Opzione donna, 40mila lavoratrici escluse dal pensionamento anticipato – Dal 1° febbraio ad oggi il patronato Inac Cia registra il flop della misura. Più che una opzione, si è rivelata una “Illusione donna”, che ha frenato la quasi totalità della platea di lavoratrici pronte ad uscire anticipatamente dal mondo del lavoro. La legge di bilancio entrata in vigore non ha solo ristretto la platea, ma ha addirittura imposto la rinuncia del 30 per cento dell’assegno contributivo.
“La questione torni al tavolo del Ministro Calderone per correttivi immediati che possano riequilibrare le storture emerse”, tuonano i rappresentanti del Patronato Inac Cia Alessandro Mastrocinque e di Donne in Campo Pina Terenzi.
Con la nuova Opzione Donna sono circa 40 mila le lavoratrici esodate, a fronte di 2.500 donne che nel 2023 rispecchiano i requisiti per la nuova pensione anticipata e che sono anche costrette a rinunciare fino a un terzo dell’assegno con il ricalcolo contributivo. “Dall’apertura dello sportello del 1 febbraio scorso per la presentazione delle domande, come predisposto dall’Inps, registriamo una sostanziale assenza di possibili beneficiarie” sottolinea il presidente del Patronato Inac Cia Alessandro Mastrocinque.
Le stime che riguardano la platea coinvolta nelle uscite di quest’anno è veramente risibile: appena 3 mila per il Governo. “Si tratta di una manovra tesa soltanto a fare cassa, e a rinviare l’uscita dal mondo del lavoro. Con questi parametri è stato acclarato un dato demoscopico, che misura il numero delle donne con figli che deve occuparsi dell’assistenza di un parente, di donne che hanno una invalidità riconosciuta importante, oppure di lavoratrici soggette a licenziamento. Il collo dell’imbuto troppo stretto non consente di guardare alla realtà del Paese e alle vere condizioni in cui vivono le famiglie oggi”, continua Mastrocinque.
L’associazione Donne in Campo sottolinea il paradosso che la misura acclara: “Consentire alle donne di anticipare l’uscita pensionistica riconoscendone l’importante ruolo di caregiver per poi tagliare l’assegno del 30 per cento è un atteggiamento gravemente vessatorio nei confronti di una parte del Paese indispensabile per la tenuta sociale – commenta la presidente Pina Terenzi – Così come si è rivelata discriminante tra chi ha figli e chi no. È ora di rivedere questa misura e renderla praticabile per tutte le donne”.
Mentre fino alla fine del 2022 le donne potevano andare in pensione a 58 anni, indipendentemente dal numero dei figli, grazie al ricalcolo contributivo, oggi possono andare in pensione prima dei 67 anni le donne che assistono il coniuge o un parente di primo grado convivente con handicap in situazione di gravità, se si ha un’invalidità almeno al 74%; oppure in caso di lavoratrici licenziate o dipendenti da imprese per le quali è attivo un tavolo di confronto per la gestione della crisi aziendale presso la struttura per la crisi d’impresa.
Oltre a questi requisiti bisogna avere almeno 35 anni di contributi maturati. A quel punto si può andare in pensione anticipata a 60 anni. L’età può abbassarsi se si ha un figlio (a 59 anni) o due (a 58). Per tutte le donne coinvolte, poi, la pensione viene ricalcolata con il sistema contributivo e il taglio dell’assegno, rispetto a quello misto contributivo-retributivo, può arrivare anche al 30%.