La diffusione del Covid-19 è diventata ben presto emergenza sanitaria. I sacrifici di
questi giorni sono in nome dei più fragili e di coloro che rischiano la vita perché la persona umana sia realmente al centro dell’interesse, come da sempre suggerisce la Dottrina sociale della Chiesa.
Eppure, passata la bufera, è prevedibile immaginare che per molti nulla sarà come prima. Nulla sarà come prima per le famiglie che hanno subito perdite umane. Nulla sarà come prima per chi è stremato dai sacrifici in quanto operatore sanitario. Nulla sarà come prima anche per il mondo economico, che ha prima rallentato e poi ha visto fermarsi la propria attività.
Già si contano danni importanti, soprattutto per gli imprenditori che in questi anni hanno investito per creare lavoro e si trovano ora sulle spalle ingenti debiti e grandi punti interrogativi circa il futuro della loro azienda.
Nulla sarà come prima per i settori sono andati in sofferenza e vivono l’incertezza del domani: si pensi al settore del turismo, dei trasporti e della ristorazione, al mondo della cooperazione e del Terzo settore, a tutta la filiera dell’agricoltura e del settore zootecnico, alle ditte che organizzano eventi, al comparto della cultura, alle piccole e medie imprese che devono competere a livello globale e si vedono costrette a chiusure forzate e non riescono a rispondere alla domanda di beni e servizi.
Nulla sarà come prima per i tanti lavoratori e lavoratrici del nostro territorio che hanno
perso il lavoro o sono rimasti a casa a causa della chiusura e/o del blocco delle attività
lavorative senza alcun ammortizzatore sociale.
Nulla sarà come prima per i numerosi immigrati inseriti in svariate attività lavorative, soprattutto nel mondo agricolo e in quello della ristorazione. Nulla sarà come prima per tutti quelli che vivono ai margini della società, per i tanti immigrati che non riescono ad avere una regolarizzazione, per i cosiddetti invisibili che sono ultimi tra gli ultimi i quali nemmeno le briciole del povero Lazzaro riescono a ricevere.
Muovendo da questa preoccupazione, la Caritas Diocesana insieme a Migrantes, prendendo spunto da alcuni documenti della CEI, vogliono offrire la loro riflessione e le loro preoccupazioni.
La comunità cristiana non intende restare indifferente La Diocesi di Gaeta con la rete delle parrocchie, non si tira indietro di fronte alle domande più laceranti che attraversano la vita di molti fedeli. Veniamo da anni difficili (la crisi economica del 2008) e ora ci rendiamo conto che l’impatto di questo periodo sul lavoro può rischiare di essere una nuova «carneficina» sociale. È questo il tempo della condivisione. Il Vangelo ci chiama a esprimere una solidarietà concreta.
È il momento di far sentire tutta la vicinanza della Comunità cristiana: la chiusura di molte attività lavorative e l’obbligo di restare a casa, ci hanno fatto comprendere come il lavoro non è solo un modo per guadagnare. C’è di mezzo la vocazione di ciascuno. Il lavoro è un antidoto alla rassegnazione, all’inutilità, allo scoraggiamento e alla depressione. Da qui alcune attenzioni che come Diocesi possiamo adottare nel periodo di
«quarantena sociale» e al momento delicato della ripresa:
1. Facciamo con coraggio il primo passo nel mostrare vicinanza verso gli imprenditori
e i lavoratori che stanno subendo gravi perdite e stanno affrontando con le lacrime agli
occhi queste giornate. Per esempio, quelli che non hanno perso la propria pensione, il
proprio stipendio o introito economico sono invitati a fare le proprie spese nei negozi o
attività locali per aiutarli a riprendersi. Può essere più dispendioso rispetto alle offerte on
line ma è un modo solidale per riprenderci e rialzarci insieme.
2. Aiutiamo e incoraggiamo quanti – all’interno delle nostre parrocchie, associazioni,
movimenti, gruppi di catechesi, oratori – sono impegnati nel lavoro in ruoli di responsabilità,
a livelli differenti. È l’ora di essere «lievito nella pasta» (cfr Mt 13,33); la competenza dei
credenti nei diversi campi del sociale è ricchezza per la Chiesa e la società tutta. Come
tale, ci sta a cuore.
3. Organizziamo la carità per andare incontro alle situazioni più critiche, per alleggerire
pesi gravosi, per sostenere persone a rialzarsi. La Chiesa locale intende fare tesoro delle
reti relazionali che sono già presenti nel quotidiano e rilanciare con convinzione il
messaggio che «nessuno si salva da solo».
Cosa possiamo fare?
Accanto alle proposte già inserite nelle tre attenzioni, ci sentiamo di suggerire alcune
scelte:
– esprimere gratitudine a chi, in questo periodo di emergenza, sta lavorando per il
bene della collettività, mettendo a rischio la propria salute;
– valorizzare la figura di San Giuseppe lavoratore e la giornata dei lavoratori (1°
maggio) per far sentire la vicinanza ecclesiale soprattutto a chi è rimasto in grave
difficoltà economica a causa della perdita del lavoro.
– promuovere un sostegno concreto attraverso l’acquisto di beni realizzati in Italia da
aziende che si dimostrano attente alla tutela del lavoro, alla sostenibilità ecologica
e alla qualità dei prodotti. In particolare, ci sembra importante contribuire a
campagne di sensibilizzazione come quelle promosse da Coldiretti
(#mangiaitaliano e «Caro nonno ti cibo») per promuovere la filiera agroalimentare
italiana e mantenere in vita gli agriturismi.
– sostenere le imprese agricole e zootecniche locali attraverso l’adesione ai GAS
(Gruppo Acquisto Solidale) già presenti nel territorio della nostra arcidiocesi. I GAS
valorizzano la produzione locale (a cosiddetto kilometro 0) che abbia un
comportamento etico, cioè, tenga conto della sostenibilità ambientale nel processo
produttivo e un trattamento equo e rispettoso delle persone impiegate nel lavoro
agricolo.
– diffondere nelle parrocchie l’appello #sceglilitalia: da giugno a dicembre 2020 la
meta della vacanza sia nel nostro Paese. Una scelta di autosostegno, di
partecipazione attiva alla ripresa economica dell’Italia.
– fare scelte più consapevoli che evitino il superfluo e l’uso sconsiderato di prodotti
inquinanti.
– avviare forme di microcredito che permettano start up di piccole attività, soprattutto
per quelle fasce di età che non riescono ad attingere ai sussidi europei, nazionali o
regionali;
– assumere alcune soluzioni lavorative a distanza – come lo smart working o la
didattica online – quali opportunità concrete anche per il futuro, con cui conciliare il
lavoro con i tempi della famiglia e la sostenibilità ambientale (meno traffico e aria
più respirabile);
– condividere buone prassi nate nella nostra Diocesi. L’emergenza sanitaria può essere occasione in cui rafforzare i legami di solidarietà tra le persone e le istituzioni, come pure per attivare gli anticorpi per una resilienza che permetta di sognare un «secondo tempo» per l’Italia, per l’Europa e per il mondo intero.
Questo periodo «a casa» non deve solo alimentare la preoccupazione per un momento critico, ma può avviare un processo che duri nel tempo e che ci accompagni a fare della nostra comunità ecclesiale un ospedale da campo dove tutti sono accolti e sul cui volto riconosciamo il volto sofferente di Cristo. Siamo tutti connessi. Solidali per vocazione.
Il direttore dell’Ufficio MIGRANTES
Maria Giovanna Ruggieri
Il direttore della CARITAS DIOCESANA
Don Alfredo Micalusi