Nel febbraio del 1958 veniva inaugurata la strada statale Flacca, fortemente voluta dall’allora giovane sindaco di Gaeta, Pasquale Corbo. La grandiosa opera, finanziata dalla Cassa per il Mezzogiorno, arrecò notevoli vantaggi al Comune di Gaeta, che fino ad allora aveva sofferto la distanza dalla via Appia. Ma veementi furono le proteste dei cittadini formiani per la realizzazione dell’opera che nel tratto che attraversa Formia viene chiamata Litoranea. Già dal 1951 il Soprintendente alle Antichità dell’epoca, prof. Salvatore Aurigemma, rilevava energicamente che i danni arrecati al patrimonio archeologico sarebbero stati ingentissimi. Il nuovo asse viario, prevedendo il passaggio sull’area dove sorgeva la dimora di Cocceio Nerva, inevitabilmente avrebbe provocato la distruzione di alcuni tratti dell’antico e ben conservato “muro di Nerva” e di altre strutture ciclopiche. Si suggeriva la possibilità di prevedere l’attraversamento di Formia circonvallando a monte l’abitato, progetto, tra l’altro, già ideato dall’architetto Gustavo Giovannoni, impegnato nella realizzazione del Piano di Ricostruzione per la città di Formia.
Ci fu anche un esposto avverso la costruzione della strada presentato al Ministero competente da parte di un nutrito gruppo di cittadini formiani. Il Consiglio Superiore delle Antichità il 22 giugno 1954 così motivava il proprio diniego al nullaosta:
«…parere assolutamente contrario all’attuazione della litoranea secondo il tracciato proposto dalla Cassa per il Mezzogiorno in quanto esso, svolgendosi a valle dell’abitato, oltre a presentare il grave inconveniente di separare l’agglomerato cittadino dal mare, avrebbe arrecato irreparabile danno all’ambiente paesistico circostante e ai resti archeologici ivi esistenti…», giudicando favorevolmente la soluzione “pedemontana” prevista dall’architetto Giovannoni.
L’Amministrazione Provinciale di Latina, ente preposto ad utilizzare i fondi, non voleva però rinunciare alla costruzione dell’opera così come progettata e riuscì a strappare l’autorizzazione a realizzare il solo tratto di Vendicio, non incluso nell’area d’interesse archeologico. I politici interessati alla realizzazione dell’opera e la Provincia si resero anche disponibili a ridimensionare il progetto. L’ipotetica possibilità di avere un viale immerso tra “resti archeologici”, fece capitolare le ultime resistenze delle Soprintendenze. Nel 1955 anche il tratto più interessato da resti archeologici, dalla località Rialto fino al largo Paone, venne autorizzato. La somma stanziata per gli espropri, era insufficiente e il Parco Archeologico rimase un progetto mai realizzato. Fu così che con l’astuzia e la tenacia di chi voleva realizzare quest’opera, venne abbattuto una porzione di 12 metri di lunghezza per 3 metri di altezza del “muro di Nerva” per consentire il prosieguo della Litoranea.
Anche il passaggio al di sotto della Villa comunale fu motivo di grandi polemiche. Alla fine prevalse il buon senso e il passaggio sotto i giardini pubblici fu realizzato nella soluzione meno impattiva. Analoghi problemi si presentarono giunti al Largo Paone. Una prima soluzione prevedeva il collegamento della Litoranea da Largo Paone all’Appia passando attraversando il centro urbano del quartiere di Mola. La soluzione adottata però fu quella di un viadotto progettato e diretto dall’ing. Giuseppe Carollo. Il viadotto, antistante la torre di Mola, ha già creato grossi problemi alla viabilità, un pilastro di sostegno la cui fondazione è a mare, ha subito un abbassamento di oltre 20 centimetri, che ha imposto urgenti interventi di consolidamento.