Leggendario portiere della Juventus
Senza scomodare la famosa triade egiziana Osiride, Iside e Oro o quella romana di Giove, Giunone e Minerva, sappiamo che il numero tre è magico e il terzetto Gianpiero Combi, Virginio Rosetta e Umberto Caligaris fu certamente la migliore linea difensiva dell’anteguerra. Portiere non molto alto, un metro e 74, divenne inamovibile nella Juventus dal 1921 al 1934, senza considerare il triennio precedente nelle giovanili dei bianconeri. Una bandiera per il club torinese e un simbolo per la Nazionale, con cui vinse i mondiali di calcio del 1934 (finale Italia – Cecoslovacchia 2 – 1, Roma 10 giugno 1934, Stadio Nazionale del PNF).
Leggenda del football e torinese di nascita, nacque in Corso San Martino il 20 dicembre 1902 in una famiglia di commercianti (il padre gestiva un’attività di vendita di liquori, tra i quali il marsala all’uovo Combi). Una carriera robusta, non come quella di certi giocatori che durano quanto una sigaretta tra le dita di una mano. Capace di parare con grandi balzi da coguaro, del puma aveva anche le doti muscolari. Esordì nella massima serie non ancora ventenne, il 30 ottobre 1921 (Juventus-Spezia, 2-2). Torneo delle 24 squadre, Girone A, Lega Nord. Gara rude, con l’11 ligure prudente e combattivo, forte in difesa ma lento nell’attacco, che negli ultimi minuti tentò di segnare anche la rete della vittoria, nella speranza, vana, di portare a casa uno storico risultato.
Tessono il filo del destino, le Norne; e per Combi scelsero un finale di carriera all’insegna del trionfo mondiale. Designato a riserva, divenne protagonista di Italia 1934, con gli azzurri di Giuseppe Meazza e Angelo Schiavio. Finale da mito, che vide gli italiani combattere e battere i rivali cecoslovacchi dopo aver subito il goal dello svantaggio al 71′ con Antonin Puc. Poi il pareggio di Orsi e la rete di Schiavio nel primo tempo supplementare. Proprio sui tiri dell’ala sinistra boema, Combi si distinte per delle difficili parate, tra le quali una in cui deviò contro il palo un forte tiro, evitando così il doppio vantaggio dei boemi. Quella del 10 giugno fu la sua ultima partita in maglia azzurra, con la quale collezionò 47 presenze. Sbocciò juventino e tale morì il 12 agosto 1956, mentre vestiva ancora gli abiti di dirigente della società torinese.