Poco lontano dal castello medioevale,nella parte oiù alta del centro storico,vi è la collegiata di S. Michele Arcangelo,la più vetusta di Itri,sita in un ambiente assai interessante,per i resti delle secolari costruzioni,addossate al sistema fortificato della cittadella, che ha subìto tante vicissitudini nei secoli.
La chiesa è antichissima,eretta su un tempio pagano,dedicato ad Esculapio, di cui restano evidenti tracce. Settant’anni fa esso ancora si delineava,anche se parzialmente.
Se si facessero degli scavi sotto la chiesa,forse si rinvenirebbero altri resti. Soprattutto in una sorta di sotterraneo,dove,nel passato, vennero trovati eleganti vasi,pregevoli marmi ed antiche medaglie.
Questi ritrovamenti,che avvenivano spesso,ci hanno fatto pensare che questo edificio religioso dovesse essere un santuario,consacrato ad Esculapio. Di solito i santuari dedicati al semidio erano eretti sulle alture. Il culto di Esculapio fu importato a Roma e nei dintorni nel III secolo a. C.. Il tempio dovette essere importante e molto frequentato dai devoti,i quali forse iniziavano le loro preghiere con un olocausto ad Apollo. I pellegrini erano ammalati che si rivolgevano al padre delle medicina chiedendo una cura salutare. Quando il dio della guarigione esaudiva i loro desideri, i grati pazienti lasciavano al santuario offerte votive:vasi,medaglie, marmi. Molte volte questi doni erano dovuti a persone desiderose di propiziars Esculapio. Fin dall’inizio,questo santuario dovette prosperare e scintillare di doni votivi:oro, bronzo,ottone, marmi lucenti,riproduzioni in pietra di parti del corpo ammalate e di arti offesi! I regali venivano offerti al sacrario in segno di ringraziamento.
Si ritiene che il citato sotterraneo fosse adibito ad alloggio per i visitatori ammalati, in attesa della guarigione. E’ più probabile,però,che esso fosse una””favisse”, adibita a deposito del tempio. Nei pressi della collegiata di S. Michele Arcangelo,vi fu il rinvenimento di un’epigrafe riportante ..Iator ..GUST, comparsa nel CIL,6116,che si riferisce probabilmente ad un “viator”,viandantem augustale,ovvero sacerdote addetto al culto dell’imperatore Augusto. Siamo nella prima metà del I secolo a. C. o nella prima metrà del I secolo d. C.?
Nel secolo XI i Normanni eressero una bella chiesa,dedicata a S. Michele Arcangelo. Nella piazzetta antistante la collegiata vi sussistono ancora le due colonne di granito nero a mica (“colonne della Giustizia”),che segnavano il confine oltre il quale veniva praticato il diritto di asuilo. La prerogativa dell’immunità derivava anche dal toccare le porte, il cosiddetto “catenello”,e i gradini delle chiese. Ciò avveniva nei secoli XVII e XVIII. In un documento del 16 febbraio 1741 Giuseppe Fiorentino di Itri,inseguito dagli uomini della Corte,a causa di furti,aveva raggiunto la porta della vicina collegiata di S. Maria Maggiore, “dandosi di mano al catenello,seu anello della porta sudetta (sic!),chiamandosi:-Chiesa-!”. Erano le tre di notte. Il governatore D. Giuseppe Ametrani e il cancelliere Onirato Sinapi affermarono, due giorni dopo, che si erano procurati la licenza di arrestarlo dal vicario foraneo, D. Francesco d’Alena,”per evitare mali maggiori havesse hauto a fare detto Giuseppe,con altri compagni di sua comitiva”. Essi lo tenevano imprigionato e si dicevano pronti a restituirlo “ ad ogni ordine di Monsignor Vescovo di Gaeta”.
Il diritto d’asilo venne ridotto proprio da quell’anno,per il concordato stipulato il 2 giugno 1741, tra la Santa Sede e Napoli, auspici Benedetto XIV e Carlo III di Borbone.
Dalola piazzetta saliamo all’ingresso della chiesa,per undici gradini in pietra,che danno maggior risalto e solennità al caratteristico campanile. La pianta del sacro edificio è estremsmente irregolare. Forse originariamente essa era a navata unica,essebndo ora il campanile spostato verso sinistra, rispetto all’asse della chiesa, mentre è da supporre che fosse nella parte centrale, poiché questa è l’unica entrata al luogo sacro, come a S. Maria di Castagneto, a Formia. Il perimetro esterno presenta,a destra,una curva semicircolare,probabilmente un’absidiola,mentre la superficie,a sinistra,è glabra,sebbene con un tratto in diagonale verso l’absidiola.
La chiesa,che ha arcate a sesto acuto,ricoperte di stucchi settecenteschi,consta di tre navate:una centrale,molto ampia ed asimmetrica,due piccole ai lati. La nave,che è al centro,ha una tettoia a capriate,con vecchie travi rivestite di compensato, Originariamente il soffitto era a cassettoni,opera di gran pregio,andato perduto per i bombardamenti dell’ultima guerra mondiale. In fondo,la navata centrale ha l’altare maggiore con la staua in legno dipinto,di S. Michele Arcangelo, forse dell’inizio del XIX secolo. Il santo è su un piedistallo ed è rappresentato in atto di schiacciare,con i piedi,la testa dell’infernale dragone. !MI ka’el”,ovvrero “Chi come Dio?”,grido di guerra in difesa dei diritti dell’Eterno,riflettente la sua funzione principale di capo della milizia celeste,che,nell’Apocalisse,combatte e scaccia dal cielo la mostruosa ed ignìvoma bestia,simboleggiante Satana,con la sua coorte di ribelli. La mano destra di S. Michele sguaina una spada,pronta a trafiggere il Deago;nella sinistra ha una bilancia,simbolo doi giustizia. Il nemico di Lucifero è un psicopompo ed un pesatore d’anime.Queste ultime qualità rivelano un processo arcaico di cristianizzazione di funzioni appartenente a divinità pagane, come spesso è successo nella Chiesa dei primi secoli.
Di gran pregio è la coppia di colonne romaniche,portate da Gaeta,poste nel lato destro dell’ingresso della chiesa. Le due colonne stilofori,alte cm. 210,in marmo,con capitelli a testa di putti ed a foglie,reggono la cantorìa. Esse sono sostenute da due leoni accovacciati (che misurano cm. 70 di lunghezza),simbolo della potenza di Dio. Un’ipotesi molto accreditata è che le due colonne sono resti dell’antico pergamo. L’opera, in ottimo stato di conservazione, è stata realizzata alla fine del secolo XII e denota il gusto dei marmorari romani,che operarono in Fondi ed in Terracina. Forse il lavoro si può ascrivere a Giovanni di Nicola,artefice anche dei due leoni di Fondi.Però c’è una peculiarità che distingue le due opere:il leone di destra di Itri ha sotto una zampa un cucciolo,a mo’ di protezione. L’atto esprime la tenerezza del padre verso il figlio, ovverosìa Dio che protegge il figlio Gesù.
Al di sopra delle colonne romaniche,vi sono figure umane poggianti su foglie d’acanto. Esse sono poste ai quattro angoli per sostenere,novelli Atlanti,la cantorìa,con le spalle e con la testa. Nella parete d’ingresso,in una nicchia,c’è un affresco obliterato,del secolo VIV. L’opera, nella parte superiore,rappresenta Gesù crocifisso,con attorno S. Giovanni e la Madonna,mentre,al centro,vi è raffigurata la Vergine con il Bambino,che ha,nella mano sinistra,un globo con la scritta: “Asia,Europa, Africa”,da cui si evince che il dipinto è stato affrescato prima della scoperta dell’America. La Madre ed il Banìmbino si trovano fra due Santi, forse S.Elisabetta e S. Giuseppe. La parte inferiore dell’affresco è quasi del tutto deteriorata. Sotto l’arco della nicchia,in medaglioni,sono presentate le teste dei dodici Apostoli, dei quattro principali Dottori della Chiesa e di otto Santi Martiri,a corona dell’opera.
La grossa pittura (misura in altezza cm. 250) denota che l’artista è della scuola napoletana,della seconda metà del 1300. Potrebbe trattarsiI del maestro Roberto Oderisio,freschista napoletano,con cui i procuratori della collegiata di S. Michele Arcangelo stipularono i patti per la pittura della tribuna e di un’icona nella loro chiesa. Ce lo rivela la pergamena originale,di proprietà Tatta, del 18 giugno 1368, indizione III, Itri.
Roberto Oderisio fu il maggioire dei pittori attivi a Napoli,alla corte della regina Giovanna I d’Angiò e poi a quella di Carlo III di Durazzo.
Nella stipula dell’accordo, Roberto da Napoli doveva rappresentare un Salvatore, $ angeli, il cielo con le stelle. Le teste di queste figure dovevano essere dipinte d’”oro di floreno”. Egli doveva porre nelle stesse sembianze e nella stessa rribuna il migliore “azolum” che si trovava in Germania. Sotto la citata tribuna,il maestro doveva dipingere la figura della Vergine Maria con due figure di angeli e con le immagini del dodici Apostoli.Le teste e le pieghe delle vesti dovevano essere del predetto “oro di floreno”. Sotto le immagini degli Apostol,l’artista doveva rappresentare quattro dottori della Chiesa ed otto martiri. Inoltre il maestro Roberto da Napoli doveva pitturare un’icona utilizzando l’ “azolum” ultramarino.
Nel contratto si stabiliva il compenso dell’artista in “ventidue once di gillatis d’argento,sessanta per oncia computandis,del peso generale”.