Ai confini del territorio di Gaeta con quello di Itri, alle falde del Monte Cefalo, in località S. Giacomo, sussiste una villa romana, di imponenti dimensioni, che “mostra, in una delle concamerazioni, la testimonianza della sua trasformazione in un sacello pagano”, installato dai fedeli in un criptoportico della villa del I secolo a. C.., il cui nucleo esterno mostra l’ “opus reticulatum” delle ville di età repubblicana. Si può pensare che il suo proprietario fosse un adepto del mitraismo e che egli abbia sistemato in luogo di culto una parte della sua casa. Abbiamo del resto ritrovato lo spiraglio che dava sull’esterno, prova del carattere sotterraneo di questo spazio. Questa caratteristica è prevista : il culto di Mithra si esercitava in segreto, in luoghi rappresentanti la grotta, dove, secondo la tradizione, il dio nacque da una roccia.
La costruzione, nota ai contadini con il nome “Le Grotte”, è a pianta rettangolare con volta a botte e con due bancali in muratura (“podia”) addossati alle pareti per la preghiera dei devoti, che presentano, al loro interno, sette nicchiette per simboleggiare i sette gradi di purificazione e l’iniziazione al culto. Si tratta di un mitreo, collocato su un tracciato viario di eccezionale valore storico, anche se lontano da insediamenti residenziali di una certa consistenza.
Sul fondo dell’ambiente rettangolare, vi è una vasca “dove si raccoglieva – come scrive Marisa De Spagnolis in un saggio edito in Olanda – l’acqua che scendeva da una sorta di scivolo aprentesi nella parete e incorniciato da un frontoncino dove veniva convogliata da alcuni condotti collegati con due vasche accoppiate di uguale altezza e larghezza poste in un ambiente retrostante”.
L’archeologa itrana sostiene che lo stanzone fosse un luogo di culto del dio Mithra, sorto su una costruzione già esistente, che presentava elementi di raccoglimento e di mistero, simili a quelli di una grotta naturale: criptoportici, terme, ecc.. Qui avveniva l’iniziazione: l’anima dell’iniziato passava attraverso sette sfere celesti, in ognuna delle quali deponeva una passione, dalla quale si era liberata, e alla fine appariva pura in cielo.
Anche nel mitreo di Itri dovevano essere frequenti queste scene di iniziazione: ricchi e poveri, tutti uomini, in quanto le donne erano escluse, si liberavano qui dalle proprie passioni, davanti alla pittura di Mithra, che, uccidendo il toro cosmico, dava origine alla vita. Dal sangue dell’animale nasceva la vita; dal suo midollo spinale il grano; dal suo seme la specie animale, secondo una tradizione conservata nelle scritture zoroastriche.
In seguito il culto di Mithra scomparve, sostituito dal grande nemico, il cristianesimo, che tuttavia prese dalla divinità orientale quella che fu la data più importante del mondo cristiano, il 25 dicembre, giorno di Natale, che non era altro che il giorno del natale del Sole, di Mithra. Sopra i mitrei, i cristiani eressero le loro chiese.
Quello di Itri (nelle mappe ufficiali è nel territorio comunale di Gaeta, anche se rientra nell’ambito geografico-orografico del paese di Fra’ Diavolo, essendone proprietari i signori Agresti-Pezza, itrani), ha la malasorte di essere sommerso da fitta vegetazione e da rovi. La sala del santuario finisce dinanzi ad una parete ad arco, manomessa forse da predatori archeologici, dove c’era l’affresco dedicato al dio Mithra.
Lo scrittore greco Plutarco ci racconta che il culto della divinità iranica entrò in Italia nel 67 a. C., con i prigionieri della Cilicia catturati dal generale Gneo Pompeo Magno. Un dio indoiranico, che, negli inni vedici, è connesso con Varuna, divinità celeste, e nell’ “Avesta”, libro sacro del zorooastrismo, è legato ad Ahura Mazda, di cui è l’occhio.
Poiché egli è dio della luce che dona la fertilità al mondo e aiuta i suoi seguaci nella lotta contro il principio del male, la sua diffusione in Roma si accrebbe sotto la dinastia dei Flavii e ancora di più sotto gli Antonini e i Severi. Con l’imperatore romano Lucio Domizio Aureliano il culto del Sole divenne ufficiale nell’Impero e venne identificato con quello di Mithra. Gaio Aurelio Valerio Diocleziano, nell’epigrafe dedicatoria di Carnuntum, antica città celtica nell’alta Pannonia, lo indica perfino quale “fautor imperii sui”. Nel mitreo sotto il giardino Barberini si hanno tre svcene di Mithra con Helios, che, nel mitreo sotto Santa Prisca, è rappresentato a banchetto. Tracce del suo culto si trovano nelle città marittime, lungo le vie commerciali, i grandi fiumi e i luoghi dove erano stanziate le guarnigioni romane, perché propagandisti del suo culto furono gli schiavi, i militari, spesso di origine orientale. A Roma i mitrei, come quelli accennati, sono sotto il Campidoglio, le Terme Antoniane, il Palazzo dei Musei, presso Santa Maria in Cosmedin. Il mitreo più notevole finora era, però, quello rinvenuto a Santa Maria Capua Vetere, con l’affresco del sacrificio di Mithra.
Che cosa è questo rito, quali i suoi simboli, i suoi significati ?
La leggenda di Mithra si può ricostruire così : egli nasce dalla pietra e si copre con le foglie di un albero. Segue un diluvio e poi la siccità, ma Mithra salva gli uomini facendo scaturire acqua da una pietra. Egli va, obbedendo ad un ordine, a caccia di un toro, che prima gli sfugge, ma poi è catturato e trascinato, per le zampe, in una grotta, dove Mithra lo iugula con un coltello. Dal sangue taurino nascono spighe di grano, dal suo seme piante ed animali, produzione invano impedita dal morso dello scorpione. Segue un patto tra Mithra e il Sole. I due siedono insieme a banchetto, poi, insieme, salgono sul carro solare verso il cielo.
E’ l’eterna lotta tra il bene e il male, con il trionfo, alla fine, della luce.
Affrontare il restauro del mitreo, che, negli ultimi secoli, è stato utilizzato per la pastorizia e per l’agricoltura, riadattato alle esigenze della vita, potrebbe far tremare chiunque, per lo stato di degrado della struttura, che richiede un intervento rapido che eviti rischi irreparabili al complesso, prossimo al punto di non ritorno, di alterazioni irreversibili; un intervento per restituire la piena funzionalità ad ambienti che, al momento, hanno perso la loro connotazione. Innanzitutto occorre riaprire tutti i varchi fra gli ambienti, poi sistemare le coperture, adottando particolari accorgimenti statici. Dopo questi lavori, ne sapremo di più sui segreti connessi ai culti orientali, un mondo ancora da capire e da studiare, come è da studiare il complesso sistema di raccolta delle acque meteoriche, con canalizzazioni sotterranee e con piccoli cunicoli, pochi metri sotto il piano di campagna, come un articolato sistema di bonifica, la cui origine, al momento, non è individuabile. I contadini riferiscono che i cunicoli portavano direttamente al convento benedettino di S. Martino di Pagnano, dove ancora si rinviene, abbandonata, qualche mola di frantoio e qualche ara votiva.