Cinque domande a… Silvia Costa – Dopo aver ricoperto ruoli di primo piano nelle istituzioni nazionali ed europee, è poi stato nominato dai governi Conte II e Draghi commissario straordinario del governo per il recupero dell’ex carcere borbonico in Santo Stefano- Ventotene. L’Italia ha investito in questo progetto 70 milioni di euro. Può raccontarci di questa ri-costruzione, anche ideale, del luogo in cui è nata l’Europa?
Credo che l’esperienza maturata in dieci anni a Strasburgo, al fianco del mio carissimo e compianto amico David Sassoli, allora vicepresidente del Parlamento Europeo ed io presidente della Commissione Cultura, Istruzione e Giovani, sia stata una delle ragioni per la quali è stato deciso di affidarmi questo incarico. L’idea dietro il recupero del carcere borbonico, in un logo simbolico come Ventotene, è quella di trasformarlo, da luogo della prigionia e dell’oppressione, a luogo dove le nuove generazioni possano formarsi sui valori europeo. Durante il governo Renzi, su impulso del ministro Franceschini, nasce il progetto di restauro. All’inizio ottiene un finanziamento di 70 milioni di euro dal CIPE.Quando, nel 2020 il ministro Franceschini, decise di affidarmelo il progetto si era purtroppo arenato. In questi due anni abbiamo rimesso in moto il progetto, coinvolgendo tutte le amministrazioni locali. Sono iniziati sia i lavori di messa in sicurezza di alcune parti non più accessibili dopo anni di abbandono, sia quelli di restauro del Panopticon settecentesco. Questa struttura, voluta dai Borboni, è innovazione per quanto riguarda l’architettura carceraria, che rendeva possibile al guardiano di monitorare tutte le celle. Nel mentre, stiamo anche lavorando per la realizzazione di un approdo che consenta lo sbarco in sicurezza, nel rispetto ambientale, sull’isola.Vogliamo che, il prima possibile, questo pezzo di storia possa essere accessibile alla comunità europea, per ridonarle questo luogo ricco di importanza architettonica e simbolico. Ad ogni passaggio, abbiamo coinvolto la popolazione e le istituzioni locali. Mentre ci occupiamo del contenitore, ci occupiamo anche dei contenuti, muovendoci su tre assi, quello storico culturale, quello della sostenibilità ambientale e quello artistico, con una forte connotazione europea. Stiamo facendo tutti questi lavori con lo sguardo sempre rivolto alle future generazioni
Come conciliare coniugare l’accessibilità e il restauro di un bene culturale in degrado, senza danneggiare il capitale naturale e faunistico della riserva naturale?
Fin dall’inizio l’approccio che abbiamo impresso è quello di accettare la sfida dell’oggi, ispirandoci ai principi della “Laudato sii”, del New Deal europeo e della Convenzione di Faro sul diritto al patrimonio culturale: rendere accessibile e fruibile al pubblico un bene culturale, nel rispetto e nella valorizzazione dell’habitat naturale dell’isola. Per esempio, ho scoperto che oltre l’80% di uccelli migratori dal sud dell’Africa al nord dell’Europa, passano su Ventotene. Questa è una ricchezza faunistica che dobbiamo preservare e valorizzare. Per esempio, abbiamo previsto una limitatissima residenzialità, allestendo una piccola foresteria nell’ex casa del direttore e negli spogliatoi dell’ex campo di calcio per gruppi di giovani, e cinque residenze d’artista negli spazi dell’ex lavanderia.
Lei ricorda spesso una figura dimenticata, Eugenio Perucatti, l’ultimo direttore del carcere di Santo Stefano, un cattolico che ha contrapposto il carattere rieducativo del carcere sancito dalla Costituzione e l’ergastolo. In quale modo si può valorizzare l’eredità di Perucatti?
È molto interessante ricostruire questi duecento anni, restituendo identità e biografie alle migliaia di reclusi, purtroppo molti morti nel carcere, che si sono avvicendati, ricostruendone la storia e il pensiero. Eugenio Perucatti, un cattolico illuminato, praticò una vera e propria rivoluzione della vita dei detenuti ispirandosi all’articolo 27 della Costituzione, ovvero alla funzione rieducativa e riabilitante della pena che non deve mai essere contro la dignità umana. Fu un innovatore del pensiero della cultura penitenziaria anche quando vigevano ancora le norme fasciste. Sono molto felice che, con l’aiuto del prof. Ruotolo e di molti altri studiosi, dei dirigenti del DAP e delle associazioni di centri di documentazione locali, abbiamo potuto rendergli onore con una mostra alle terme di Diocleziano. Per questa ragione, fin dall’inizio, abbiamo messo in rete e sostenuto una grande opera di ricerca storica che sta dando frutti sorprendenti.
Quando era a Strasburgo aveva posto “la cultura al centro dell’Europa”. Nella commissione che ha presieduto il bilancio delle azioni culturali è raddoppiato. Ha promosso, per esempio, la direttiva sul copyright online, il progetto “Europa Creativa 2021-2027”, il marchio del patrimonio europeo. A che punto sono?
Essere stata presidentessa della commissione Cultura, Istruzione, Sport e Giovani del Parlamento Europeo è stata per me un’esperienza molto importante e di grande impegno. In quegli anni credo di contribuito a rimettere al centro dell’agenda europea e del suo bilancio le politiche culturali, educative, e della gioventù. Come relatrice di “Europa Creativa” per due settenni, ho tenuto quasi il raddoppio dei fondi dedicati e più del raddoppio dei fondi Erasmus plus. In un’Europa che stava smarrendo il senso della propria identità, in cui i cittadini rivelavano una vera crisi di appartenenza, anche dopo la gestione inadeguata della crisi finanziaria e sociale del 2008, ho ritenuto fondamentale rilanciare le politiche che promuovevano l’educazione ed esperienze concrete di cittadinanza europea. Oggi, con soddisfazione, noto che queste sono questioni chiave, su cui si gioca il futuro di un Europa più solidale, utile e innovativa, anche grazie all’impegno profuso dal Presidente Sassoli.
Lei ha sempre avuto a cuore i giovani e la loro formazione. Cosa direbbe loro? Come possono portare avanti la tradizione del cattolicesimo democratico a cui apparteneva anche Sassoli?
Lo scenario in cui viviamo dimostra che al cuore di tutte le sfide da affrontare ce n’è una fondamentale: la ricomposizione della complessità. Questo non vuol dire esasperare la conflittualità e la diversità, ma nemmeno ignorarle o omologarle. Di fronte a queste sfide la cultura cattolico democratica può contribuire e dare un senso nuovo alla storia, partendo da alcuni suoi assunti e concezioni fondamentali. Oggi, quelle idee si rivelano chiavi interpretative più adeguate e aperte al futuro: la centralità della persona umana, la sua dignità e libertà, il concetto del diritto in relazione ai diritti degli altri e quindi ai doveri, la prospettiva del bene comune, l’etica della responsabilità verso gli altri e il creato, il principio dei talenti ricevuti e il dovere della solidarietà come vincolo sociale.Il compito fondamentale è di prendere il filo delle riflessioni e della pratica della buona politica tra diverse generazioni, che si è interrotto negli anni ‘90 e che vedo, però, riallacciarsi in diverse esperienze profetiche, come quella di Comunità di Connessioni, ma anche molto esigenti verso le risposte che la politica dovrà dare ai giovani che si stanno cimentando e impegnando sul terreno dell’azione sociale. L’orizzonte in cui dobbiamo inserire il nostro pensiero e impegno è quello di costruire un nuovo umanesimo europeo. Ogni generazione, deve conoscere e proiettare nella contemporaneità i valori fondamentali che sono alla base della pace e dello sviluppo.