Marco Albano, un formiano di successo a Torino – Marco, raccontaci della tua carriera lavorativa. Come nasce il tuo rapporto con una società come la Juventus?
Sono nato e cresciuto a Formia, e dopo aver studiato alla Ragioneria, mi sono laureato in Economia all’Università di
Cassino, ottenendo 3 borse di studio: negli Stati Uniti, in Francia e in Spagna.
Ho iniziato lavorare a Roma in Ericsson Telecomunicazioni e poi nel settore farmaceutico in Aventis: in entrambe le
aziende lavoravo nel Marketing. Poi ero deciso a tornare negli Stati Uniti, dove avevo studiato per 6 mesi, perché
pensavo e ancora penso che lì ci siano l’ambiente e le condizioni giuste per potersi esprimere al meglio da un punto
di vista professionale. Ma prima di lasciare l’Italia ho voluto propormi all’unica azienda per cui mi sarebbe piaciuto
lavorare, la Juventus. Non è solo una questione di tifo, ho sempre visto la Juventus non solo come una squadra, ma
come un’azienda, in cui esistono delle regole chiare e uguali per tutti. Un’azienda che ha le tipiche qualità degli
italiani (impegno, perseveranza, tenacia, intuizione, talento), senza averne i difetti (approssimazione, superficialità,
assenza di meritocrazia). Lavoro a Torino da 18 anni e posso confermare tutte le impressioni che avevo quando non
ne facevo ancora parte. In questa fase della vita è bello poter dire che se tornassi indietro rifarei ancora quella scelta.
Com’è la vita da Manager del museo bianconero, il “J Museum”?
Nei primi 8 anni mi sono occupato di Marketing lavorando su diversi progetti, culminati con l’organizzazione della
Cerimonia di inaugurazione del nuovo stadio e poi con la realizzazione del Museo. Da quando esiste il Museo ne sono
il curatore, e coordino tutti i Tour di chi viene a visitare anche lo stadio. E’ stata ed è una bella opportunità perché
siamo stati i primi in Italia a realizzare qualcosa di livello internazionale.
Il mio è un lavoro sempre nuovo: organizziamo mostre temporanee, eventi, e investiamo continuamente in nuove
tecnologie e in nuove installazioni. Lo sguardo di questa azienda è sempre rivolto al futuro: lo dice il nostro claim
“Live-ahead”, e lo dice il nostro nome: Juventus deriva dalla parola Gioventù, che è un periodo della vita in cui si
guarda sempre al domani, con entusiasmo. Con la realizzazione del Museo la Juventus ha voluto però celebrare e
onorare il proprio passato, creando quello che oggi è un asset molto importante, non solo da un punto di vista
economico, ma ancora di più in termini di immagine: il nostro Museo è come fosse un biglietto da visita dell’azienda,
è il salotto del Club, in cui si ritrovano le leggende del passato, i nostri ospiti, gli sponsor, i vertici del Club stesso. Il
Presidente Agnelli ogni volta che ne ha la possibilità viene sempre con piacere al Museo, e ogni volta definisce la sua
visita come un’esperienza sempre nuova, data la varietà non solo della nostra collezione ma anche dei tanti
contenuti presenti.
Quella della Juve è stata una scommessa vincente. Parlando di sport locale, quali sono i tuoi consigli? Esistono
ancora possibilità di sviluppo?
La Juventus è stata una scommessa vincente di un gruppo di ragazzi molto giovani che studiavano in un Liceo di
Torino di fine ‘800. Ma la Juventus è diventata un fenomeno non solo sportivo, ma anche sociale, quando nel 1923
Edoardo Agnelli, figlio del fondatore della Fiat, il Senatore Giovanni, decise di acquistarla.
Il segreto del Club è proprio questo: la proprietà, che è sempre la stessa da quasi un secolo e questo è un unicum che
non ha pari neanche in ambito internazionale. Venendo alla realtà sportiva del nostro golfo, ci sarebbero le
condizioni ambientali ideali per fare bene: parlo del contesto paesaggistico (il mare, i monti, il clima). Ciò che manca
però sono gli investimenti. Investimenti, ed un progetto solido di sviluppo sostenibile. Sono certo che il nostro
territorio sarebbe molto fertile in tal senso. Ma il problema è a monte: la politica, che è quella che dovrebbe
garantire lo sviluppo del territorio, non opera nell’interesse reale della collettività. E questo purtroppo accade anche
a livello nazionale. Se il nostro territorio fosse gestito come un’azienda, da manager con specifiche competenze, e
con un investitore privato alle spalle, data la latitanza delle Istituzioni, nel giro di 5 anni si otterrebbero risultati
inimmaginabili.
La pandemia ha pesato sui bilanci di tutte le società. Stadi con capienza ridotta, musei chiusi in lockdown e nuove regole. Come è stato affrontare quel periodo e quali sono i progetti futuri per questa “nuova realtà”.
Il lockdown ha portato danni economici ingenti e le perdite maggiori sono state registrate dalle aziende più grandi.
Nel calcio italiano la Juventus ha sofferto maggiormente la pandemia, essendo quella che ha il fatturato più alto e
anche con i costi maggiori. Ma ogni crisi spinge a fare ancora meglio, cercando nuove soluzioni attraverso un impegno e un’inventiva ancora maggiore. Come è sempre accaduto in passato, anche dopo questa caduta, ci
rialzeremo ancora più forti. Questo vale per la Juventus, e per tutta l’Italia.