Angelo Manna nato ad Acerra l’8 giugno 1935 e morto a Napoli l’11 giugno 2001 è stato un giornalista e storico, politico e poeta italiano. Candidato indipendente nelle liste del Movimento Sociale Italiano, è stato deputato dal 1983 al 1992. Era il 4 marzo 1991 quando, nella Camera dei Deputati, pronunciò una storica interpellanza con la quale chiedeva al Ministro della Difesa Giovanni Spadolini (toscano di cui erano ben note le sue idee sul risorgimento italiano), rappresentato in quella seduta dal sottosegretario Clemente Mastella, di togliere il segreto di stato dall’archivio dell’esercito italiano e su tutti quei documenti comprovanti “gli intenzionali bestiali crimini perpetrati dalla soldataglia piemontese” ai danni delle popolazioni inermi delle “usurpate province meridionali”. Presiedeva la seduta il vice presidente Adolfo Sarti nato a Torino il 19 giugno 1928 e spentosi a Roma il 2 marzo 1992, democristiano che è stato anche Ministro della Repubblica. Lo storico ed ex assessore comunale di Gaeta Antonio Ciano nel suo famoso libro riporta quanto accadde in questa storica seduta della Camera dei Deputati.
Il sottoscritto onorevole Angelo Manna chiede di interpellare il ministro della difesa per sapere – constatato che vige tuttora il più ostinato e pavido top secret di fatto su quasi tutti i documenti comprovanti gli intenzionali bestiali crimini perpetrati dalla soldataglia piemontese ai danni delle popolazioni, per lo più inermi, delle usurpate provincie meridionali dal tempo della camorristica conquista di Napoli a quello della cosiddetta breccia di Porta Pia (praticata dai papalini dal di dentro delle mura leonine?): top secret voluto, è evidente, dai grandi custodi di quell’epoca di scelleratezze e di razzie che prese nome di risorgimento italiano e della quale il Sud paga sempre a caro prezzo le conseguenze; considerato, altresì, che nell’assoggettato ex Reame libero e indipendente va assumendo, finalmente, sempre più vaste proporzioni quel processo di revisione e di demistificazione della storia scritta dai vincitori (tuttora storia ufficiale!) che dovrà fornire le motivazioni di fondo e lo stimolo alle future immancabili rivendicazioni politiche delle colonizzate regioni: quando vorrà degnarsi di consentire il libero accesso agli archivi dello stato maggiore dell’esercito italiano che nascondono tuttora, in almeno duemila grossi volumi, documenti fondamentali di natura non già soltanto militare (ordini, dispacci, rapporti relativi a movimenti di truppa e ad esiti di combattimenti, di imboscate e di raid repressivi e briganteschi) ma anche e soprattutto di natura squisitamente politica: istituzioni riservate anche cifrate del governo subalpino a luogotenenti, prefetti, ufficiali superiori, sindaci, comandanti di guardie nazionali, nonché verbali di interrogatori eseguiti nelle carceri, nelle caserme, presso le sedi municipali, dagli aguzzini in uniforme che si coprirono di disonore nell’infame periodo delle leggi marziali e delle sbrigative esecuzioni capitali; nonché soffiate di spie e informazioni di agenti segreti ai militari, distinte di requisizioni, confische e espropri illegittimi con l’indicazione delle vittime; nonché elenchi dettagliati dei preziosi, dei contanti e degli oggetti d’arte o sacri razziati nelle case, nei banchi pubblici, nei palazzi reali, nelle chiese; nonché elenchi di premi, cattedre universitarie o liceali, sussidi una tantum o vitalizi a rinnegati, prostitute, delinquenti comuni (camorristi) e profittatori dai nomi altisonanti trasformati in eroi puri e beatificati o divinizzati nei sacri testi dell’agiografia risorgimentale”.
Antonio Ciano osserva che la risposta a cotal guanto di sfida sembrava non arrivare mai.
L’interpellanza era velenosa ed inaspettata, era stato messo il dito sulla piaga di questa repubblica nata sulle ceneri del sabaudismo. Si erano legittimate tutte le leggi fasciste e savoiarde, compresi i codici civili e penali, corretti di qualche inezia; era rimasto il regime fiscale barbaro voluto da Bastogi per rapinare il Sud; erano rimasti i nomi di strade, piazze e scuole intitolate, per piaggeria, ai Savoia ladroni, ai garibaldini furfanti, ai Bertani, ai Farini, ai Cavour proponendoci perfino un inno nazionale “Fratelli d’Italia” a dispregio del milione di morti avuti dal Sud dal 1860 al 1870.
Allora aspetteremo tempi migliori, penseranno le future generazioni a cancellare definitivamente i nomi degli “eroi” risorgimentali impressi sulle lapidi che infangano il nostro martoriato Sud, penseranno i nostri figli ad abbattere i monumenti ai ladroni e usurpatori del Regno delle Due Sicilie che ammorbano l’aria delle nostre piazze. Non possiamo inneggiare a chi ci ha appezzentiti, a chi ci ha fucilati, impiccati per rapinarci, ai generali assassini tagliatori di teste. Un giorno erigeremo monumenti ai nostri Eroi fatti cadere nell’oblio dai liberatori e rigeneratori risorgimentali”.
L’Onorevole Manna continua: “I giorni passavano e dell’interpellato ministro non avemmo notizie. Abituato ad essere sempre chiamato in causa per pacifiche sciocchezze e aduso all’entusiastico costante apprezzamento degli storiografi settari e dei suoi correligionari massoni ed ex fascisti, si era forse offeso, l’interpellato ministro, magari per il tono, provocatorio (certamente), con il quale ci eravamo rivolto a lui?
Ma, formalmente interpellato nella sua qualità di ministro poteva sottrarsi al suo dovere di rispondere? No.
Contro ogni regola, il pachidermico desso si premurò di darci una risposta cinque mesi e mezzo dopo, e non direttamente, ma attraverso uno dei suoi dei suoi sottosegretari, lo anche ora on. Clemente Mastella.
Fu proprio una vera vigliaccata bersaglieresca, la sua: che non solo evitò il confronto in aula, fra la sua falsa verità – falsa , ovviamente – e la nostra… ma spedì allo sbaraglio, a dir frottole, un sottosegretario di Ceppaloni, come dire un autentico conterraneo… un sannita di una zona che, calati i mongoli infranciosati dalle steppe sabaude, era stata più volte vittima dei loro bestiali raid banditeschi… un terùn a smentire un terun… divide et impera…
Spadolini la sapeva lunga la storia delle chiavicherie risorgimentali…”
Si, proprio così, Spadolini mandò a rispondere in aula l’on. Mastella che conosce benissimo la storia d’Italia e quella dei suoi luoghi.
Il 14 agosto del 1861 le truppe piemontesi, su ordine del generale macellaio Enrico Cialdini si diressero verso Pontelandolfo e Casalduni, due paesi del beneventano a poca distanza da Ceppaloni, paese natale del sottosegretario alla difesa, bruciando le due tranquille cittadine, saccheggiando tutte le abitazioni, fucilando chiunque respirasse, donne e bambini compresi.
I morti secondo il Popolo d’Italia furono 164 (Antonio Ciano, I Savoia e il massacro del Sud, Grandmelò srl, Roma, 1996, pag. 180) e tra essi, ci è stato riferito direttamente da Manna, ci fu anche il bisnonno dell’on. Mastella.
Riteniamo quindi quella del ministro della difesa Spadolini una vera vigliaccata.
L’Onorevole Manna ci fa sapere che “…Mastella venne in aula il 4 marzo del 1991. Presiedeva l’indimenticabile on. Adolfi Sarti, piemontese, sì, ma di buone letture e di convinzioni abbastanza vicine alle nostre…”
Riportiamo qui di seguito il testo stenografico della memorabile che, secondo il nostro modesto parere, dovrebbe essere apposta all’ingresso di ogni paese meridionale per ricordare ai nostri figli i crimini che i Savoia perpetrarono nel Sud in nome di quella pseudo-unità d’Italia che fu invece truce conquista militare e colonizzazione selvaggia.
L’interpellanza fa parte degli Atti parlamentari della X legislatura, Discussioni, alle pagine 79988 – 79993 del 4 marzo 1991, atti pubblici, quindi accessibile a tutti.
Presidenza del vicepresidente Adolfo Sarti.
Svolgimento di una interpellanza e di interrogazioni.
Presidente. L’ordine del giorno reca interpellanza e interrogazioni.
Cominciamo dalla seguente interpellanza. Il Presidente dà lettura dell’interpellanza.
Poi avverte: l’onorevole Manna ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n.2-01134.
Angelo Manna. Rinunzio ad illustrarla. Mi riservo di intervenire in sede di replica.
Presidente. L’onorevole sottosegretario di Stato per la difesa ha facoltà di rispondere.
Clemente Mastella Sottosegretario di Stato per la difesa.
Signor Presidente, onorevole Manna, la mia risposta, me ne dispiace molto, è brevissima, per la verità. L’accesso ai documenti sul brigantaggio custoditi presso lo stato maggiore dell’esercito, contenuti in circa 140 raccoglitori e non in 2000, come si legge nell’interpellanza, è libero.
Unica formalità di rito è una richiesta scritta preventiva, necessaria per regolare l’afflusso dei visitatori.
I documenti sono già stati utilizzati per realizzare opere edite.
Presidente. L’onorevole Manna ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto della risposta.
Angelo Manna. Signor Presidente, non credo di potermi dichiarare soddisfatto della risposta fornitami dall’onorevole sottosegretario che avrei preferito vedere stasera in quest’aula: per il fatto che sono suo conterraneo, e che so benissimo quanto è costato ai suoi antenati vivere a Ceppaloni, a un tiro di schioppo da Casalduni e Pontelandolfo, terre ancora oggi maledette, terre di briganti,come furono definite, con tanto di carta protocollo e di timbri del Regno d’Italia, nel 1861. Onorevole Mastella: della risposta che a nome del governo si è degnata di dare alla mia interpellanza, ella è stata- mi scusi- soltanto la voce: e neppure la voce dell’attore, ma quella del pappagallo (non ce l’ho con la sua persona).
Quale rappresentante del governo, ella si è informata male, si è accontentata della solita risposta evasiva, degna soltanto della massima commiserazione, visto che a fornirgliela sono stati alti ufficiali di un esercito che è proprio quello che non faccio fatica a definire, da trentacinque anni, erede a pieno merito di quello piemontese.
E quello che è peggio, signor sottosegretario, è che lungi finanche d’aver risposto in maniera evasiva- ella ha prestato la voce di pappagallo a uno stantìo e puzzolente copione che, scritto male e stampato peggio, è quello che la solita combriccola dello stato maggiore dell’esercito italiano rabbercia e stiracchia a piacimento da più di un secolo, e da più di un secolo riesce riesce perfino ad imporre ai rappresentanti del governo dello Stato unitario perché, per l’appunto, possano prestare ad esso soltanto la voce, e neppure quella dell’attore: quella del pappagallo…
Certo: l’archivio storico dello stato maggiore – lo conferma la sciocca laconicità alla quale ha costretto lei, il governo italiano! – è l’armadio nel quale la setta tricolore custodisce e protegge i suoi risorgimentali scheletri infami; custodisce e protegge le prove delle sue gloriosità sempre abiette; custodisce e protegge le prove che nel 1860 l’esercito piemontese calò a tradimento nel Regno di Napoli e si comportò, secondo il naturale dei suoi bersaglieri e dei suoi carabinieri, da orda barbarica; custodisce e protegge le prove che Vittorio Emanuele II di Savoia, ladro, usurpatore, assassino (e perciò galantuomo) nonché il suo protobeccaio Benso Camillo, porco di stato (e perciò statista sommo) ordinarono ai propri sadici chianchieri ( traduco per i toschi: ai propri sadici macellai) di mettere a ferro e fuoco l’invaso Reame, libero, indipendente e sovrano, e di annetterlo quindi al Piemonte grazie ad un plebiscito che fu soltanto una truffa schifosa, combinata da garibaldesi, da guardie nazionali, da soldati allobrogici, e da camorristi…
L’archivio storico dello stato maggiore dell’esercito italiano è l’armadio nel quale l’unificazione tiene sotto chiave il proprio fetore storico: quello dei massacri bestiali, delle profanazioni dei templi e dei furti sacrileghi, degli incendi dolosi, delle torture, delle confische abusive, delle collusioni con Tore ‘e Crescienzio ( Salvatore De Crescenzo per l’anagrafe) e con la di lui camorra, degli stupri di fanciulle, delle giustizie sommarie di cafoni miserabili ed inermi, delle prebende e dei privilegi dispensati a traditori, assassini e prostitute come la famigerata Sangiovannara, De Crescenzo, anch’essa, Marianna, per l’anagrafe e per i suoi clienti…
Quali studiosi hanno potuto aprire questi armadi infami, signor sottosegretario? I crociani postumi, gli scribacchini diventati cattedratici per aver saputo rinnegare la propria origine e per aver saputo rinunciare alla ricerca della verità storica, per aver dimostrato di saper essere i sacerdoti, i vestali. Del sacro fuoco del mendacio?
Signor Presidente, per favore, si volti: osservi e legga il pannello che è alle sue spalle…Riproduce un falso storico! Lo feci rilevare in quest’aula, qualche anno fa, devo ripeterlo stasera, signor Presidente, per dimostrare ancora una volta che finanche la sede della più solenne delle istituzioni italiane reca il marchio del mendacio: alle urne, nel Regno di Napoli invaso, si presentò solo l’1,92 per cento degli abitanti…
Come potettero aversi, dunque, più di un milione e mezzo di voti?…
(L’aula rumoreggia: qualche deputato mostra insofferenza…)
Mauro Mellini. Si ebbero con la tecnica dell’uno per mille…
Angelo Manna. Eh, tu sapessi a quante tecniche fecero ricorso!…
Presidente. Onorevole Manna, mi consenta di interromperla.
Le prometto che detrarrò dal computo del tempo a sua disposizione quello utilizzato per il mio intervento…Vorrei che lei sapesse che l’ascolto, e anch’io mi considero un modesto cultore di memorie storiche. Naturalmente mi son fatto una opinione precisa, anche perché ho un’età, purtroppo, più avanzata della sua…
Angelo Manna. Non è colpa sua, né è merito mio, né viceversa…
Presidente. Mi consenta di farle una piccola raccomandazione: sul linguaggio.
Non mi permetterei mai di entrare nel merito di un dibattito storiografico di tanto interesse. La invito solo ad una maggiore moderazione del linguaggio.
Trattandosi della narrazione di eventi drammatici, che appartengono in qualche modo alla storia d’Italia, ne guadagneranno l’obiettività, la serenità e l’austerità di quest’aula.
Angelo Manna. A parte, mi perdoni, l’inaccettabile in qualche modo, Le sono grato, signor Presidente. Accetto comunque la sua cordiale raccomandazione, e soprattutto perché ella, da buon piemontese, ha letto anche i testi visti dall’altra sponda, come quello del suo corregionale generale Bertoletti, autore de Il Risorgimento visto dall’altra sponda: un testo che io stesso curai, come ella sa, quando l’editore napoletano Berisio volle pubblicarlo, venticinque anni fa…
Presidente. Conosco perfettamente questo genere letterario, e voglio ricordarle che fu una casa editrice piemontese, nell’immediato dopoguerra, a presentare una raffigurazione della storia d’Italia più problematica di quella esposta nei testi ufficiali. Mi riferisco ad un testo aureo che credo lei abbia ben presente: L’Alfiere di Carlo Alianello…
Angelo Manna. Certo che ce l’ho ben presente, signor Presidente, e la ringrazio per la citazione. Carlo Alianello è uno dei miei sacri evangelisti…
Clemente Mastella, Sottosegretario di Stato per la difesa.
Dunque la discussione è un dialogo fra voi…? il governo non c’entra…?
Angelo Manna. i piemontesi buoni tra virgolette, voglio dire onesti, vi sono sempre stati, ed anche a quel tempo: uno per tutti, il generale Govone, fior di galantuomo che però ebbe il torto di mettersi troppe volte sugli attenti di fronte ad una canaglia come Cialdini o di fronte ad emeriti cialtroni e criminali sanguinari del calibro dei Fanti, dei Della Rocca, dei Pinelli…
…Vogliamo nominarli tutti, i cattivi? Non la finiremmo più…
Certo che, signor Presidente, anche qualche generale italiano è stato di recente preso dalla frenesia della ricerca storica.
E quello che è riuscito a capire, a scrivere e dare alle stampe, è stato ed è (me lo consenta signor Presidente) roba da storico voltastomaco…
Il generale Oreste Bovio, che dal 1980 al 1982 ha retto l’archivio storico dell’esercito italiano, ha osato pubblicare, nel 1987, naturalmente a spese dello Stato, quanto segue: Non può ragionevolmente esser fatto alcun addebito all’ufficio storico dell’esercito per non aver sentito la necessità di analizzare un comportamento delle unità impiegate nella lotta al brigantaggio. Quale importanza potevano avere allora piccoli scontri con briganti e predoni?
Povera storia, signor Presidente! Poveri cafoni meridionali, povera questione ardente, agraria, sociale!
Povero Pasquale Villari, povero Antonio Gramsci, povero Guido Dorso, povero Gaetano Salvemini, e povero Molfese! Povera questione meridionale! Voglio supporre che questo Oreste Bovio sia stato gratificato a dovere, magari con diplomi e medaglie e mance competenti, dalla setta allobrogo – licustre – longobardica alla quale ha mostrato di saper bene reggere il sacco! E voglio sperare che le varie leghe nordiste, tanto care al liberal-capitalismo
(gratificato a dovere dal negrierismo a basso costo sacramentato dalla legge Martelli) vorranno tenere presente, nelle loro anti-storiche confutazioni della storia, questo pagliaccio di generale, il quale, loro involontario profeta, ha annullato, con pochi tratti di penna pagatigli dallo Stato, gli orrori dei massacri contadini meridionali da parte dell’orda assetata di bottino e di sangue, ed ha creduto che il clou della questione meridionale – la sua più bestiale conseguenza, e cioè l’emigrazione come cacciata dei cafoni dalle proprie terre – fosse una favola inventata dai revanscisti borboniani, o fosse il capriccio di meridionali dediti al girovaghismo per essere nati con la spiccata tendenza verso il turismo, verso la scampagnata allegra e spensierata…
Certo, negli armadi dello stato maggiore dell’esercito italiano vi saranno anche le prove del fatto ormai provato abbastanza che, a partire dal 1860 il regno unito scrisse pagine vergognose, non è che si rifece nella prima guerra mondiale quando tradì la Triplice Alleanza, e non è che non toccasse il fondo nella seconda quando tradì la Germania e Giappone, accorse in aiuto del vincitore anglo-franco-russo e americano e si fece finanche stuprare ( eroicamente, si capisce) dai gloriosi soldati marocchini…
Ma non ci importa niente.
A noi del Sud (del Sud che non intende subire ulteriormente il danno della colonizzazione tendente all’assoggettamento totale e la beffa della distorsione premeditata dei fatti storici che determinarono la sua colonizzazione) non interessano le bubbole che i vestali del sacro fuoco del mendacio tricolore fanno propalare anche al sottosegretario di Stato nella certezza che, per carità di patria, anch’egli, come noi, come i suoi predecessori, non disdegni di farsi complice loro nel servire la mistificazione e i suoi spernacchiati profeti…
L’ufficio storico dell’esercito italiano custodisce e protegge, e sta attento a non renderle pubbliche, le prove storiche che quella sacra epopea che fu detta risorgimento altro non fu se non una schifosa pagina di rapine e massacri scritta da un’orda barbarica che, oltre la vita ed i beni, rubò al Sud e portò nell’infranciosato Piemonte ( ma questo, per il momento, non è affatto tra i motivi della mia polemica) finanche il sacro nome d’Italia!
Gli armadi con gli scheletri infami che riguardano la repressione del cosiddetto brigantaggio, che fu eroica epopea di centinaia di migliaia di poveri cafoni disperati, recano la catalogazione G11 e G3, e sono circa 150 mila fogli che, contenuti in 140 dossier, costituiscono la prova documentale delle efferatezze subite dal Reame Napoletano degradato a feudo sabaudo da disbattezzare, spremere, colonizzare e assoggettare…
Signor Presidente, signor sottosegretario, colleghi! Io non mi chiedo affatto se l’aspetto più vergognoso sia rappresentato dal non già ottuso ma settario rifiuto da parte degli eredi della soldataglia piemontese, ligure e lombarda di aprire gli armadi infami, o se sia, piuttosto, rappresentato dall’acquiescenza, che è omertà passiva, di un governo che consente a dei soldati (i quali possono gloriarsi solo di aver fatto carriera sul campo dell’eterna battaglia delle lottizzazioni ingaggiata dai partiti democratici egemoni) di gestire a piacimento una massa di documenti storici di eccezionale valore e di concederli in visione, ancora a piacimento, soltanto a scrittorelli di indubbia fede anti-storica: scrittorelli che non spezzerebbero mai il sacro giuramento massonico-ateo-liberal-capitalistico di servire vita natural durante il mendacio sul quale è fondata l’ancora imperversante agiografia del cosiddetto risorgimento…Non me lo chiedo perché lo so.
Sulla questione dell’ufficio storico dell’esercito scrisse quattro anni fa su L’Espresso Giorgio Bocca: “sarebbe davvero troppo chiedere ai militari di documentare e pubblicizzare le violazioni della morale comune che il potere politico gli ha chiesto e ordinato…”
Il Bocca non andò oltre, non so se per calcolo tricolorico o perché gli si inceppò improvvisamente il cervello.
Oltre, signor Presidente, se me lo consente, vado io. E vado oltre che ha si 131 anni il copione che i responsabili dell’ufficio storico dell’esercito italiano rabberciano e stiracchiano a
piacimento e impongono persino ad un rappresentante del governo a che possa compiacersi di prestare alle sue battute soltanto la voce (neppure quella dell’attore: quella del pappagallo).
E vado affermando che esso non può essere rimaneggiato, riveduto, corretto, adattato ai tempi, adeguato alle reali necessità della storia…
Sarebbe troppo esigere dai militari l’apertura degli armadi nei quali sono custoditi e protetti gli scheletri del cosiddetto risorgimento. Ma non perché, signor Presidente, un esercito non ammetterebbe mai e poi mai crimini di guerra di cui si è macchiato per ordine della classe politica egemone! Tutti gli eserciti del mondo commettono scempi orrendi! Saponificando, napalmizzando, lanciando bombe atomiche, chimiche, batteriologiche. Ed è umano che nessun esercito sia disposto a mettere in piazza la propria disumanità, e a produrre addirittura l’inconfutabile prova documentale…Ma…
Nel nostro caso, signor Presidente, si tratterebbe di mettere in piazza che gli eroi del cosiddetto risorgimento fossero dei criminali sull’orlo dell’asburgizzazione, e che i loro sacri ideali facessero da paravento a uzzoli predatori e sanguinari. Al grido di Fuori lo straniero!, gli eroi ( cioè i criminali) imposero ai rinnegati e agli spergiuri del Regno di Napoli la cacciata di un re che era napoletano verace da quattro generazioni, la distruzione di uno Stato libero, indipendente e sovrano! E al posto di quel re imposero un tizio che parlava francese e che era il re più spergiuro e fellone e debitoso d’Europa: a prova di storia.
Nel nostro caso si tratterebbe di mettere in piazza che l’annessione del Reame napoletano fosse un’operazione che senza l’intervento della camorra non sarebbe riuscita.
Signor Presidente, furono i camorristi di Tore ‘e Crescienzo, di Salvatore De Crescenzo, a presidiare i seggi nel corso del truffaldino plebiscito e ad uccidere di mazzate i timidi e inermi difensori delle ragioni della monarchia nazionale! Ed erano stati loro, i camorristi, il 7 settembre, ad inchiodare con le bocche rivolte verso il mare i cannoni che i fedelissimi della Guardia nazionale ( che, inconsciente, si fregiava della bandiera tricolore!…) avevano puntato verso la stazione ferroviaria, dove, proveniente da Salerno, sarebbe arrivato lui, il leone imbecille, Giuseppe Garibaldi…
Nel nostro caso, signor Presidente, si tratterebbe di dare la conferma documentale che ai decennali massacri belluini perpetrati dall’orda barbarica seguisse, quale conseguenza diretta, una emigrazione che fu un’esplosiva emorragia a catena, proprio l’effetto delle raffiche di calcioni tricolori sparate dal regno unitario nei fondelli sfondati di coloro i quali avevano avuto l’infelice idea di scampare niente meno che a dieci anni di carneficine…
Nel nostro caso si renderebbero pubbliche, finalmente, le cause vere della questione meridionale e si fornirebbero dunque ai politici e ai sindacalisti di oggi le basi sulle quali impiantare, alla fine, la fine dei rimedi specifici…
Nel nostro caso, infine, si tratterebbe di mettere in piazza che l’invasione, l’annessione e i massacri subiti dal Kuwait, pochi mesi fa, li subisse, a partire dal 1860, il Reame di Napoli, ad opera di un Saddam Hussein che si chiama Vittorio Emanuele II…
Mauro Mellini. Certo: in fatto di poligamia un collegamento c’è…
Angelo Manna….e che, anche allora, invasione, annessione e massacri costituissero una sfacciata violazione del diritto internazionale. No, noi non avevamo il petrolio, caro Mellini. Avevamo tanto oro, tanta dignità e tanto onore…
Epperò, ecco ciò che contava, eravamo un’enorme piazza di consumo: eravamo un mercato di nove milioni e mezzo di bocche!…
Eh, si, signor Presidente… e la comunità mondiale se ne stette cinicamente a guardare.
E quando fu raggiunta dagli urli di sdegno degli uomini, dai lamenti dei torturati, dalle grida delle fanciulle stuprate talvolta soltanto a colpi di baionetta: solo allora si affrettò…a chiudere le finestre e balconi…l’infastidita, molestata dal rumore, dal chiasso che noi, moribondi, osavamo fare…
Signor sottosegretario, ho avuto rapporti con l’on. Falco Accame che è stato presidente della commissione difesa nella IX legislatura e con i colleghi Edo Ronchi e Guido Pollice.
Abbiamo deciso di proporre al Parlamento l’adozione di una legge che imponga il trasferimento dell’intera massa documentale di cui l’esercito è abusivo tenutario dal 1858 (era soltanto esercito sardo-piemontese quando il suo re gliela affidò) presso gli archivi di Stato della Repubblica italiana…
Ma, ecco il punto, sappiamo quanti bastoni ci infileranno tra le ruote: i soldati? No. Alla soluzione tanto ovvia che abbiamo intenzione di prospettare non si opporrà affatto l’esercito!…si opporranno i ras della partitocrazia i quali, pur di continuare a far credere agli italiani la bella favola del cosiddetto risorgimento, non esitano a venire in quest’aula ( o a presiedere convegni, e congressi, e concioni) per prestare a copioni ormai laceri e puzzolenti le proprie voci neppure di attori, di pappagalli, e a rimetterci quel po’ di prestigio di leader e di ministri che ancora non ci hanno rimesso nel correre appresso ai più loschi affari, nell’immaginarli, progettarli, realizzarli.
Gli armadi non si apriranno: perché sarà il potere politico a vietarlo. Non quello militare.
Signor sottosegretario, chiudo le mie osservazioni (e le chiedo scusa se l’hanno offesa: ma è evidente che io non ce l’avessi con lei) affermando che per ritenermi soddisfatto della sua risposta, avrei dovuto fingere di non aver letto tutte le analoghe risposte fornite a precedenti interrogazioni e interpellanze dai ministri Spadolini e Zanone, un repubblicano e un liberale: risposte monotonamente uguali e arrogantemente e protervamente bugiarde!
Onorevole sottosegretario, se lo gradirà, io potrò darle copia degli atti del convegno che si è svolto nel gennaio del 1986 a Cerreto Sannita sul cosiddetto Brigantaggio post-unitario nelle provincie meridionali. Fra i documenti troverà la scheda con la quale gli studiosi possono chiedere l’accesso ai documenti scottanti custoditi dall’ufficio dello stato maggiore dell’esercito italiano: ai documenti riguardanti il cosiddetto brigantaggio e il cosiddetto risorgimento.
Dall’esame di questa scheda ella si potrà rendere conto che, alla fine, i documenti in parola restano praticamente inaccessibili agli studiosi qualsiasi, ai poveri quivis de populo… Democraticamente. ricordo il generale Poli, l’11 marzo del 1987 trasmise al vicepresidente della commissione difesa della Camera, onorevole Baraccetti, un messaggio nel quale farisaicamente sosteneva: il problema più generale del libero accesso all’ufficio storico nella realtà non esiste, in quanto nel pieno rispetto e nell’osservanza del decreto del Presidente della Repubblica n. 1409 del 30 settembre del 1963, il suo archivio è aperto a tutti i ricercatori, italiani e stranieri, senza remora o restrizione alcuna…
Ne fanno fede le larghe utenze fruite da grossi nomi del mondo accademico…
Menzogne! Signor sottosegretario, tra questi grossi nomi del mondo accademico, non vi è mai stato né il piccolo né il grosso nome del mondo meridionale, accademico o meno, non vi è mai stato il nome del ricercatore, dello studioso meridionale, conterraneo suo, signor sottosegretario, e perciò anche mio… A fruire permessi sono stati e sono i soliti scribacchini che fanno spendere centinaia di miliardi al contribuente italiano per consolidare le puttanate che gli storiografi prezzolati cominciarono a mettere in giro da Gaeta in poi, forti del solo merito di essersi saputi vendere ai vincitori, ai gestori dell’orda barbarica che – che ti è piaciuta la bicicletta? E mò pedala! Non potevano essere stati e non essere che i gestori di un esercito liberatore e redentore!
(tratto dal libro “I Savoia e il Massacro del Sud” di Antonio Ciano edito da Jasom Forbus per conto d’Ali Ribelli).