Il 12 luglio 1911 lavoratori sardi impegnati a Itri per la costruzione della linea ferroviaria Roma – Napoli pagarono con la vita la loro legittima ribellione alla camorra, ma dietro la strage ci fu anche l’odio razziale. Mercoledì 12 luglio 1911 era giorno di paga, la così detta quindicina. Gli storici italiani, sardi di nascita, accusano le istituzioni e la popolazione di Itri senza alcuna attenuante. Per loro Itri si macchiò del sangue di tanti operai sardi che lì vivevano e lavoravano onestamente. La loro colpa fu quella di essersi ribellati al pagamento del pizzo alla camorra, infiltrata nel territorio e tra i vertici della ditta Spadari che gestiva il progetto della tratta ferroviaria Roma – Formia – Napoli, alla cui realizzazione lavorarono gli operai sardi presi di mira. Pagarono con la vita anche il fatto di essere sardi, in un periodo storico in cui chi proveniva dall’isola veniva considerato sporco e rozzo. Tutto iniziò la mattina del 12 luglio, giorno di paga, allora chiamata “quindicina”; i sardi non solo subivano condizioni di lavoro molto più gravose rispetto alla popolazione del posto, ma venivano anche pagati meno. Come sua natura, il sardo non si è mai chinato a certi soprusi. Così, gli operai si recarono in Piazza Incoronazione, al centro del paese ed ebbero qualche diverbio con un uomo a cavallo che si fermò di passaggio. Intervennero i carabinieri reali, che però se la presero solo con una parte: arrestarono un sardo, Giovanni Cuccuru di Silanus; i suoi corregionali la considerarono un’ingiustizia e protestarono vivamente, provocando l’ira di un carabiniere che minacciò, pistola alla tempia, di uccidere Cuccuru se le proteste non fossero cessate. Gesto che avrebbe macchiato il carabiniere di omicidio volontario. Alla notizia dell’arresto accorsero altri sardi che si fronteggiarono con gli itrani. Questi ultimi, coadiuvati dal sindaco, dagli assessori, da guardie campestri e dai carabinieri, si scagliarono contro gli operai al grido di «Fuori i sardignoli», ferendo e uccidendo alcuni di loro. Nulla poterono le vittime dinanzi ai forconi, ai pugnali, ai bastoni e ai fucili degli aggressori. Le violenze proseguirono anche il giorno successivo giovedì 13 luglio e da parte degli abitanti di Itri ci fu una vera e propria caccia al sardo. Alcuni sardi caduti nelle mani degli itrani furono persino torturati e i moribondi finiti e seppelliti per impedire un esatto conteggio della strage. L’odio fu fomentato anche dai discorsi dei politici locali che fecero credere agli itrani che i sardi gli stessero rubando il lavoro e contribuissero all’incremento della criminalità. I sopravvissuti denunciarono i fatti al Procuratore del Re di Cassino, chiedendo l’intervento dello Stato e dell’allora governo italiano, il sovrano era Vittorio Emanuele III. Invece fu vietato persino un comizio sui diritti dei lavoratori, per il quale si era battuto anche Gennaro Gramsci, fratello del più famoso Antonio, quarto di sette figli. Gennaro, il primogenito, fu l’unico della famiglia a manifestare idee socialiste. Contabile in una fabbrica di ghiaccio a Cagliari, divenne cassiere della Camera del Lavoroe segretario della sezione socialista della città. La ditta Spadari pensò di rimuovere scomodi testimoni e parti lese e licenziò tutti i sardi, che furono sollecitati dal Prefetto ad andare via; alcuni di loro cercarono rifugio a Fondi e Formia, ma anche qui ricevettero l’ordine perentorio: “Tornatevene a casa vostra in Sardegna”. Il governo italiano, che fino ad allora non era intervenuto, fece arrestare 60 itrani ma al culmine di una lunga inchiesta, al processo del 1914 a Napoli vennero tutti prosciolti. Un avvocato del collegio della difesa ebbe il coraggio di affermare che “la folla aveva sparato sui sardi per legittima difesa”. I feriti furono almeno una sessantina, tutti sardi, e dieci le vittime: Zonca Giovanni di Bonarcado, Antonio Baranca di Ottana, Antonio Contu di Jerzu, Antonio Arras, Efisio Pizzus, Giovanni Marras di Bidonì, Giuseppe Mocci di Villamassargia, Giovanni Cuccuru di Silanus, Sisinnio Pischedda di Marrubiu, Baldasarre Campus di Birori, Deligio (Giovanni Battista Deligia) di Ghilarza. Nomi dimenticati troppo velocemente ma che simboleggiano la determinazione di un popolo che non si è mai fatta mettere i piedi in testa da niente e nessuno. I lavoratori sardi impegnati nei lavori della Roma – Napoli erano in quel momento in provincia di Caserta – Terra di Lavoro circa un migliaio, dei quali quattrocento nel territorio comunale di Itri. In definitiva pagarono caro il prezzo della loro provenienza e cultura, ma la camorra, da quei fieri sardi, non vide neppure un soldo. Per questi fatti non un itrano fu punito. E il grave avvenimento fu subito occultato. L’avvocato Guido Aroca scrisse: «Se alcunché di simile si fosse verificato ai danni di siciliani o di romagnoli, l’Italia tutta sarebbe oggi in fiamme». Dopo quei giorni dolorosi, i sardi, soltanto quattro anni dopo, in occasione della prima guerra mondiale 1915 – 1918 nelle trincee diventeranno la «razza guerriera ed eroica» che salvò le sorti dell’Italia. Eppure si erano già distinti per il loro valore in occasioni delle guerre risorgimentali. Divulgare oggi questa storia, è, innanzitutto, un dovere verso quei martiri antesignani della lotta sindacale, ma, altresì insegna a riconoscere e denunciare forme di razzismo mascherate. Dicono gli intellettuali sardi: “Il sacrificio dei nostri antenati non ha avuto giustizia e in continente si sostiene ancora che ‘I sardegnoli se la son cercata’. Per un complesso di colpa indotto da anni di colonizzazione culturale, i sardi accettarono passivamente di essere considerati, nel loro insieme e capillarmente, potenziali criminali. È bene ricordare che i sardi sono un popolo e non hanno origine dalle varie genti che nella penisola diedero vita ai Romani e, infine, agli Italiani. La stessa loro parlata non è per nulla un dialetto ma riconosciuta come lingua. Chi scrive ha avuto modo di fraternizzare con loro in occasione del servizio militare. Erano parchi di parole ma rispettosi. Per andare d’accordo con loro era necessario essere franchi e leali. E quando concedevano la loro fiducia erano i migliori amici.
Opportunamente, e ciò gli fa onore, l’avvocato Antonio Fargiorgio, sindaco del Comune di Itri, ricorda: “Quella di oggi è una data che Itri e gli Itrani non possono, anzi non debbono dimenticare. Il 12 luglio del 1911 si registrò quella che è passata alla cronaca come la strage dei Sardi, un evento su cui molto è stato scritto, talvolta anche senza la necessaria obiettività storica e giornalistica. Il mio intendimento è stato sempre quello di avviare un percorso di riconciliazione, che ci conducesse, tutti, a rivedere, a ripensare quegli eventi in un’ottica diversa, nuova. Ho già detto diverse volte come non sia più il tempo di fare processi, ma come, di contro, la Storia ci debba portare a mettere la parola fine ad una querelle durata troppo tempo. Il 5 ottobre 2019 ho perciò voluto fortemente l’incontro ad Itri con i rappresentanti della comunità sarda e lì abbiamo creato i presupposti per una, oramai necessaria, riconciliazione. Ho trovato grande disponibilità nei miei omologhi sardi e soltanto gli eventi legati alla diffusione del coronavirus hanno impedito un mio viaggio nella splendida Sardegna a fine febbraio. Viaggio che avrebbe dovuto fare da viatico alla giornata di oggi che, negli intendimenti di tutti i partecipanti all’incontro del 5 ottobre scorso, doveva costituire il punto di arrivo del percorso di riconciliazione. Questo percorso non si è interrotto. Continuerò, grazie anche alla disponibilità dei Sindaci sardi interessati, ad insistere affinché si possa portare a compimento un processo che ritengo assolutamente doveroso. Non posso in questa sede non citare due autori, Rino Solinas e Nicola Maggiarra, che con le loro opere hanno dato una scossa positiva a questo processo di riconciliazione. E ricordo altresì l’amico Pino Pecchia che, da storico obiettivo, ha fornito spunti e documenti utilissimi a far chiarezza sui fatti del 1911. Facciamo in modo che quella triste pagina di storia possa essere finalmente voltata, seppur senza essere dimenticata. Scriviamone un’altra tutti insieme all’insegna della riconciliazione”. Abbiamo l’esempio di Papa Giovanni Paolo II che per chiudere tanti contenziosi ha chiesto in modo chiaro e forte perdono a tutti coloro che sono stati offesi nei secoli dalla Chiesa. Questa è l’unica soluzione: Itri e gli Itrani chiedano perdono al popolo sardo, nostri fratelli.