Una storia di mare del nostro Golfo
Ponza, 16 novembre 1965. Da oltre quarantotto ore non si hanno notizie della motocisterna Capovento. Nei giorni precedenti l’ululato del vento e le avverse condizioni del mare avevano reso il Tirreno pericoloso, sconsigliato per la navigazione di piccole imbarcazioni. La Capovento è una cisterna di circa 150 tonnellate, iscritta al Compartimento di Genova e appartenente alla società armatrice “Fert and CO.S.A.S. (trasporti internazionali vagoni serbatoi vini). Una motocisterna vinacciera, questa la definizione mercantile.
La società CO.S.A.S. aveva sede a Genova, in via Paolo Emilio Bensa, e il direttore era il signor Maurice Megivand. La nave trasportava un carico di vino imbarcato nel porto di Genova, era partita il 6 ottobre e dopo vari scali aveva toccato Cagliari. A bordo, un equipaggio formato da sette persone, tutti siciliani.
Con mare tempestoso e ventaccio, la Capovento salpa dal capoluogo sardo, diretta ad Anzio, il venerdì del 12 novembre 1965. Il Comandante si chiama Antonio Colombo, 55 anni, ed è di Siracusa. Durante la guerra aveva percorso sui dragamine le rotte minate dell’Alto Adriatico. Lupo di mare, sa che capitana una carretta; le onde sono alte e non è prudente sfidare la burrasca. Dopo alcune ore di drammatica navigazione, ripara nel porticciolo di Arbatax, al centro della costa orientale sarda. Tenace, ci riprova la mattina seguente malgrado le proibitive condizioni di corso.
Il naufragio
Non conosciamo con esattezza l’ora del naufragio ma questo si verifica al largo dell’isola di Ponza probabilmente il 14 novembre. Lo scrittore Elleston Trevor nel suo romanzo “Mare forza 10” narra con maestria cosa sia il mare in tempesta e quanta importanza rivesta la comunicazione via radio. La Capovento purtroppo era munita solo di radiotelefono, utile per le piccole distanze (dalle 20 alle 30 miglia) e per trasmissioni di maggiore portata si appoggiava ad unità più grandi che fungevano così da ponte radio. La potenza del mare capovolge la nave e il relitto viene trasportato dalle onde su di un basso fondale ad alcune miglia da Ventotene.
Una nave russa, la Naryn, in navigazione nel Tirreno, scorge la carcassa meccanica ribaltata e lancia l’allarme. Dal porto di Gaeta, di Ponza e di Napoli partono immediatamente gli aiuti. A raggiungere lo scafo capovolto sono la corvetta “Danaide” della Marina militare e i rimorchiatori “Mastino” e “San Cataldo” della capitaneria di porto di Gaeta. Il vuoto d’aria formatosi nelle stive garantisce il galleggiamento della motocisterna.
Fra le onde agitate i sommozzatori cercano, invano, i corpi dei marinai, con la speranza di trovare qualche superstite. Una nave bulgara che partecipa alle ricerche, la “Kousomoletz”, avvista un battello di gomma con la salma di uno dei marittimi naufragati. La cresta delle onde ora brilla di un bianco accecante che contrasta con il nero del mare ricoperto di nafta. Non resta che pregare o tacere. Anche gli arei non trovano traccia degli altri sei dispersi.
Il recupero dello scafo
Il 18 novembre, alle prime luci dell’alba, i rimorchiatori San Cataldo e Mastino agganciano con resistenti cavi lo scafo e lo trainano fino a Gaeta. Con mare agitato e maestrale da prua, alla velocità di due miglia orarie, giungono verso le 20, quando ormai è già buio, con il relitto della Capovento.
Nonostante la disgrazia, c’è poesia, quella maledetta alla Rimbaud o alla Capossela, cantautore italiano che ha scritto la ballata della Santissima dei naufragati. Si dispone il servizio per l’ormeggio in rada della motocisterna, al fine dell’ispezione dei palombari e sommozzatori prevista per il giorno seguente. La Capovento viene assicurata alla boa Alfa della Marina militare, distante cinquecento metri dalla banchina sul versante sinistro del porto. Una sottile pioggia cade su una piccola folla accorsa allo scalo marittimo. In disparte, i congiunti del capitano Colombo e i parenti dei dispersi giunti dalla Sicilia con la speranza di avere notizie buone sui propri cari. Che, invece, si riveleranno tragiche.
I sub dei carabinieri, il 20 novembre, ispezionano minuziosamente tutti i locali della nave ma non riescono a scorgere alcun uomo. Portano in superficie la radio di bordo, gli arnesi e altri oggetti, metafore ormai della sciagura. Ai loro familiari non può esser rilasciato alcunché, serve tutto per l’inchiesta.
Il commiato
La mattina successiva, le autorità, i parenti dei marinai scomparsi e la gente di Gaeta partecipano al rito funebre nella Cattedrale. Una corona d’alloro verrà deposta sulla Capovento, omaggio del ministro della Marina Mercantile.