Il Parlamento Italiano con legge 92 del 30 marzo 2004 ha istituito il 10 febbraio come “Il Giorno del Ricordo”. Solennità civile italiana istituita per conservare “la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale”, come si recita nella legge stessa.
Domenica 10 febbraio al termine della santa messa delle 18.00, grazie alla disponibilità del direttore diocesano delle comunicazioni sociali don Maurizio Di Rienzo, amministratore parrocchiale della Chiesa di Santa Albina V.M. a Scauri, vi sarà una cerimonia commemorativa in questo tempio scaurese, con proiezione di immagini significative. Chi scrive relatore ufficiale, assistito dal collega di Italia Nostra Franchino Lombardi. Conclusioni a cura di Isabella Quaranta, presidente della Consulta Cosind.
È giusto ricordare che Gaeta – pur nella povertà economica di quegli anni – ospitò nel suo territorio comunale tanti profughi giuliani. Inoltre la Scuola Nautica della Guardia di Finanza di Mare presente a Gaeta era in precedenza a Pola e da qui trasferita dopo che l’Italia ha perso questa nobile città giuliana. Gli eccidi in Venezia Giulia noti come i massacri delle foibe possono essere divisi in due distinti periodi: gli “infoibamenti” del settembre – ottobre 1943, successivi alla firma dell’armistizio e al dissolvimento dell’esercito italiano e le feroci stragi del 1945, che in alcuni casi si protrassero fino alla firma del Trattato di Pace di Parigi il 10 febbraio 1947. Ancora non si conosce esattamente il numero esatto delle vittime.
La storiografia attuale comprende una forbice stimata tra le 5.000 e le 12.000 persone trucidate. All’origine dei massacri una serie di gravi concause, alcune risalenti a decenni antecedenti i fatti. E tutto ciò al di là degli approcci ideologizzati dalla letteratura del dopoguerra e del silenzio sotto il quale passarono gli anni della Guerra Fredda e della Jugoslavia “non allineata” di Tito. Da considerare infine che i 350.000 italiani che lasciarono le loro case per divenire esuli in Patria furono trattati dai comunisti italiani e dai loro sindacati come “traditori” della causa socialista. I convogli ferroviari di giuliani in fuga nella stazione di Bologna furono in sostanza sigillati e fu vietato ai viaggiatori di scendere a rifornirsi di cibo e acqua, nonostante i bambini in lacrime.
Noi del Golfo di Gaeta non possiamo comprendere in pieno cosa significhi risiedere nelle terre di confine, rivendicate e annesse da altri popoli secondo le vittorie militari. Nel 1948 fu realizzato il film drammatico “La città dolente” con regia di Mario Bonnard e sceneggiatori di primo piano quali Federico Fellini, Anton Giulio Majano e Aldo De Benedetti che narra dell’esodo dell’anno precedente da Pola, che, con il trattato di pace, era stata ceduta alla Jugoslavia. Un film struggente, l’unico sull’esodo istriano, con molte scene documentaristiche. L’ultima nave italiana il Toscana lasciò Pola il 20 marzo 1947.
In dieci viaggi (più del numero inizialmente previsto), tra il 2 febbraio ed il 20 marzo, il piroscafo aveva trasportato complessivamente 16.800 profughi istriani. Gli italiani di Pola chiusero a chiave le loro case pur sapendo che era un gesto inutile e abbandonando la rada del porto gettarono le chiavi stesse in acqua, affidandole al mare, in un triste rito tragico, ben diverso da quello veneziano gioioso dello “sposalizio del mare”.
Per la cronaca il Toscana, nave ospedale, l’8 settembre 1943, alla firma dell’armistizio, era a Gaeta che lasciò l’indomani sera, prima che i tedeschi la catturassero. I nostri fratelli italiani non vanno dimenticati.