La legge sul divorzio prevede che il Giudice, nella determinazione dell’assegno divorzile,
debba tener conto anche della durata del matrimonio, oltre ad altri elementi quali la non
addebitabilità 
della separazione al coniuge richiedente il mantenimento, la non titolarità,
da parte del medesimo di adeguati redditi propri, e la sussistenza di una disparità
economica tra le parti.

Ne consegue che quanto più lunga è stata la durata del matrimonio, maggiore dovrà essere l’importo da riconoscere, soprattutto quando occorre compensare eventuali rinunce affrontate dall’ex coniuge per dedicarsi alla famiglia, sacrificando la propria realizzazione personale e la conseguente autonomia economica.


Ma cosa accade quando un matrimonio di breve durata viene preceduto da una lunga
convivenza?

E’ giusto che al coniuge debole sia riconosciuto un importo ridotto per il
solo fatto che il matrimonio è stato breve?


La questione è arrivata nelle aule della Cassazione a seguito di ricorso presentato da
una donna priva di occupazione lavorativa con un figlio maggiorenne non autosufficiente,
la quale aveva impugnato la sentenza della Corte di Appello di Bologna che le aveva
ridotto l’importo dell’assegno divorzile a causa della durata breve del matrimonio, senza
tenere in considerazione la lunga convivenza avuta dalla coppia prima di sposarsi,
caratterizzata da una stabilità affettiva oltre che dall’assunzione spontanea di reciproci
obblighi di assistenza.


Quando il caso è passato in Cassazione la sentenza di appello è stata totalmente
ribaltata dalla Corte di Cassazione che, nella propria decisione, ha riconosciuto la stessa
valenza al tempo trascorso nell’unione legale di quello passato come coppia di fatto.

Nella valutazione dell’entità dell’assegno di mantenimento, la Suprema Corte ha ribadito
l’importanza del contributo dato da chi lo chiede “alla conduzione familiare e alla
formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno dei coniugi
”. Il mantenimento
va calcolato anche sulla base dell’esistenza, durante la convivenza prematrimoniale, di
decisioni condivise da una coppia che hanno plasmato la loro vita all’interno del
matrimonio e che possono essere collegate a sacrifici o rinunce, specialmente riguardo
alla carriera del coniuge economicamente meno forte, il quale, in seguito al divorzio, si è
trovato nell’incapacità di assicurarsi un adeguato sostentamento.


Questa recente sentenza della Cassazione tiene conto del fenomeno di costume della
convivenza prematrimoniale, che, come scrivono i Giudici, è sempre più radicato nei
comportamenti della nostra società, cui si affianca un accresciuto riconoscimento di
forme di relazione che, sebbene non formalizzate attraverso il matrimonio, sono tuttavia
valorizzate e rispettate in quanto strutture familiari valide e autonome all’interno della
società.

La conclusione a cui si giunge, quindi, è che l’assegno di divorzio deve tener conto
inevitabilmente di una convivenza prematrimoniale prolungata, la quale ha consolidato
una netta divisione dei ruoli domestici. Questa divisione, persistendo nel tempo, ha
generato squilibri destinati a influenzare sia il matrimonio futuro che il successivo
processo di divorzio. Pertanto, non considerare tale dinamica nella determinazione
dell’assegno di divorzio rischia di trascurare un elemento fondamentale che ha
contribuito alla dinamica complessiva della relazione coniugale.” Lo comunica l’Avvocato F. Somma in una nota stampa