra i quali:
– i Porti verdi, infrastrutture complesse che dovranno funzionare con energie rinnovabili attraverso reti intelligenti;
– l’efficientamento energetico degli scali e dei servizi portuali, elettrificazione dei consumi con fonti rinnovabili;
– l’elettrificazione delle motorizzazioni e l’incentivazione nella croceristica attraverso misure specifiche per la riduzione delle emissioni;
-la digitalizzazione dei cantieri e delle navi con l’introduzione in tutti i processi delle tecnologie 4.0 (dalla costruzione alla gestione del mezzo);
– l’economia circolare e l’eco-disegn, con la riprogettazione dei prodotti utilizzando materiali biodegradabili o compostabili;
– il riciclo dei rifiuti della pesca;
sono i passaggi di una rotta “obbligata” e diverse sono le progettualità già in corso.
Perché è chiaro che la transizione ecologica non può avvenire se non con l’impiego e lo sviluppo delle nuove tecnologie digitali il cui contributo consente di raggiungere obiettivi ambientali, altrimenti non raggiungibili con le tecnologie “tradizionali”.
Ulteriore passaggio obbligato è intensificare l’attività di ricerca e sviluppo, atteso che esistono settori in cui la tecnologia non è ancora matura per il mercato, e mi riferisco ad esempio alla decarbonizzazione dello shipping sul quale le scelte tecnologiche sono ancora incerte.
E’ altrettanto chiaro che la sostenibilità ambientale richiede anche una sostenibilità economica delle imprese ed è necessaria una profonda revisione dei modelli di business; il che impone ingenti investimenti e l’innovazione è il fattore abilitante che può restituire efficienza ai processi.
Nell’attuale contesto, perché la doppia transizione verde e digitale si realizzi, le Istituzioni e le imprese dovranno contribuire in uno sforzo congiunto a garantire lo sviluppo delle nuove competenze connesse ai principali driver dell’innovazione tecnologica e della sostenibilità che genereranno un fabbisogno sempre più pressante di nuove intelligenze.
Oltre alla formazione di alte competenze per la ricerca e l’innovazione espressione del mondo accademico, le Istituzioni dovranno contribuire alla creazione di competenze e di profili professionali specifici connessi con i fabbisogni delle imprese e, altrettanto rilevante sarà l’azione di sostegno alle imprese nell’acquisizione di conoscenze e competenze per individuare strategie e i modelli declinabili nell’evoluzione energetica e tecnologica in atto.
Oggi più che mai è necessario che gli sforzi di tutti noi convergano; è necessaria l’assunzione di responsabilità condivise da tutte le componenti politiche e imprenditoriali perché le risorse destinate al nostro Paese siano impiegate nell’attuazione di una strategia nazionale che valorizzi le enormi potenzialità dell’economia del mare.
Alcuni esempi non esaustivi sono:
- la creazione di Poli mediterranei del mare e della nautica che siano al fianco delle imprese, generando quel fattore di sviluppo esponenziale in grado di moltiplicare la crescita;
- una programmazione della portualità turistica in ogni regione marittima del nostro Paese che ponga al centro la cultura del mare, in cui i costi di approdo non diventino un fattore di disincentivazione degli arrivi;
- una regolamentazione del settore del charter nautico che, attraverso standard di sicurezza e qualità dei servizi offerti, contribuisca allo sviluppo turistico dei territori.
E’ necessario un quadro normativo chiaro ed incentivi che stimolino le imprese, soprattutto le PMI, che oggi si trovano ad affrontare una debolezza finanziaria pandemica.
Gli obiettivi di crescita sostenibile, oltre che di un’agenda, hanno bisogno di un percorso altrettanto sostenibile, in cui l’impresa abbia tempi certi rispetto alle procedure autorizzative.
Lo snellimento della burocrazia non significa aggirare il principio di legalità, ma dare certezza agli investimenti delle imprese.