Il critico d’arte e scrittore Antonio Sorgente, già alto ufficiale della Guardia di Finanza – Tutela Opere Artistiche, minturnese doc ma residente nella capitale, ci offre una sua interessante e preziosa riflessione sul nuovo Premio Nobel per la Letteratura Louise Gluck con un paragone indovinato con il pittore della solitudine Edward Hopper.
Scrive Sorgente: “Dedico queste mio scritto ai miei amici artisti: poeti e pittori. Questa mattina al Bar del mio quartiere Nomentano – Torraccia di Roma, un mio collega mi ha chiesto: ” Oggi, al caffè, molti parlano di poesia.
Ma cos’è questa poesia?”. Ho risposto: che la poesia (unitamente al canto, musica, danza, pittura, scultura, astronomia, pantomima, commedia), è un’attività letteraria manifestata dagli uomini per esprimere, con elevata tensione spirituale, un sentimento soggettivo e universale, di sé e della propria condizione umana.
Ho proseguito, col riferire che la poesia viene proposta con forme metriche e contraddistinta con altre regole.
La richiesta dell’amico, in verità, era riconducibile ad un articolo del quotidiano La Repubblica che riportava la notizia dell’assegnazione del Premio Nobel per la letteratura alla poetessa statunitense Louise Gluck.
In tale contesto culturale, sono intervenuti altri amici del Bar, che riferivano che l’artista statunitense, per la sua soggezione ed estraneità alla vita, non meritasse il “Premio”, soprattutto perché le sue poesie non erano contraddistinte da un anelito spirituale, da una vena amorosa e nemmeno da un viaggio espressivo segnato dal dolore.
Ho cercato di riferire, senza riuscirci, che i versi poetici della Gluck, viaggiavano tra “mito, solitudine e psicoanalisi” e che ella, pur non proponendo un linguaggio semplice, aveva scritto dei versi poetici con notevole essenza intimistica.
Quindi non era vero che la sua poetica fosse priva di una valida ricerca letteraria-aulica, sebbene questa fosse austera e rigorosa.
I suoi versi, invece, erano caratterizzati da un viaggio segnato dalla solitudine e dalla tristezza. Si trattava, quindi, di un intimismo letterario, tendente ad esprimere propri stati d’animo, in situazioni di criticità.
Nella circostanza, come concetto analogico e di parallelismo (tra le arti), ho citato un connazionale della Gluck, molto famoso nelle arti figurative, il Newyorkese: Edward Hopper.
Il pittore nord americano, nato a Nyack nel 1882 e morto a New York nel 1967, infatti, ha presentato, nel tempo, immagini di personaggi singolari che pur restando seduti vicini ad altre persone, ognuno di loro viveva isolato senza sentire alcuna necessità di relazionarsi.
Una condizione umana, quella di voler essere soli), moralmente e affettivamente assurda.
Specialmente se questo avviene, in un luogo dove sono presenti altri individui.
Una scelta di vita cercata e desiderata perché, senza compagnia, talune persone, ritrovano una personale tranquillità interiore.
Edward Hopper, inoltre, nei suoi dipinti, non cerca partecipazione affettiva, non desidera la collaborazione di altri. Egli vuole rimanere solo con se stesso, perché è nella solitudine che egli ritrova quelle condizioni di vita che lo rendono felice, appagato.
Per similitudine culturale, si è del parere, che Louise Gluck e Edward Hopper, ritrovano, nell’intimismo e nella solitudine, l’inattesa bellezza del mondo e dell’Arte.
È una delle arti (unitamente alla danza)”.
Offriamo ai nostri lettori una poesia del Premio Nobel nella traduzione di Nicola Gardini dal titolo “I gigli bianchi”:
Mentre un uomo e una donna fanno
un giardino tra loro come
un letto di stelle, qui
fanno passare la sera d’estate
e la sera diventa
fredda del loro terrore: potrebbe
finire, sarebbe capace
di devastazione. Tutto, tutto
può perdersi, nell’aria odorosa
le strette colonne
che salgono inutilmente e, di là,
un ribollente mare di papaveri –
Taci, mio amato. Non mi importa
quante estati vivo per tornare:
questa sola ci ha dato l’eternità.
Ho sentito le tue mani
seppellirmi per liberare il suo splendore.