Zohra Shah, an 8 year old girl, kept as a domestic worker, and beaten to death after freeing birds from a cage. sickened by the fact that she was working at such a young age, and repulsed at the inhumanity of her murderers.
#JusticeForZohraShah pic.twitter.com/6T5FQ8yNWh
— taleya (@_taleya) June 3, 2020
Alla vigilia del 25 novembre – giornata internazionale sulla violenza alle donne – proponiamo un fatto di cronaca nera sul quale a giugno si accesero i riflettori internazionali.
Nello stesso tempo un omaggio all’altra metà del cielo e all’infanzia oltraggiata.
Zohra non valeva più di due pappagallini per i loro padroni.
Un essere umano sul quale sfogare la loro rabbia insensata e vomitevole.
La morte di Zohra non deve essere inutile.
Deve essere di stimolo alle autorità e alla società pakistane (e dell’ex impero indiano in genere) per mutare atteggiamenti comportamentali.
È assurdo che poi pretendano di venire da noi in Europa e giudicare una civiltà che viaggia secoli dinanzi allo loro, perché fondata sui valori cristiano-giudaici del rispetto e della misericordia.
Ed ora la cronaca dai media della vicenda; in copertina la foto – tra gli agenti – dell’uomo che ha saputo sfogarsi su un esserino indifeso, che meriterebbe di ricevere le attenzioni di un Rambo per lo stesso periodo temporale che lui e la moglie hanno speso per torturare una piccola creatura:
“Una bambina di otto anni è morta dopo che la coppia presso la quale lavorava come domestica, sì proprio come domestica nonostante la sua giovanissima età, l’ha picchiata, torturata e forse stuprata per un futile motivo.
Quella che sembra una favola orrenda è un terribile fatto di cronaca accaduto pochi giorni fa a Rawalpindi, la quarta città del Pakistan.
La piccola si chiamava Zohra Shah e per meritarsi quel calvario aveva lasciato scappare due pappagallini chiusi in gabbia, probabilmente per sbaglio, sebbene qualcuno dice che l’abbia fatto per lasciarli in libertà. Interrogato dalla polizia, Hasan Siddiqui, uno dei due carnefici, s’è giustificato dicendo che sua moglie Umm Kulsoom era andata su tutte le furie trovando la gabbia vuota.
E che s’era quindi scagliata contro la bimba per sfogare la sua rabbia, prima che intervenisse anche lui per dare una lezione alla loro piccola cameriera.
Passata la collera, e con Zohra in fin di vita, la coppia ha finalmente deciso di portarla in ospedale, dove la bambina s’è spenta poco dopo, perché i medici non hanno potuto far nulla per le ferite che aveva sul viso, alle mani, sotto la gabbia toracica e alle gambe.
Seconda la stampa locale, i medici avrebbero informato i poliziotti che, viste le ferite riscontrate sulle cosce, c’è il sospetto che Zohra sia stata anche vittima di un’aggressione sessuale.
Se ha dovuto subire anche questo oltraggio si saprà appena arriveranno le analisi richieste dagli agenti di polizia, che nel frattempo ha arrestato i due, i quali si trovano ora in custodia cautelare.
Dalle testimonianze dei loro vicini di casa, emerge che hanno continuato a colpire la piccola con inaudita violenza nonostante le sue urla e i suoi pianti.
La morte della piccola ha provocato reazioni di sdegno e rabbia in tutto il Pakistan.
E su Twitter si è diffuso l’hashtag #JusticeForZohraShah, per i tanti che chiedono giustizia per la bambina e che hanno diffuso foto e disegni per renderle omaggio.
Il che ha costretto il Ministero per i Diritti umani pachistano a reagire immediatamente per assicurare i due assassini alla giustizia. Non solo.
Poiché in Pakistan è illegale il lavoro minorile nelle fabbriche ma non nelle case e nei ristoranti, il ministro dei Diritti umani, Shireen Mazari, ha promesso una riforma della legge per far rientrare anche il lavoro domestico nella categoria delle “occupazioni pericolose”.
Intanto, intervistato dalla Reuters, Sajjad Cheema, direttore esecutivo della ONG di Islamabad “Società per la protezione dei diritti dell’infanzia” risulta che in Pakistan sono dodici milioni i bambini che lavorano, molti dei quali del tutto legalmente.
E per quelli impiegati come personale domestico in case private è molto difficile sapere se vengono trattati decentemente dai loro datori di lavoro, perché spesso reclusi in casa come fossero schiavi.
È l’estrema povertà che colpisce buona parte della popolazione pachistana la causa di questi drammi, con le famiglie costrette a mandare i propri figli a lavorare, perché non hanno di che nutrirli né di che mandarli a scuola”.