Il suolo nasconde un numero straordinario di forme di vita, un’intricata rete di interazioni che coinvolge un’enorme quantità di biomassa vivente: oltre 3000 Kg/ha in un suolo agricolo (Bloem et al., 2003).
Pochi grammi di terreno possono contenere miliardi di batteri, centinaia di chilometri di ife fungine, decine di migliaia di protozoi, migliaia di nematodi, alcune centinaia di insetti, aracnidi, vermi e centinaia di metri di radici di piante.
Tutto ciò costituisce un’enorme quantità di vita “invisibile” che è alla base di numerose attività, quali:
• La trasformazione della sostanza organica;
• La mineralizzazione e il ciclo dell’N e del C;
• Cicli di tutti i nutrienti indispensabili per le piante;
• La stabilità della struttura del suolo;
• Il flusso dell’acqua;
• Il biorisanamento;
• Le risposte allo stress e il mantenimento della fertilità.
I microrganismi possono essere utilizzati come indicatori della qualità del suolo perché svolgono delle funzioni chiave nella degradazione e nel ricircolo della sostanza organica e rispondono prontamente ai cambiamenti del suolo. Inoltre, l’attività microbica del suolo rispecchia la somma di tutti i fattori che regolano la degradazione e la trasformazione dei nutrienti. È comunque estremamente difficile utilizzare i valori forniti dai parametri microbiologici, poiché i microrganismi del suolo reagiscono molto rapidamente anche a variazioni stagionali e si adattano alle diverse necessità ambientali. Perciò può diventare problematico distinguere fluttuazioni naturali da alterazioni causate da attività antropiche, specialmente quando il dato viene determinato senza un gruppo di controllo.
Spesso si è trascurato lo studio su i microrganismi del suolo, ma se solo si entrasse nell’ottica che il loro ruolo è ben inserito in un contesto complesso e ben organizzato secondo natura, si capirebbe davvero la loro importanza.
Le condizioni del terreno, come la struttura e la tessitura, l’umidità la temperatura , ecc., determinano la sopravvivenza e il funzionamento dei microrganismi.
Considerando che è molto difficile mantenere alto il livello di vita del suolo, sarebbe necessario pensare ad un’integrazione. Negli ultimi anni, hanno preso piede le micorrize che svolgono il loro lavoro attraverso una colonizzazione delle radici. Un ruolo importante visti i benefici che le piante ne traggono, ma esse sono estremamente sensibili alle condizioni pedoclimatiche, diverse da anno in anno e da zona in zona, per cui non sono di facile attecchimento.
Riuscire ad avere un’attività microbiologica nel suolo nelle fasi di prefioritura delle piante sarebbe l’optimum di una coltivazione razionale e rispettosa dell’ambiente, in quanto andremmo ad utilizzare sempre meno fertilizzanti, concimi fogliari e prodotti fitosanitari.
Interessante è il lavoro svolto dai batteri della rizosfera (PGPR) che lavorano molecole complesse come la lignina, la cellulosa, sbloccano il fosforo, fissano l’azoto, promuovono la sintesi radicale, stimolano le fitoalessine delle piante, contribuiscono alla formazione e stabilità della sostanza organica e alla colonizzazione delle micorrize intorno alle radici creando un ambiente a loro favorevole. Questi microrganismi lavorano in sinergia tra di loro e sono promotori dello sviluppo degli apparati radicali, rendendoli più funzionali e resistenti alle avversità.
Per questo motivo è importante conoscere bene quello che il nostro suolo ci comunica, è importante approfondire la conoscenza e sviluppare strumenti che ci aiutino a monitorare questa attività.