Rievochiamo un anniversario che dovrebbe indurci alla riflessione.
RAI News ci ricorda che “L’esodo di massa degli italiani di Libia inizia subito dopo il 1 settembre 1969, giorno in cui il giovane Gheddafi conquista il potere con un colpo di Stato. Nei quattro mesi successivi partono almeno ottocento italiani: alcuni senza nemmeno un visto, organizzando piani anche rischiosi per approdare in Sicilia. Il decreto ufficiale di espulsione arriva nell’estate del 1970: dei quarantaquattromila italiani residenti nel 1948 ne restano meno di metà. Sbarcano a Napoli, vengono smistati nei campi profughi in Campania, Puglia e Lombardia. La Libia confisca 40 mila ettari di terra, 1.700 case, 500 attività commerciali: in totale 200 miliardi di lire del 1970.
La chiesa diventa moschea, i monumenti polvere.
Il cimitero viene profanano e Roma rimpatria anche ventimila salme di soldati. E’ il terzo esodo degli italiani.
Prima degli anni 70 c’erano state le espulsioni del 1951, dopo l’indipendenza della ex colonia italiana”
Ricordo bene quando il Colonnello Ghedaffi prese il potere e le nostre emittenti radiotelevisive ci riferivano che aveva chiamato alla radio libica, parlando in lingua araba, gli italiani giunti alla terza generazione in Libia “i nostri fratelli italiani”.
I più intelligenti e previdenti furono quegli ottocento che lasciarono subito il Paese. Gli altri pagheranno amaramente la fiducia riposta nel dittatore.
Era il 1912 quando l’Italia sconfisse l’Impero Ottomano e ottenne quello che Gaetano Salvemini, grande storico antifascista, definì uno “scatolone di sabbia”. Si trattava della Libia e precisamente delle allora regioni nordafricane di Tripolitania e Cirenaica. Il trattato di pace di Ouchy, firmato nell’ottobre 1912 con la potenza turca, di fatto non consegnò il territorio libico nelle mani del governo italiano.
La colonizzazione proseguì a fasi alterne e fu rallentata dall’entrata in guerra dell’Italia nel 1915, distrazione che la popolazione araba di religione senussita (ramo dell’islamismo) colse come opportunità per liberarsi delle autorità italiane e organizzarsi in gruppi rivoltosi.
Per questo motivo, fino al 1927 l’occupazione italiana della Libia non si poté considerare completata. Con l’avvento del fascismo cambiò l’approccio del governo italiano nei confronti delle popolazioni autoctone. Mussolini e il generale Graziani adottarono una strategia lontana da compromessi e indulgenza. Dopo aver inviato degli specialisti in loco per individuare le potenzialità e le risorse della Libia, Mussolini puntò prima alla conquista della Tripolitania e infine della Cirenaica, ricca di petrolio.
Quest’ultima si rivelò molto ostile, ragion per cui il Generale Graziani decise di intervenire con una atrocità tale da essere ricordata ancora adesso come uno dei più grandi crimini contro l’umanità commessi dallo Stato italiano. Infatti, buona parte dei cirenaici fu deportata in campi di concentramento, un’azione che Graziani giustificò come necessaria per sedare la ribellione.
Soltanto nel 1934 con Italo Balbo, primo governatore della colonia unita di Libia (unificava i territori di Tripolitania e Cirenaica annettendo anche il Fezzan) i rapporti tra l’Italia e la popolazione araba si distesero. Balbo si fece innanzitutto promotore di una politica di integrazione e riconciliazione con le popolazioni indigene e soprattutto musulmane.
Una politica che fu perseguita a partire dalla chiusura immediata dei campi di concentramento per proseguire con la costruzione di villaggi e l’istituzione di scuole superiori di cultura islamica. Dal punto di vista economico, questo fu un periodo di grande fioritura grazie anche all’afflusso di circa ventimila italiani che si stabilirono lì e che con la collaborazione dei libici, riuscirono a dare un importante impulso all’economia della Libia.
Ben dieci anni dopo la situazione cambiò. L’Italia entrò di nuovo in guerra e subì una grave sconfitta ad opera dei Britannici che restarono in Libia fino al 1951, anno che segnò il raggiungimento dell’indipendenza della Libia e la nascita della monarchia con a capo Re Idris Senussi.
Nel 1956 si conclusero i negoziati tra Italia e Libia, in base ai quali l’Italia si impegnava a versare una somma di cinque milioni di sterline allo stato libico come contributo alla ricostruzione delle infrastrutture del territorio; dall’altro canto il governo di Re Idris assicurava la permanenza della comunità italiana residente in Libia, osservando l’articolo 9 del trattato che afferma:
“Il Governo Libico dichiara, anche agli effetti di quanto previsto dall’art. 6, paragrafo 1 della Risoluzione dell’ONU, in merito al rispetto dei diritti ed interessi dei cittadini italiani in Libia, che nessuna contestazione, anche da parte di singoli, potrà essere avanzata nei confronti delle proprietà di cittadini italiani in Libia, per fatti del Governo e della cessata Amministrazione italiana della Libia, intervenuti anteriormente alla costituzione dello Stato Libico. Il Governo Libico garantisce pertanto ai cittadini italiani proprietari di beni in Libia, nel rispetto della legge libica, il libero e diretto esercizio dei loro diritti”.
Re Idris si dimostrò un sovrano magnanimo e aperto alla multietnicità dei territori che governava. Di fatto però, la condizione di benessere in cui vivevano italiani, americani, britannici e anche libici non corrispondeva alla realtà di alcune minoranze indigene.
Col passare del tempo, la povertà che colpiva queste ultime provocò un’insoddisfazione repressa nei confronti del governo. Re Idris fu accusato di condurre un sistema politico corrotto e di aver assunto un atteggiamento eccessivamente filo-occidentale, a discapito degli autoctoni.
Ormai anziano e cosciente delle sue precarie condizioni di salute, il re era deciso ad abdicare.
Re Idris si recò in Turchia per delle cure mediche, un’assenza che gli costò la sua disfatta.
Il 1° settembre del 1969, la monarchia fu rovesciata da un colpo di Stato militare guidato da Mu’ammar Gheddafi, il quale prese il potere senza particolari atti di prepotenza o violenza.
Fino all’8 luglio del 1970 i rapporti con gli Italiani non mutarono affatto.
Gheddafi si preoccupò prima di chiudere la grande base navale Usa a cui seguì la diaspora degli americani. In seguito cacciò gli inglesi, per niente ben visti dai libici, che avevano subito un sacco di angherie durante la loro occupazione dal 1943 al 1951.
Gheddafi non mostrò mai la volontà di espellere la comunità italiana, soprattutto perché durante il golpe si erano dimostrati neutrali e non di intralcio.
Tuttavia, il giorno seguente ovvero il 9 luglio 1970 pronunciò il celebre discorso di Misurata, in cui affermava che tutti i beni di cui gli italiani si dichiaravano possidenti erano in realtà di proprietà libica.
In seguito, il 21 luglio fu emanato un decreto che prevedeva la confisca di tutti i beni di proprietà italiana, vietava qualsiasi tipo di movimento bancario ai residenti italiani e costringeva la comunità ad abbandonare il territorio. Veniva di fatto violato il famoso articolo 9 del 1956.
Tra luglio e agosto dello stesso anno, numerose famiglie di Italiani nati e cresciuti in Libia tornarono in Italia e ricominciarono da zero.
Per consentire un indennizzo a coloro vistisi privare dei propri beni furono promulgate alcune Leggi dal governo italiano:
1. Legge n. 1066/1971: Questa legge prevedeva che, nelle more della conclusione di accordi internazionali, fosse concessa, alle persone che hanno perduto beni, diritti e interessi in Libia, un’anticipazione, a chi ne avesse fatto richiesta, sugli indennizzi da stabilirsi. Tale anticipazione doveva essere disposta con Decreto Ministeriale del Ministero del Tesoro.
I ricorrenti a seguito di richiesta, ottennero il Decreto Ministeriale che accordò loro due anticipazioni sull’indennizzo dovuto.
2. Legge n. 16/1980 art. 1: Questo articolo dispone che i cittadini italiani che hanno perduto beni, diritti e interessi in Libia (cioè gli stessi soggetti cui la L. 1066/1971 ha riconosciuto la possibilità di richiedere somme a titolo di anticipo sugli indennizzi da stabilirsi), possono ora richiedere l’intera somma dovuta, previa detrazione degli anticipi già versati. Ai sensi di questa legge i ricorrenti chiesero e ottennero l’indennizzo.
Ricordiamoci degli italiani di Libia, come dei nostri fratelli della Venezia Giulia e della Dalmazia.