Mi sono recato prima della pausa natalizia al Comune di Minturno e all’ingresso del piano del sindaco ho visto un piccolo presepe. Mi si è aperto il cuore alla vista di un simbolo che negli uffici pubblici è praticamente scomparso. L’ho ammirato e fotografato. In chat ho espresso il mio apprezzamento al primo cittadino Gerardo Stefanelli che ha replicato affermando “voluto fortemente dal sindaco”. Bravo Gerardo, nonostante sia un esponente del PD, che ha fatto del laicismo negli ultimi anni la sua bandiera.
A tal punto che Giorgia Meloni – intelligentemente – come leader di Fratelli d’Italia ha lanciato di contro “la rivoluzione del presepe”. Finalmente il ministro della Pubblica Istruzione in carica è sceso in campo sul rispetto dei simboli della nostra civiltà cristiano-giudaica. Marco Bussetti, docente di ruolo nelle scuole medie, laurea magistrale con 110 e lode presso la Cattolica di Milano e non in possesso di titoli taroccati come nel caso di qualche predecessore, ha dichiarato: «Il Crocifisso per me è il simbolo della nostra storia, della nostra cultura, delle nostre tradizioni: non vedo che fastidio possa dare nelle nostre aule scolastiche anzi, può aiutare a far riflettere». Indipendente, vicino alla Lega, ha aggiunto di essere favorevole parimenti ai presepi nelle scuole in occasione del Natale, poiché «fanno parte della nostra identità».
Abbiamo assistito a un’operazione strisciante, quotidiana di laicizzazione del nostro paese, sino all’a-religiosità. Le forze politiche che sino ad oggi hanno governato non si sono preoccupate per nulla dei 48 milioni di italiani battezzati ma, invece, in nome del rispetto delle minoranze, hanno umiliato la maggioranza, negandole il diritto di esprimere liberamente la sua religiosità. Abbiamo da pochi giorni archiviato le festività religiose e la grande macchina pubblicitaria che “crea” il clima natalizio sin da fine ottobre ci ha propinato spot con ricchi alberi di natale e addobbi vari, numerosi babbo natale (gran bevitore – tra l’altro – di coca cola, dimenticando del tutto che non è altro che la rivisitazione di San Nicola) ma nessun riferimento al protagonista del Natale: il Bambin Gesù, che il venerdì santo vedremo in croce per la redenzione dei nostri peccati.
Mai l’immagine di un presepe, in nessun caso. Sino all’anno scorso nella pubblicità Conad si intravedeva nel fondo delle quadrature dopo l’albero un presepio. Ora nulla più. E nessun commentatore che abbia detto che il Natale è la buona novella, la nascita di Gesù in una stalla di Betlemme. Rispetto delle minoranze? Ma mi domando e domando negli altri paesi vi è tale reciprocità verso i cristiani? Festeggiare il Santo Natale nel Brunei comporta cinque anni di detenzione, in Arabia Saudita e nell’Iran la pena capitale, in Cina i campi di rieducazione… Finiamola con l’ipocrisia. Noi buonisti e i fratelli in Cristo nei paesi islamici fatti oggetto di attentati e incendio delle Chiese. Abbiamo persino concesso ai potentati arabi di realizzare a Roma una Moschea con un minareto più alto della Cupola di San Pietro, nonostante le invocazioni di Papa Giovanni Paolo II, che invochiamo come santo.
Dobbiamo “ringraziare” una coppia con due figlie della provincia di Padova se si è fatta definitivamente chiarezza. La vicenda giudiziaria, durata quasi nove anni ebbe origine in una scuola di Abano Terme e seguì un iter quanto mai complesso. Il 27 maggio 2002 il Consiglio di Istituto della Scuola Vittorino da Feltre di Abano Terme respinge il ricorso della famiglia di due alunne e decide che possono essere lasciati esposti negli ambienti scolastici i simboli religiosi, e in particolare il crocifisso, unico simbolo esposto. La decisione del Consiglio di Istituto viene impugnata dalla madre delle due alunne davanti al Tar del Veneto. Nel ricorso si sostiene che la decisione del Consiglio di Istituto sarebbe in violazione del principio supremo di laicità dello Stato, che impedirebbe l’esposizione del crocifisso e di altri simboli religiosi nelle aule scolastiche, perché violerebbe la «parità che deve essere garantita a tutte le religioni e a tutte le credenze, anche a-religiose».
Il Ministero dell’Istruzione, costituitosi nel giudizio, sottolinea che l’esposizione del crocifisso nelle aule scolastiche è prevista da disposizioni regolamentari contenute in due regi decreti: uno del 1924, n. 965; l’altro del 1928, n. 1297 Tali norme, per quanto lontane nel tempo, sarebbero tuttora in vigore, come confermato dal parere 63 reso dal Consiglio di Stato del 1988. Il Tar compie un esame delle norme regolamentari sull’esposizione del crocifisso a scuola e conclude che esse sono tuttora in vigore. Rimette, tuttavia, gli atti alla Corte Costituzionale. La norma che prescrive l’obbligo di esposizione del crocifisso – scrivono i giudici – sembra delineare «una disciplina di favore per la religione cristiana, rispetto alle altre confessioni, attribuendole una posizione di privilegio», che apparirebbe in contrasto con il principio di laicità dello Stato. La Consulta dichiara inammissibile il ricorso: le norme sull’esposizione del crocifisso a scuola sono «norme regolamentari», prive «di forza di legge» e su di esse «non può essere invocato un sindacato di legittimità costituzionale».
Gli atti tornano al Tar. Il crocifisso, «inteso come simbolo di una particolare storia cultura ed identità nazionale (…), oltre che espressione di alcuni principi laici della comunità (…), può essere legittimamente collocato nelle aule della scuola pubblica, in quanto non solo non contrastante ma addirittura affermativo e confermativo del principio della laicità dello Stato». Si conclude con queste parole la sentenza del 2005 con la quale il Tar rigetta il ricorso della madre della due alunne di Abano. Il Consiglio di Stato chiude la parte italiana della vicenda, con il rigetto definitivo del ricorso della madre delle due alunne.
Il crocifisso – scrivono i giudici – non va rimosso dalle aule scolastiche perché ha «una funzione simbolica altamente educativa, a prescindere dalla religione professata dagli alunni»; non è né solo «un oggetto di culto», ma un simbolo «idoneo ad esprimere l’elevato fondamento dei valori civili» – tolleranza, rispetto reciproco, valorizzazione della persona, affermazione dei suoi diritti, riguardo alla sua libertà, solidarietà umana, rifiuto di ogni discriminazione – che hanno un’origine religiosa, ma «che sono poi i valori che delineano la laicità nell’attuale ordinamento dello Stato».
Il 3 novembre 2009 la Corte Europea per i diritti dell’uomo boccia l’Italia: il crocifisso appeso nelle aule scolastiche è violazione della libertà dei genitori ad educare i figli secondo le loro convinzioni e della libertà di religione degli alunni. Il governo italiano ricorre e la Corte Europea decide di affidare la soluzione del caso alla Grande Camera. Con la sentenza del 18 marzo 2011 la Grande Camera ribalta il verdetto della Corte e dice definitivamente sì all’Italia, ritenendo che l’esposizione del crocifisso nelle aule scolastiche e negli altri luoghi pubblici non possa essere considerato un elemento di «indottrinamento» e dunque non comporta una violazione dei diritti umani: «Le autorità hanno agito nei limiti della discrezionalità di cui dispone l’Italia nel quadro dei suoi obblighi di rispettare, nell’esercizio delle funzioni che assume nell’ambito dell’educazione e dell’insegnamento, il diritto dei genitori di garantire l’istruzione conformemente alle loro convinzioni religiose e filosofiche».
La mia mente va ai docenti Giovanni e Margherita Sparagna del Plesso Scolastico Balbo di Scauri e al loro dolore quando tanti anni fa il dirigente scolastico Filomena Maretto impedì loro di realizzare il presepio in nome del rispetto delle credenze altrui. I due coniugi da una vita maestri elementari non comprendevano quell’ordine. Grazie sindaco di Minturno, grazie signor ministro Marco Bussetti.