Come giornalista pubblico con piacere la lettera aperta che Rita Della Chiesa ha scritto a Michela Murgia.
La condivido totalmente, anzi la ritengo opportuna e giusta.
Mio padre aveva solo venti anni quando indossò la divisa di ufficiale del Regio Esercito e – come scrive Rita Della Chiesa riferendosi al padre – “ha onorato la Patria e l’uniforme”, prima come volontario e poi tornando dopo sei anni a casa con la penultima nave che dall’India rimpatriava i prigionieri di guerra, quando ormai tutto in Italia era stato deciso senza il voto di coloro che avevano sacrificato e offerto tutta la loro gioventù.
Mio padre direbbe le stesse cose di Rita Della Chiesa ed io scrivo volendo onorare lui e tutti quelli come lui.
Rita Della Chiesa nella sua lettera aperta scrive: “Cara Murgia, niente signora, signorina o altro che potrebbe offenderla; ho ascoltato il Suo intervento di ieri a Di Martedì nella sua interezza e credo che lei abbia bisogno di qualcuno che le faccia luce su alcuni punti.
Vede, io credo che lei, un militare non lo abbia mai incontrato e che l’idea di uniforme (non divisa), Murgia, da “scrittrice” riformatrice del vocabolario quale lei dice di essere, dovrebbe sapere che divisa e uniforme non sono sinonimi – sia poco definita nella sua mente.
Andiamo sul pratico, visto che io con un uomo che ha onorato la Patria e l’uniforme ci son cresciuta, le spiego un paio di cose punto per punto: iniziamo a capire chi è l’uomo che lei ha tanto disprezzato.
Il generale Figliuolo si è formato nella gloriosa Accademia Militare di Modena, che da diversi secoli si occupa di formare i futuri ufficiali dell’Esercito Italiano e dell’Arma dei Carabinieri, con rigore, temprandoli. Persone, senza distinzione di genere, visto che di recente è aperta anche alle donne, che sono prima di tutto padri, madri, sorelle, fratelli che hanno fatto dell’amore per la Patria la loro priorità.
Non certo dittatori.
Sì, la Patria, Murgia, quell’Italia tanto dissacrata e maltrattata da quelli che cercano il marcio a tutti i costi, da quelli che applaudono al vilipendio al tricolore, messo in scena da Achille Lauro a Sanremo, da quelli che si ricordano di essere italiani solo quando gioca la nazionale con una pizza fumante in mano.
E quando si serve la Patria si è in servizio h24, l’uniforme diventa una seconda pelle, con il caldo, con il freddo, quando si salvano vite umane.
Non vorrei dirglielo, ma nelle zone ad alto rischio, dove le nostre Forze Armate vanno a prestare soccorso, non ci si veste color arcobaleno con le piume, si indossa un’uniforme.
Niente dittatori lì, ma persone che fanno del bene, eroi.
Ah, è vero: secondo lei la parola “eroe” fa parte di un lessico maschilista e patriarcale che andrebbe eliminato dall’uso corrente, bannato dalle favole per bambini, fatto in mille pezzi strappandolo dal dizionario. Gli eroi, comunque, non sono tutti maschi, ma anche donne, sia civili che in uniforme, ma forse Lei questo non lo sa, occupata com’è a portare la figura di finta femminista impegnata da un salotto televisivo all’altro, tra podcast e dirette instagram non ne ha davvero il tempo.
Lo capisco. Ma passiamo al punto numero due: secondo le sue affermazioni, “quando vede un uomo in divisa, si spaventa sempre, non si sente più al sicuro”; cosa la spaventa nella tenuta del generale Figliuolo? La mimetica? Il cappello da Alpino con la piuma? A me vien da pensare che Lei abbia un po’ la coda di paglia: forse lo sa da sé che nel parapiglia sinistroide della pandemia, l’unica cosa da fare era mettere un po’ di rigore militare.
Ma non voglio farne una questione di colore politico. Inoltre le svelo un segreto: la cancel culture progressista che deve dissacrare l’uniforme a tutti i costi è ormai obsoleta e non c’è nessuna legge che impone di dare opinioni politicamente corrette a tutti i costi.
E poi cosa c’è da aver paura?
A me onestamente faceva più paura Arcuri nel ruolo di commissario, un individuo totalmente disorganizzato e inesperto e non lo dico io, lo dicono gli appalti truccati che ha favorito, le mascherine farlocche che non proteggono neanche le bambole, la campagna vaccinale che fa acqua da tutte le parti. Tanto per dirne alcune.
E mi farebbe più paura incontrare lei, con la sua tenuta stereotipata da conoscitrice del mondo rancorosa, sempre alla ricerca di una parola sbagliata per giudicare, denunciare con livore, massacrare.
Un’altra cosa: quali “dittatori in divisa” ha visto in tv che la spaventano così tanto?
Gente di altri Stati, come lei stessa ha affermato.
E che mi dice degli italiani? Non so, ma se io penso agli uomini in uniforme nostri connazionali visti in tv mi vengono subito in mente il generale Dalla Chiesa o il Capitano De Caprio detto Ultimo, tanto per farle un paio di esempi.
Non proprio due dittatori spaventosi.
Anche se la maggior parte dei rappresentanti delle nostre Forze Armate in tv non ci va, hanno ben altro da fare.
Quanto al linguaggio “da guerra” credo sia il più efficace: l’epidemia di covid19 va sconfitta, siamo in “stato di emergenza”, ci viene tolta la libertà come se fossimo sotto assedio, quindi quale lessico migliore?
Non si può condannare un uomo rappresentante dello Stato solo per un linguaggio che non è in nessun modo lesivo nei confronti della popolazione, anche se la cosa non le piace, visto che lei è tra quelli che inneggiano al reato di opinione con la scusa di difendere i più deboli.
Cara Murgia, le dò un consiglio: torni in Sardegna a guardare il suo bel mare e la smetta di voler fare la rappresentante del politicamente corretto, non si diventa salvatori di un Paese a forza di post sui social o di petizioni tamtam o con interventi irrispettosi e sciattamente perbenisti, a lungo andare farà solo brutte figure, come questa”.