Di seguito il discorso integrale tenuto dalla senatrice a vita Liliana Segre riguardo il premierato, la riforma costituzionale promossa dal governo Meloni.

Signor Presidente, Care Colleghe, Cari Colleghi,
continuo a ritenere che riformare la Costituzione non sia una
vera necessità del nostro Paese.

E le drastiche bocciature che gli
elettori espressero nei referendum costituzionali del 2006 e del
2016 lasciano supporre che il mio convincimento non sia poi così
singolare.
Continuo anche a ritenere che occorrerebbe impegnarsi per
attuare la Costituzione esistente.

E innanzitutto per rispettarla.
Confesso, ad esempio, che mi stupisce che gli eletti dal popolo, di
ogni colore, non reagiscano al sistematico e inveterato abuso della
potestà legislativa da parte dei Governi, in casi che non hanno nulla
di straordinariamente necessario e urgente.
Ed a maggior ragione mi colpisce il fatto che oggi, di fronte
alla palese mortificazione del potere legislativo, si proponga invece
di riformare la Carta per rafforzare il già debordante potere
esecutivo.
In ogni caso, se proprio si vuole riformare, occorre farlo con
estrema attenzione. Il legislatore che si fa costituente è chiamato a
cimentarsi in un’impresa ardua: elevarsi, librarsi al di sopra di tutto
ciò che, per usare le parole del Leopardi, “dall’ultimo orizzonte
il guardo esclude”. Sollevarsi dunque idealmente tanto in alto da
perdere di vista l’equilibrio politico dell’oggi, le convenienze, le
discipline di partito, tutto ciò che sta nella realtà contingente, per
tentare di scrutare quell’ “Infinito” nel quale devono collocarsi
le Costituzioni.

Solo da quest’altezza si potrà vedere come meglio
garantire una convivenza libera e sicura ai cittadini di domani,
anche in scenari ignoti e imprevedibili.
Dunque occorrono, non prove di forza o sperimentazioni
temerarie, ma generosità, lungimiranza, grande cultura
costituzionale e rispetto scrupoloso del principio di precauzione.
Non dubito delle buone intenzioni dell’amica Elisabetta
Casellati, alla quale posso solo esprimere gratitudine per la
vicinanza che mi ha sempre dimostrato.

Poiché però, a mio
giudizio, il disegno di riforma costituzionale proposto dal governo
presenta vari aspetti allarmanti, non posso e non voglio tacere.
Il tentativo di forzare un sistema di democrazia parlamentare
introducendo l’elezione diretta del capo del governo, che è tipica
dei sistemi presidenziali, comporta, a mio avviso, due rischi
opposti.
Il primo è quello di produrre una stabilità fittizia, nella quale
un presidente del consiglio cementato dall’elezione diretta deve
convivere con un parlamento riottoso, in un clima di conflittualità
istituzionale senza uscita.

Il secondo è il rischio di produrre
un’abnorme lesione della rappresentatività del parlamento,
ove si pretenda di creare a qualunque costo una maggioranza al
servizio del Presidente eletto, attraverso artifici maggioritari tali da
stravolgere al di là di ogni ragionevolezza le libere scelte del corpo
elettorale.
La proposta governativa è tale da non scongiurare il primo
rischio (penso a coalizioni eterogenee messe insieme pur di
prevalere) e da esporci con altissima probabilità al secondo.

Infatti, l’inedito inserimento in Costituzione della prescrizione di una
legge elettorale che deve tassativamente garantire, sempre,
mediante un premio, una maggioranza dei seggi a sostegno del
capo del governo, fa sì che nessuna legge ordinaria potrà mai
prevedere una soglia minima al di sotto della quale il premio non
venga assegnato.
Paradossalmente, con una simile previsione la legge Acerbo
del 1923 sarebbe risultata incostituzionale perché troppo
democratica, visto che l’attribuzione del premio non scattava
qualora nessuno avesse raggiunto la soglia del 25%.
Trattando questa materia è inevitabile ricordare l’Avvocato
Felice Besostri, scomparso all’inizio di quest’anno, che fece della
difesa del diritto degli elettori di poter votare secondo Costituzione
la battaglia della vita.

Per ben due volte la Corte Costituzionale gli
ha dato ragione, cassando prima il Porcellum e poi l’Italicum
perché lesivi del principio dell’uguaglianza del voto, scolpito
nell’art. 48 della Costituzione.

E dunque, mi chiedo, come è
possibile perseverare nell’errore, creando per la terza volta una
legge elettorale destinata a produrre quella stessa “illimitata
compressione della rappresentatività dell’assemblea
parlamentare” ?
Ulteriore motivo di allarme è provocato dal drastico
declassamento che la riforma produce a danno del Presidente della
Repubblica.

Il Capo dello Stato infatti non solo viene privato di
alcune fondamentali prerogative, ma sarebbe fatalmente costretto
a guardare dal basso in alto un Presidente del Consiglio forte di
una diretta investitura popolare.
E la preoccupazione aumenta per il fatto che anche la carica di
Presidente della Repubblica può rientrare nel bottino che il partito
o la coalizione che vince le elezioni politiche ottiene, in un colpo
solo, grazie al premio di maggioranza.
Anzi, è addirittura verosimile che, in caso di scadenza del
settennato posteriore alla competizione elettorale, le coalizioni
possano essere indotte a presentare un ticket, con il n° 1 candidato
a fare il capo del governo ed il n° 2 candidato a insediarsi al
Quirinale, avendo la certezza matematica che, sia pure dopo il
sesto scrutinio (stando all’emendamento del Sen. Borghi), la
maggioranza avrà i numeri per conquistare successivamente anche
il Colle più alto.
Ciò significa che il partito o la coalizione vincente, che come
si è visto potrebbe essere espressione di una porzione anche assai
ridotta dell’elettorato (nel caso in cui competessero tre o quattro
coalizioni, come è già avvenuto in un recente passato), sarebbe in
grado di conquistare in un unico appuntamento elettorale il
Presidente del Consiglio e il governo, la maggioranza assoluta dei
senatori e dei deputati, il Presidente della Repubblica e, di
conseguenza, anche il controllo della Corte Costituzionale e degli
altri organismi di garanzia.

Il tutto sotto il dominio assoluto di un
capo del governo dotato di fatto di un potere di vita e di morte sul
Parlamento.
Nessun sistema presidenziale o semi-presidenziale
consentirebbe una siffatta concentrazione del potere; anzi,
l’autonomia del Parlamento in quei modelli è tutelata al massimo
grado.

Non è dunque possibile ravvisare nella deviazione dal
programma elettorale della coalizione di governo, che proponeva
il presidenzialismo, un gesto di buona volontà verso una più ampia
condivisione.

Al contrario, siamo di fronte ad uno stravolgimento
ancora più profondo e che ci espone a pericoli ancora maggiori.
Aggiungo che il motivo ispiratore di questa scelta avventurosa
non è facilmente comprensibile, perché sia l’obiettivo di aumentare
la stabilità dei governi sia quello di far eleggere direttamente
l’esecutivo si potevano perseguire adottando strumenti e modelli
ampiamente sperimentati nelle democrazie occidentali, che non
ci esporrebbero a regressioni e squilibri paragonabili a quelli
connessi al cosiddetto “premierato”.
Non tutto può essere sacrificato in nome dello slogan
“scegliete voi il capo del governo!” Anche le tribù della
preistoria avevano un capo, ma solo le democrazie
costituzionali hanno separazione dei poteri, controlli e
bilanciamenti, cioè gli argini per evitare di ricadere in quelle
autocrazie contro le quali tutte le Costituzioni sono nate.