Negli ultimi tempi è ritornato sulla scena Napoleone Bonaparte, il grande còrso, che, a distanza di due secoli dalla morte, conserva intatta quella fama che gli è stata creata  da un’enfasi caricata dalla propaganda di parte che dal passato è arrivata fino a noi. La verità è ben altra: la sete di potere  e di “grandeur” di Bonaparte travolse e schiacciò nazioni, paesi e popoli, senza remore morali di alcun genere. Nella campagna d’Italia Napoleone Bonaparte vide esclusivamente  un trampolino di lancio per la sua insaziabile ascesa politica ed un sistema rapido per rimpinguare le casse della Repubblica francese. Il sud dell’Italia, all’epoca Regno di Napoli, ne fu totalmente investito, pagando un prezzo pesantissimo. 

La strada l’aveva aperta il generale Championnet nel 1799. Il 10, 11 e 12 maggio le truppe francesi misero a ferro e a fuoco Montecassino e l’abbazia, portando via un bottino di trecentomila  ducati. Profanarono le chiese, portarono via l’oro e le statue di grande valore artistico,. Saccheggiarono le case, che incendiarono, e ammazzarono 150 vecchi che ritenevano di essere risparmiati dalla barbarie. La soldataglia franco-polacca che componeva le truppe transalpine si comportò così non solo a Montecassino, ma anche in tutti gli altri centri, villaggi e borgate dove mise piede.

I massacri e gli orrori investirono tutto il meridione d’Italia. Il saccheggio dei musei e delle opere d’arte costituiva, d’altra parte, un denominatore che Napoleone Bonaparte alimentò e fece portare avanti durante tutto il suo periodo  di potere. Dalla basilica di San Marco, a Venezia, vennero asportati i simboli  della sua identità e della sua gloriosa storia di potenza marinara.  Il loro trasferimento a Parigi costituì per la città lagunare una cocente umiliazione: furono portati via anche il leone bronzeo issato  sulla colonna  della piazzetta di fronte al mare e i quattro cavalli di San Marco, emblemi di Venezia. Ne resterà indignato Ugo Foscolo, segretario verbalizzatore della municipalità. Foscolo vide travolte le speranze politiche che riponeva in Napoleone, quando il corso non si crea nessun problema nel “vendere” il Veneto all’Austria nel trattato dii Campoformido. Non c’era da meravigliarsi del fatto. Per Napoleone l’Italia non costituiva altro che un sacco da svuotare di uomini e di mezzi per le sue guerre e di opere d’arte per arricchire i musei francesi e il Louvre in particolare, che vanta un primato mondiale per i capolavori stranieri depredati:  souvenirs di glorie e di conquiste, compiute per conto della Repubblica francese, in nome della libertà, della fraternità e dell’uguaglianza…Sono falsità storiche i proclami in cui Napoleone invitava le truppe francesi a rispettare gli italiani, ai quali veniva a spezzare le catene del dispotismo.

In virtù di una sistematica falsificazione dei fatti, il Bonaparte continua ad essere presentato dagli storici conformisti come il “liberatore” dell’Italia, mentre, in realtà, non fu altro che un depredatore delle sua ricchezze e delle opere artistiche custodite nelle nostre chiese e nei nostri musei. Altro che “rivoluzione rigeneratrice”! Ben lo ha capito il massimo studioso francese di Napoleone, Jean Toulard. “Sia Bonaparte, sia il Direttorio, erano totalmente indifferenti alle aspirazioni  nazionali  degli italiani. Non vollero mai l’unificazione, né l’inipendenza della Penisola. Per l’Italia – una vacca da mungere – le campagne napoleoniche furono peggio delle invasioni barbariche. Il furto delle opere d’arte fu massiccio e metodico”. Per Roger Caratini, filosofo ed autore delli “Encyclopedie Bordas”, il figlio illegittimo del libertino Carlo e della volubile Maria Letizia, tiranno e bellicista accanito del suo stato, si è dimostrato per la Francia un vero disastro nazionale, perché, come scrive il Taine in “Napoléon”, “sacrificò quattro milioni di Francesi, per rovinare in 15 anni 15 province, e perché si staccassero dal suo paese la Savoia, la sinistra  del Regno, il Belgio, e tutto l’angolo Nord-Est”. Napoleone Bonaparte non è stato guidato da alcuna ideologia, se non quella del culto della sua personalità. Napoleone, a parere del Caratini, si avvicina in questo senso “ai grandi capi mafiosi”.

Per il filosofo transalpino bisogna finirla con il mito del generale invincibile, che è, invece, la prefigurazione di Hitler nella storia d’Europa, per la sua indifferenza alle centinaia di migliaia di morti che le sue conquiste militari hanno causato. D’altronde l’Imperatore confessò di non amare alcuno. Aveva, infatti, pochi amici (Bourrienne, fino alla sua disgrazia ben meritata e il maresciallo Duroc figurano fra le eccezioni) e la vita umana per lui non conta minimamente. Dirà: “Un uomo come me non conta la vita  di un milione di soldati”. Altra versione, più volgare: “Un uomo come me se ne frega della vita di un milione di uomini…”. E sempre a proposito dei suoi soldati gli accadde di fare conti da droghiere: “Ho 25mila uomini da spenderne per mesi”. Gli si annunciava, durante la ritirata di Russia, che 9.040 cavalli erano morti al bivacco, nel corso della notte, per cui l’esercito francese, sperduto nell’immensità delle terre russe fu costretto al abbandonare i cannoni e i bagagli: “Che liberazione”, commentò dimostrando la sua insensibilità alla sofferenze altrui. E mentre la Grande Armata, allo sfascio per la fame e il freddo, svanisce, inseguita dai russi, tra i ghiacci e gli incendi, egli fa sapere ai francesi che “la salute di Sua Maestà non è mai stata migliore”.

C’è da fremere di indignazione nel leggere queste parole nel ventinovesimo bollettino della Grande Armata. Nella terribile, insensata campagna di Russia l’esercito francese poteva contare su 647.158 uomini, il fior fiore dei soldati transalpini. Ne tornarono in Francia solo 13.ooo, coperti di cenci, di luridi mantelli, le calzature lacere, i capelli in disordine, la barba lunga e sporca, la maggior parte simili a scheletri ambulanti! Un disastro  incommensurabile. Nella campagna di Russia morirono circa cinquantamila soldati italiani, che fecero meraviglie coprendosi di gloria. Nella scienza della manipolazione degli uomini e delle cose il Bonaparte fu un maestro facendo leva sulla sua abilità da artista con la quale creò la leggenda del suo martirio.