Sono almeno 1.120 le scuole italiane in cui è stato riscontrato almeno un caso di coronavirus, diffuso soprattutto tra gli studenti.
E 99 sono quelle in cui tra i banchi è scoppiato un focolaio, con almeno due casi collegati tra loro.
È questo il bilancio parziale, fissato al momento della pubblicazione ma in continua evoluzione minuto dopo minuto, della diffusione del Covid negli istituti scolastici che, in attesa del rapporto ufficiale del Ministero dell’Istruzione che doveva essere pubblicato all’inizio della scorsa settimana, hanno elaborato uno studente e un dottorando italiani: Lorenzo Ruffino, iscritto a Economia all’Università degli studi di Torino, e Vittorio Nicoletta, dottore di ricerca in Sistemi decisionali in Canada.
Il monitoraggio empirico sull’impatto del Covid dopo sei mesi di “lockdown scolastico” si basa sulle notizie apparse sui media e sulle segnalazioni inviate da studenti genitori o prof a partire dal 14 settembre, giorno di avvio della maggior parte delle scuole, al netto del ritardo di qualche Regione causa referendum e amministrative o dei singoli plessi che nella data stabilita per la ripartenza non avevano ancora né banchi né docenti.
Guardando le tabelle si scopre che sono 1243 le news apparse sul tema.
Ma sono 1120 le scuole coinvolte. Una piccola minoranza, appena 17, avevano già positivi accertati prima del 14 settembre: si tratta dunque di asili nido che sono partiti per primi. Sono invece 429 quelle in cui il contagio si è verificato tra il 14 e il 23 settembre; e 673 quelle in cui la diffusione è avvenuta dal 24 settembre in poi, data in cui gli istituti hanno riaperto in tutte le Regioni.
“In numeri assoluti sembrano poche le scuole interessate dal contagio di cui siamo riusciti a reperire notizie rispetto al totale di istituti italiani che sono quasi 67mila – spiega Lorenzo Ruffino – Ma va valutato anche l’impatto sulla vita reale”.
In almeno 139 di questi casi l’intera scuola è stata chiusa. E negli altri è scattata la quarantena per intere classi.
La scuola non sarebbe però, per ora, il motore dell’epidemia.
Nel Lazio, ad esempio, “la gran parte sono contagi con link extrascolastico, quindi in situazioni di aggregazione o familiari, contesti portati da fuori dentro la scuola” afferma l’assessore regionale alla Sanità Alessio D’Amato.
Tornando al dossier dei due studiosi, in totale studenti e prof contagiati sarebbero 1418.
Aggiunge Ruffino: “Immaginando che ogni classe abbia una ventina di alunni abbiamo calcolato che a sole tre settimane dalla prima campanella possano essere già 25mila i ragazzi e le bambine in quarantena: un problema per i genitori che devono stare con loro perché magari è meglio non lasciarli con i noni e un problema per gli istituti che devono garantire la didattica a distanza per almeno quattordici giorni.”
Dai grafici emerge che sono gli studenti i più colpiti con il 78, 4 per cento dei casi, seguiti dai docenti (10,5%) e dal personale (4%). Nel 7% dei casi invece non è stato possibile accertare il contagiato.
I più colpiti sono i licei e gli istituti tecnici o professionali di istruzione superiore che ospitano in genere, salvo anticipi o bocciature adolescenti tra i 14 e i 18 anni, che da soli sono un terzo della globalità.
Poi ci sono i bambini e le maestre e i maestri dalla primaria e quelli della scuola dell’infanzia.
La geografia del contagio nelle scuole racconta ancora che il virus si è diffuso di più in Lombardia, seguita da Veneto, Emilia Romagna e Toscana.
Una mappa che solo parzialmente coincide con quella dei contagi totali ma su cui pesa però la maggiore o minore distribuzione delle notizie da parte delle Regioni e delle Asl e la data di partenza delle lezioni.