Avrebbe compiuto il prossimo 15 aprile 98 anni Elvira Conte, vedova di Nicandro D’Acunto. Di solito quando muore una persona così anziana puntualmente sono le due battute che si fanno: “ha vissuto una lunga vita, certo non ha ragione di lamentarsi”, e quindi “magari potessi avere anche io una vita così lunga”. Molte volte si è superficiali nel salutare una persona che ci lascia per una nuova vita celeste. Non si pensa che – ad esempio – l’anziana signora che ha ricevuto un commosso commiato nella Chiesa di Santa Albina in occasione delle esequie tenute dal parroco don Antonio Cairo ha un intenso vissuto che va ricordato e commemorato. Non è solo un’anziana ma una donna che è stata bambina, ragazza piena di sogni e di aspettative, a venti anni ha visto la sua Scauri devastata da truppe tedesche che hanno infierito sulla popolazione civile.
Ma prima ancora aveva visto la sua sorella maggiore Amelia sposarsi nel 1938 con un tremensuolese doc Nicandro D’Acunto, nato il 20 febbraio 1916, lavoratore instancabile a far mattoni presso la locale fabbrica di laterizi le SIECI. Poi il cognato nello stesso anno parte per la leva nella Regia Marina, assegnato a Genova. Richiamato per l’entrata in guerra dell’Italia lascia la sposa incinta. A Taranto si imbarca sull’incrociatore Bartolomeo Colleoni. All’alba del 19 luglio 1940 nella battaglia di Punta Spada, al largo dell’isola di Candia, l’incrociatore italiano viene colpito nella sala macchine da navi australiane e inglesi. Esplode e affonda alle 8.29, portando con se negli abissi 121 marinai, mentre gli altri 525 furono recuperati e fatti prigionieri dagli inglesi. Il comandante, Capitano di Vascello Umberto Novaro, gravemente ferito, fu salvato dal suo equipaggio mentre avrebbe voluto affondare con la nave. Morì quattro giorni dopo ad Alessandria d’Egitto e la Royal Navy gli rese pieni onori militari alla presenza dell’equipaggio superstite e del capitano di vascello Eugenio Martini, in seguito medaglia d’argento al V.M., già comandante in seconda.
Il nostro protagonista Nicandro D’Acunto ferito a una gamba, resta in acqua per 18 ore prima di essere recuperato e portato prigioniero in Egitto e da qui trasferito in India e infine in Inghilterra. Tornerà in Italia nel maggio 1946. Non trova la sua sposa ad attenderla con il figlio nato. L’Italia in guerra aveva subito lutti per denutrizione e assenza di medicinali. Nel 1941 era morto il bambino e l’anno successivo muore Amelia. Nicandro è profondamente legato alla famiglia Conte e rivolge le sue attenzioni, ricambiato, ad Elvira, la sorella più piccola della sua Amelia. Le due sorelle erano figlie di mamma Filippa componente a sua volta di una famiglia di otto tra fratelli e sorelle. Si sposano il 12 gennaio 1947, lei ventitreenne. Nell’immagine che pubblichiamo appaiano nella foto da studio che si usava realizzare nel dopoguerra. Lei appare di una bellezza fiera, un volto sereno, un abito estremamente elegante, frutto certamente di indubbi sacrifici.
Celebra le loro nozze don Antonio Pecorini, primo parroco di Scauri e morto in odore di santità, nella Chiesa di Maria Santissima Immacolata. Staranno insieme sino alla morte di lui, avvenuta nella festività dell’Immacolata l’8 dicembre 1993, dopo 46 anni di vita insieme. Ma torniamo indietro al 12 gennaio 1947 per raccontare di quando “C’era una volta Scauri”. Nell’ultimo dopoguerra si viveva in tutto il comprensorio con indubbi sacrifici e si era tutti impegnati nella ricostruzione. Gaetani, sperlongani, formiani, castelfortesi, traettesi tutti impegnati a ricostruire i loro borghi. Scauri sino a quegli anni non era eccessivamente abitata, poca la popolazione e i fabbricati. Di questi ultimi molti distrutti o danneggiati a causa del conflitto bellico. Di solito nelle spartizioni delle proprietà tra i figli si lasciavano i terreni scauresi alle figlie femmine perché poco redditizi e meno pregiati per l’agricoltura essendo sabbiosi. Poi con la nascita della sua vocazione turistica i ruoli e i valori si ribalteranno.
Nicandro ed Elvira partecipano nel loro piccolo alla ricostruzione del centro abitato alzando letteralmente la loro casa mattone dopo mattone. Piccoli appezzamenti di terreno vengono divisi tra fratelli e cugini e in viuzze dense di vita ognuno assicura un focolare alla propria famiglia. Elvira e Nicandro sono esemplari e con infinito amore crescono i loro due figli Giovanni nato il 7 ottobre 1947 e Amelia il 15 febbraio 1950. Quest’ultima porta il nome rispettivamente della prima sposa di Nicandro e sorella della nuova consorte. È stato un comune atto d’amore…alla memoria. Elvira fa fruttare al meglio il magro stipendio del marito che si spezza la schiena – come tanti compaesani – sul lavoro, cercando di fare più straordinario possibile. Elvira ha un obiettivo, oltre alla realizzazione della casa, il riscatto sociale per i suoi figli. Debbono studiare, laurearsi e divenire dei professionisti.
Gianni e Amelia fanno la loro parte. Ma la scuola costa in termini di libri e materiale didattico. Per l’acquisto dei testi un anno Elvira si fa coraggio e si reca dal datore di lavoro del marito e chiede un anticipo sulla paga per l’acquisto dei libri scolastici. La risposta sembra dettata dallo scrittore siciliano Giovanni Verga: “quando non si possono far studiare i propri figli li si manda a lavorare”. La risposta di Elvira è densa di grande dignità ed orgoglio: “io farò qualunque sacrificio ma i miei figli studieranno”. E ciò avvenne. Gianni diventerà direttore di banca e Amelia professoressa di lettere. Ma l’episodio ha un suo ritorno di scena: alla Scuola Media Fedele di Scauri la neo professoressa durante un ricevimento genitori incontra colui che rispose in quel modo alla madre e gli dice: “io sono quella ragazza che secondo lei doveva andare a lavorare insieme a mio fratello. Ecco sono qui”. In questa frase la risposta nobile e orgogliosa di mamma Elvira. Questa grande donna si è spenta nel febbraio 2021 dopo essere divenuta nonna di quattro nipoti e bisnonna di nove pronipoti. In lei ritroviamo le donne di Scauri di una generazione che hanno fatto… Scauri e il progresso della loro comunità.