La mattina di quel sabato 5 maggio 1821, sull’isola di Sant’Elena il tempo è bello. Hudson Lowe, ottuso e insipiente governatore dell’isola, si reca a Longwood House, residenza del proscritto, per assistere alla lenta agonia di Napoleone. Quando arriva egli viene a sapere che il suo prigioniero non è più cosciente. Il sole invade la piccola stanza. Nel corso della giornata, gli ultimi fedeli, in tutto 16 persone, fanno cerchio attorno al letto da campo del loro imperatore, lo stesso utilizzato ad Austerlitz. Gli sguardi non si staccano dal viso di cera, ora emaciato e con i lineamenti che nell’agonia appaiono sempre più simili a quelli del generale Bonaparte. A fine pomeriggio, il respiro si fa corto e difficile. Napoleone si abbandona lentamente, molto lentamente, e scivola verso la morte. Quando il sole s’inabissa nel mare, il respiro si ferma. Il dottore corso Antommarchi tocca la vena giugulare e scuota la testa. Qualcuno si alza e ferma l’orologio. Sono le 17.49. Il prigioniero dell’Inghilterra, il piccolo caporale la cui vita è stata troncata nel suo letto di ferro dal cancro allo stomaco, fa ancora paura al mondo. A Sant’Elena, l’imperatore aveva predetto ai suoi compagni di prigionia: “Sentirete ancora a Parigi urlare “Viva l’Imperatore”.
Le ultime parole dette prima di spirare sono “France, armée, tête d’armée, Joséphine…” che in italiano sono “Francia, esercito, capo dell’esercito, Giuseppina…”, il nome della sua prima moglie, incoronata imperatrice da lui stesso. Nei giorni dell’agonia nomina più volte il figlio, il Re di Roma, ora un duca austriaco e tra l’altro afferma rivolgendosi ai 16 componenti del suo seguito: “Quando io sarò morto ognuno di voi tornerà in Europa; rivedrete le vostre donne ed io frattanto incontrerò nei Campi Elisi i miei soldati. Tutti mi verranno incontro: Davout, Duroc, Ney, Murat, Massena, Berthier, Desaix e noi parleremo delle comuni imprese. Narrerò loro le ultime vicende della mia vita; quando mi vedranno, li prenderà l’antico entusiasmo, l’antica gloria. Allora ci intratterremo con gli Scipioni delle nostre guerre, con Annibale, Cesare e Federico. Sarà una gioia. Purché quaggiù in terra non prendano paura vedendo tanti soldati insieme”.
Un modo greco-romano per vedere il mondo ultraterreno. Viene seppellito in una tomba anonima poiché il governatore vorrebbe che fosse scritto Napoleone Bonaparte, i francesi soltanto Napoleone. Per il governatore che in seguito gli stessi inglesi criticheranno per cinismo era soltanto un generale, per i francesi un imperatore. Da quel momento una sentinella inglese fa da guardia alla tomba e la farà per 19 anni. Il 12 marzo 1840 il ministro degli interni francese, De Remussat, comunica alla Camera che Re Luigi Filippo di Borbone – Orleans ha ordinato al figlio Francesco d’Orleans, principe di Jonville di recarsi a Sant’Elena con la fregata Belle-Poule a prelevare le povere ossa di Napoleone e così il 16 ottobre a Sant’Elena ci fu l’imbarco della salma. Il 2 dicembre 1840, la nave Belle-Poule arrivò a Cherbourg, in mezzo a una miriade di barche in attesa, la bara venne passata sul battello a vapore Normandie, e risalendo la Senna arrivò a Parigi il 14 dicembre. Il 15 sbarcata la salma, si formò un’imponente corteo che poi si arrestò sotto l’Arco di Trionfo e solennemente percorse i Campi Elisi.
Agli Invalidi il principe Francesco di Jonville disse al re suo padre una sola frase “Sire, vi presento il corpo di Napoleone”, e Luigi Filippo rispose “Lo ricevo in nome della Francia”. Il giorno 15 ci fu la grandiosa cerimonia…. Una salve dell’artiglieria la chiuse, e la bara di Napoleone entrava agli Invalidi conservando per i posteri la sua gloria tutta intatta. Ma quale era l’atmosfera sociale nella quale avvenne il tutto? La sera prima a Parigi – la notte del 14 – era accaduto un fatto straordinario. Da ogni parte della Francia, si narra 100.000 presenze, erano convenuti sulle riva della Senna i soldati giovani e vecchi di Napoleone con le loro vecchie gloriose divise, in attesa del Petit Caporal, rinnovando i bivacchi della Grande Armeè. Invano i parigini offrirono ospitalità nelle loro case. Vollero ripetere i bivacchi che anticipavano le storiche battaglie vinte sui campi di tutta Europa. Fu quella, a Parigi, la più grande veglia funebre di tutti i tempi e nonostante la presenza di un’enorme moltitudine di gente, la notte trascorse in un silenzio quasi irreale. Ma quello che impressionò di più gli attenti cronisti, non furono né costoro, nei quali Napoleone aveva suscitato idee di conquiste, né la grandiosa cerimonia in onore di un uomo che stava entrando dentro la leggenda, ma le centinaia di migliaia di contadini e di gente umile, la ex gleba, che si erano accostati a Lui per assaporare l’ebrezza di evadere dalla mediocrità e di vivere nel clima della grandezza.
Accalcati nel viale dei Campi Elisi, 500.000 persone al passaggio del feretro piangevano a dirotto come dei bambini rimasti orfani. Molti lo dovevano a Lui se non erano più servi, a molti di loro lui aveva garantito – emancipandoli – le terre del feudalesimo e la dignità di uomini. Molti che per le angherie e le umiliazioni subìte avevano ferite tracciate nel fisico e nell’anima, per quanto profonde, Lui, distruggendo il regime feudale, quelle ferite che erano quasi diventate piaghe, le aveva lenite. E come Lui aveva profetizzato si udì nuovamente per le strade di Parigi l’urlo “Viva l’Imperatore.” Il 2 aprile 1861 il nipote Napoleone III con una cerimonia privata provvede a trasferire la salma nella sua ultima solenne dimora. Per la cronaca chi scrive vuole anche evidenziare la sorte di Longwood House, la residenza dell’Imperatore dei francesi Napoleone I durante il suo esilio sull’isola di Sant’Elena dal 10 dicembre 1815 al 5 maggio 1821, data della sua morte.
Dopo tale data la villa tornò alla Compagnia Inglese delle Indie Orientali e poi alla corona inglese. Napoleone III la acquistò per la Francia nel 1858 e insieme alla villa comprò la valle in cui era stato sepolto il sovrano, già riportato in Francia dal 1840. Oggi è di proprietà del Governo Francese assieme al Museo di Sant’Elena. Rivincita di Napoleone sull’ottuso e gretto governatore di allora. Dove sta Sant’Elena? È un’isola di origine vulcanica situata nell’Oceano Atlantico centro meridionale, a 15°55′ di latitudine sud e a 5°42′ di longitudine ovest e a circa 1 900 km dalla costa dell’Angola. Costituisce un territorio britannico d’oltremare che comprende anche l’Isola di Ascensione e quelle di Tristan da Cunha. Ha avuto questo nome in onore di Sant’Elena di Costantinopoli, scoperta dai portoghesi nel 1502, durante una spedizione a cui partecipò anche Amerigo Vespucci, a quel tempo l’isola era disabitata. A metà del XVII secolo passò per un breve periodo agli olandesi e poi definitivamente all’Inghilterra. È una delle più remote isole del mondo e per diversi secoli ebbe un’importanza strategica per le imbarcazioni che facevano vela verso l’Europa dall’Asia e dal Sudafrica. Venne usata spesso dai britannici come luogo di esilio: oltre a Napoleone, doveroso ricordare tra gli altri Dinuzulu ka Cetshwayo, re degli Zulu popolo di guerrieri, e più di cinquemila prigionieri boeri, di origine olandese, che si erano opposti all’aggressione inglese in Sud Africa. Oggi qualche migliaia di persone con passaporto britannico popola l’arcipelago. Ma a Napoleone Sant’Elena è legata per sempre.