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Rientrare al lavoro dopo un periodo di ferie. Ma purtroppo non un lavoro da pendolare vicino casa, ma che ogni volta ti costringe a lasciare tutti i tuoi affetti familiari, la persona che ti vuole bene, e andare in un’altra città, in giro per l’Italia. Sentimenti e sensazioni che ti esplodono dentro e che tu cerchi di esprimere anche avvalendoti dei versi o delle parole di un intellettuale della tua generazione. Mi affido a uno scritto di Nicola Conversa, nativo di Taranto ma che vive a Milano. Regista, autore presso Nirkiop, il 21 agosto ha pubblicato su Facebook una meditazione che sta riscuotendo un successo strepitoso in termini di condivisioni e di mi piace. Di seguito lo riporto
testualmente ma prima desidero far conoscere l’autore riportando una parziale intervista curata da Domenico Buonamico:

Com’era il tuo rapporto con la scuola? “Ho frequentato il Liceo Classico “Quinto Ennio” a Taranto. Come andavo? Il mio professore di italiano diceva sempre “Conversa, non atterri né decolli”. Ero un tipo da 6,5 fisso. Quando presi 9 in italiano, i miei fecero una grande
festa durata 4 giorni. La scuola mi è servita. Mi è servita a diventare il ragazzo che sono, a cercare di fare schifo ogni giorno di meno! Non ti dirò che “il liceo classico è completo e ti apre la mente”. Qualsiasi scuola lo fa, sta tutto nel modo in cui ti poni”. Com’è nata la tua passione per la scrittura? “È nata nel momento in cui i libri che leggevo, i film che guardavo da piccolo, iniziavano a non bastarmi più. La maggior parte delle volte mi mancavano i personaggi che avevo appena visto e ho iniziato a scrivere per continuare le loro avventure. Mi sentivo abbandonato. Ti rivelo una cosa. Ho avuto difficoltà a guardare le ultime puntate di Scrubs e How I met Your mother, perché sapevo che le storie che amavo stavano per finire”. Hai sempre voluto fare il regista? “Da piccolo volevo avere una mia edicola. Poi volevo fare il modello, ma la pigrizia ha avuto il sopravvento. Io scrivo da quando ho memoria. Ricordo il mio primo compito di italiano e non quello di matematica. Poi è arrivato il teatro parrocchiale ed ho scoperto dell’esistenza di un copione, di una sceneggiatura, di una regia. Me ne sono
innamorato perdutamente. Ho scoperto come si possa essere la mano che muove la vita di persone che non esistono”. Come sono nati i Nirkiop? “Per un errore. Io, Mirko e Francesco (il fonico del gruppo ndr) filmavamo il backstage di uno spettacolo teatrale. Alla prima, non si aprì il sipario per un guasto alla corda e mentre tentavano di riparare proiettammo il video per guadagnare tempo. Fece molto più successo dello spettacolo in sé e mi chiesero di pubblicarlo su Youtube. Prima Youtube lo guardavo solo per gli highlights di Serie A e per i video delle canzoni. Capii che potevo scrivere storie e filmarle. Così aprimmo il canale Nirkiop coinvolgendo Piero e da lì non ci capimmo più niente”. Tu e il resto del gruppo siete originari di Taranto e vi siete trasferiti a Milano, cosa è cambiato? “Io amo
Taranto. Per me, nonostante i noti problemi, Taranto è ossigeno. È così bella da togliere il respiro. Mi mancano gli amici (ho gli stessi amici da quando ho 13 anni e mi ritengo fortunato) e mi mancano tantissimo i miei genitori. Mi manca il mare. Non mi manca la mentalità dei tarantini a volte. Qui non ho paura di dire che faccio il regista. A Taranto rispondevano “Sì, ma il lavoro vero?”. Ma una cosa
posso giurarla: il mio primo film voglio girarlo a Taranto e ci proverò in tutti i modi. Glielo devo. La mia, nostra comicità, il nostro modo di stare dritti davanti ai problemi lo dobbiamo solo alla città in cui siamo cresciuti”. Nell’ultimo anno ti sono successe molte cose, come ti
senti?
“La candidatura ai David di Donatello, una serie Disney, uno spot per Nike e tantissime altre cose che ora mi sfuggono, non per falsa
modestia, ma perché non ricordo neanche cosa ho mangiato ieri. Non mi sento arrivato, ma avviato: ho ancora tanta fame. E poi, come diceva Baricco “Non sei fregato veramente finché hai da parte una buona storia e qualcuno a cui raccontarla”. I fan ti chiedono un libro, arriverà? “Ci sto lavorando da una settimana seriamente. Si è aperta una porticina, vediamo dove porterà”. Cosa consigli a chi vuole iniziare a scrivere? “Una frase che mi ha sconvolto per la sua semplicità: Scrivere è Riscrivere”.

Ed ecco il suo testo dolce e poetico, nel quale tanti giovani di oggi si ritrovano, personalmente nativo di Gaeta e residente ancora anagraficamente a Scauri, entrambe località di mare come Taranto, lo sento mio.

Che ne sanno del vuoto che ti lascia partire
Che ne sanno del vuoto che ti lascia abbandonare il mare
Perché il mare è una cosa seria.
Che ne sanno del vuoto che ti lascia andare via di casa, dalla tua terra.
Quando il cuscino ed il materasso non hanno più la tua forma.
Quando nessuno ti urla più “ è pronto!” oppure “ a che ora torni?”.
Quando guardi il soffitto e pensi “ sarà la scelta giusta?”
Quando gli amici non ti capiscono al volo ma col tempo forse si.
Quando i tuoi vestiti hanno la stessa forma e sono piegati nella stessa maniera
di casa ma non hanno magicamente più lo stesso profumo.

Che ne sanno.
Anzi forse lo sanno fin troppi.
E sanno che quel vuoto è necessario.
E puoi riempirlo solo con una cosa:il mare

Devi partire e rivederlo il mare.

Perché il mare, è una cosa seria.

L’autore del testo ha affidato come immagine visiva del suo testo a una scultura del francese Bruno Catalano, che pubblico sia come copertina che anche all’interno poiché è bellissima ed estremamente significativa. L’artista ha collocato per la città di Marsiglia “I viaggiatori”, sculture realizzate in bronzo con una particolare tecnica, a frammenti, queste opere catturano l’attenzione del pubblico inevitabilmente e sono l’icona di un’umanità variegata accomunata dal tema del viaggio. Artista di fama internazionale, le opere di Catalano
figurano in collezioni pubbliche e private e sono esposte in Francia, Inghilterra, Cina, Belgio, Svizzera e Stati Uniti d’America. I suoi
“viaggiatori” sono cittadini del mondo e sono stati disseminati appunto in diversi angoli di Marsiglia e raccontano la fragilità dell’errare ma anche la magia del plasmare la materia.

Statua esposta a Marsiglia e scelta dal nostro protagonista