Walk out. Mancano trenta giorni all`uscita della Gran Bretagna dall`Unione Europea, ma le nuvole che coprono Westminster, sede del Parlamento britannico, non si diradano. Fanno da contrasto all`insolito caldo che avvolge Londra, che registra temperature record, da maniche corte. Ma si capisce che, tra grattacapi e crisi di nervi, il cambiamento climatico non appare come priorità, che è un`altra: dossier Brexit.
Che la vita da Prime Minister sia dura, è indubbio. Ma quella di Theresa May, oggi è veramente disperata. Ad un mese dalla deadline che segna il divorzio da Bruxelles, il 29 marzo appunto, trovare un trade-off, un compromesso tra le varie anime della House of Commons, è pura impresa.
In questo clima teso, gli ultimi dieci giorni hanno riservato due svolte vere, di cui il Labour Party, il partito laburista di Jeremy Corbyn, è stato vero protagonista. La prima ha come principale interprete Chuka Umunna, parlamentare tra i più “vocal” pro-Ue, a favore dell`opzione Remain, già sfidante di Corbyn alla leadership del Labour, che guida la fuoriuscita di sette componenti del gruppo parlamentare Labour, confluiti nel Gruppo Indipendente (oggi sono undici con apporti anche dalle fila dei Tories, i Conservatori). A tenerli insieme principalmente l`avversione alla Brexit, o meglio come ci si è arrivati, impreparati e senza sull`orlo di una crisi profonda.
Una crepa, questa, che ha rotto l`argine laburista fino al punto da costringere il suo leader, Corbyn, ad una sterzata totale, dicendosi a favore di un secondo referendum. Una mossa che martedí Jeremy “il rosso” aveva subordinato alla bocciatura della “sua” Brexit, circostanza registrata in queste ore con votazione contro all`emendamento introdotto alla House of Commons, con margine di 84 voti. A margine del voto Corbyn ha annunciato: “Spingeremo un voto pubblico per prevenire una dannosa Brexit a marchio conservatore o una disastrosa prospettiva senza accordo”.
Una mossa che inguaia ulteriormente Theresa May già impegnata a tenere unito il fronte conservatore e sedare la rivolta interna, con i ministri Amber Rudd, David Clark e David Gauke che minacciano le dimissioni se l`inquilina dal no. 10 di Downing St. non promette una seria alternativa al peggiore degli scenari, il no-deal.