Lo premetto a scanso di equivoci, sono e sarò sempre dalla parte dei Carabinieri. Non per nulla sono stato con orgoglio il promotore del Monumento al Carabiniere di Scauri, l’unico realizzato in provincia di Latina. Non ho incertezze da che parte stare tra un carabiniere in borghese seduto nella sua macchina con la fidanzata e due giovani con casco integrale e maglioni a girocollo in scooter che si avvicinano impugnando una pistola che scarrellano davanti alla coppia per mettere il colpo in canna. Hanno già fatto una rapina, nella tasca del pistolero saranno trovati oggetti d’oro frutto di una precedente rapina.
Fermiamo un attimo la cronaca dell’evento e analizziamo ciò che appare agli occhi del carabiniere ventitreenne di stanza a Bologna. Quando ero un giovane vice direttore di banca ad Arce subimmo una rapina per mano di tre delinquenti. Uno di loro mi affrontò a viso scoperto e vedendo che non abbassavo lo sguardo e lo fissavo con insistenza si alzò il maglione a girocollo sino agli occhi e mi disse con la mano tremante, agitando la pistola, “muoviti o ti ammazzo”. Ebbi paura della sua paura e se fossi stato armato, all’epoca lo ero perché trasportavo i valori alla Banca d’Italia di Frosinone insieme a un collega alla guida (ancora non si usavano i portavalori come oggi) forse con l’incoscienza che si ha a 27 anni avrei potuto reagire. Il carabiniere non ha visto la faccia d’angelo di un sedicenne ma due caschi integrali. Potevano essere i peggiori criminali camorristi e non si è sentito di porre la sua vita e quella della ragazza nelle loro mani.
Domenica 1 marzo, mezzanotte passata, sono in Via Generale Giordano Orsini, in un luogo incomparabile di Napoli tra la Riviera di Chiaia e il Pallonetto Santa Lucia. Intorno a questa via hanno la loro sede ben 71 consolati e dove era e dove è la sorveglianza. Che deterrente hanno le telecamere nei confronti di rapinatori che indossano caschi integrali? Il carabiniere ha avuto solo frazioni di secondo per decidere, è stato addestrato a credere e a difendere la legge la convivenza civile, ha gli alamari marchiati sulla pelle in virtù di un giuramento, è un militare. Impugna la pistola e si difende. Nello stesso attimo centinaia di persone fuggono in ogni direzione per non essere coinvolte. E parimenti fugge il complice diciasettenne che ora sta in una struttura protetta, avvalendosi della minore età. Come da copione dell’odio verso i caramba afferma che al complice è stato sparato mentre fuggiva.
Peccato che i medici hanno subito accertato che il foro d’entrata è davanti, uscendo da dietro. Il carabiniere chiama il 118, arriva vivo al Vecchio Pellegrini, ubicato nel cuore della Pignasecca. Chi conosce la zona si renderebbe conto che stiamo parlando di Fort Apache circondato da indiani inferociti. Il giovane muore poco dopo ed inizia subito la rabbia animalesca di parenti e amici che devastano il pronto soccorso. Qui registriamo un’ingenuità del personale sanitario che non dovevano far trapelare la notizia se non dopo l’arrivo di un reparto addestrato del Battaglione Mobile, in grado di fronteggiarli. Non soddisfatti altri giovinastri vanno a sfogarsi sparando all’ingresso della caserma dei Carabinieri. La vita umana è sacra, non è giusto morire sedicenne, ma la biografia del morto parla di dispersione scolastica, di tentativi discontinui di recupero, di abbandono nelle braccia delle regole di comportamento dei clan camorristici.
Ha scritto un collega che vive la quotidianità della cronaca napoletana che la Peste di Napoli non è più quella di Curzio Malaparte ed è più devastante dell’armonia perduta raccontata da Raffaele La Capria. Il coronavirus c’è e non si vede, questo che è successo l’abbiamo invece visto, toccato: la puzza di disinfettante su una barella devastata al Vecchio Pellegrini e il rumore di passi che a centinaia si dileguano lasciando il borgo di Santa Lucia deserto in dieci secondi. Sono decenni che questo morbo divora Napoli eppure lo si è lasciato proliferare. Dietro via Generale Orsini le rapine nel corso dei mesi sono andate via via aumentando. Non ci sono uomini, ci sono le telecamere. Sono i giorni del coronavirus ma Napoli userà quel disinfettante per lavare da terra sangue di ragazzo. Sono i giorni del contagio, ma quelli della paura li abbiamo già spesi tutti dopo le faide, gli omicidi, la continua negazione di un’emergenza pluridecennale. Sono i giorni infami della caccia agli untori. Ma quelli della caccia ai veri avvelenatori riuniti in clan milionari li abbiamo archiviati e anestetizzati nelle fiction televisive. Abbiamo riscoperto che a Napoli l’emergenza sicurezza fa più morti e da più tempo e non c’è vaccino, no. Ma non c’è stato nemmeno il tentativo di arginarla. O quanto meno di ammetterne l’esistenza. Napoli ti amo e ti piango. Carabinieri, i migliori figli del popolo italiano, sono orgoglioso del vostro vivere quotidiano.