Negli ultimi anni l’enogastronomia è diventata sempre più popolare. Al di là degli show televisivi degli chef pluripremiati – puntate da intrattenimento più che di cucina -, sono sempre più numerosi gli appassionati del mangiare e del bere bene. Questo accade perché il cibo ed il vino sono fenomeni culturali oltre che semplici mezzi di sussistenza e, in quanto tali, il loro studio ci affascina perché sono l’espressione della storia e dello spirito di un popolo.
L’Italia è nota per la sua ricchezza culturale, dovuta anche alle diversità territoriali che la caratterizzano. In ogni angolo del nostro Paese, la storia ci parla anche per mezzo delle tradizioni enogastronomiche e delle tecniche di produzione, anche nell’ambito dell’enologia. Per chi lo vuole ascoltare, il passato è ancora presente e noi abbiamo la possibilità di mescolare l’innovazione alla tradizione.
Un passato enologico di rilievo lo hanno anche le nostre zone del golfo, anche se non sempre è ricordato. Infatti, nella zona corrispondente all’area compresa tra Fondi e Formia, veniva prodotto il Cecubo, uno tra i vini più rinomati dell’antica Roma, tanto da essere decantato da Orazio nella Ode I, 37 – Prima di ora non era lecito spillare il cecubo (=vino di ottima qualità) dalle cantine degli antenati, mentre una regina preparava folli rovine per Campidoglio e per l’Impero con un gregge di uomini turpi contaminato dalla perversione, sfrenata nello sperare qualsiasi cosa ed ubriaca per la dolce fortuna – per festeggiare la morte di Cleopatra.
Sicuramente, come in tante altre parti d’Italia, anche qui la produzione del vino esisteva già da tempi immemori per fini puramente alimentari. Infatti, anche se oggi viene considerato un piacere, talvolta un lusso, o comunque qualcosa di non essenziale per la nostra sopravvivenza, non dobbiamo dimenticare che il vino è una bevanda calorica che in passato veniva inteso come parte dell’alimentazione di sussistenza dei contadini. Quindi, è abbastanza probabile che, quando il console romano Claudio Appio Cieco scese da Roma verso le nostre zone per seguire il progetto di costruzione della via Appia, trovò già delle coltivazioni di uva e produzione di vino. Il passaggio da alimento di sostentamento a bene di lusso fu dettato proprio dall’interesse che questo vino – prodotto dalle uve di Abbuoto – destò nel nostro nobile e influente estimatore. Si dice, infatti, che Claudio fu molto colpito dal sapore del vino prodotto in queste zone tanto da portarlo a Roma. Il nome stesso del Cebubo viene fatto risalire al console. Cebubo dovrebbe derivare dalla fusione dei termini caecus (cieco) e bibere (bere), quindi la bevanda del cieco (con riferimento evidente a Claudio Appio Cieco). Secondo Plinio il Vecchio, il Cecubo era un vino di grande qualità tanto da essere alla pari con il fratello Falerno e Caleno, e nell’antica Roma era molto apprezzato dai ricchi e dai patrizi.
Il Cecubo è un esempio di come il vino – alimento di sussistenza – si è trasformato in prodotto di qualità, ricercato, se vogliamo dire, alla moda. La moda esiste in quanto esiste la cultura e, come quest’ultima, ha alla base una forte identità storico-geografica. Dietro ogni vino si cela una cultura e quella del Cecubo rappresenta il nostro territorio.