Di solito la prima tappa per chi giunge ad Itri è il castello medioevale, ma l’elemento significativo del profilo artistico della cittadina è la “collegiata di S. Maria Maggiore” con l’annesso campanile, di stile moresco. L’antica chiesa, non più aperta al culto da 76 anni, per i notevoli danni arrecati ad essa dai bombardamenti anglo-americani, nell’ultimo conflitto bellico, è una perla incastonata nel centro storico. Tuttavia. Dal dopoguerra, è rifugio di gufi e di civette, oltre che luogo di deposito di fieno e di attrezzi agricoli! La collegiata di S. Maria Maggiore e la “confraternita dei SS. Gregorio e Antonio abate” 8altra chiesa costruita, nel secoloXV. Sotto il pavimento di S. Maria Maggiore, che, per secoli, ha custodito il corpoi di S. Costanzo martire) sono da salvare! Ne valgono la pena. Per restituire alle due chiese la dignità che spetrta loro, è necessario “in primis” eseguire opere di consolidamento delle murature, poi procedere alla pulizia dell’interno e dell’esterno e, infine, alla copertura della volta, quasi interamente senza tetto.
Sessantaquattro anni fa, la Soprintendenza ai Monumenti restaurò il campanile trapezoidale, dalla varia decorazione, di gusto campano-orientale, che era in gravi condizioni statiche. Il campanile, risalente al 1200, ritrovò così tutta la sua vivacità di linee e di cromatismi, risaltando, ancora di più, per il contrasto con lo squallore delle macerie da cui sorge. Alcuni hanno asserito che il campanile di Itri, dalla cupola policroma, dalle ariose bifore e trifore, dalle robuste colonne tortili, richiama i moduli architettonici di Caserta vecchia, di Ravello e di Amalfi. E’, quindi, probabile che questo campanile abbia risentito l’influsso della vicina Campania, anche se si distaccò da detta influenza per la piegatura dell’ncorniciatura, ciò che costituisce una peculiarità del modello itrano. E’ importante riportare ciò che scrisse Alberto Serafini, novant’anni fa: “Ad Itri – siamo ancora a nord del Garigliano – il campanile di Santa Maria ci porge un bell’esempio di tale fenomeno di giustapposizione. La sua ossatura originaria è concepita secondo lo schema che le maestranze pregotiche tolsero a prestito dalle più antiche romane-laziali adattandolo.
E’ a volte sovrapposte, e di queste volte ve ne erano in origine almeno tre, poiché della terza in alto esistono ancora i peducci e i raccordi. La zona del campanile, che corrisponde all’antica cella campanaria, raccoglie i suoi elementi esterni decorativi da edifici di Roma, di Gaeta, della campagna laziale, delle città dell’Italia marittima meridionale. E’ sopra e sotto limitata da cornicioni romani a modiglioni marmorei, stretti tra le solite riseghe di dentelli destrorsi e sinistrorsi e filari di mattoni formanti listello; in inferiormente alle cornici una o due serie di mattonelle disposte a losanga e di piatti in majolica risaltano coi loro colori vivaci; il paramento murario intermedio a corsi di pietra da taglio intercalati a filari di laterizio, dà un effetto bicromico di bianco e rosso. La bicromìa continua anzi anche nelle finestre. Esse sono di modulo grazioso a bifore di arco acuto con colonnina tortile mediana, e sono inscritte emtro un’altra puiù grande bifora, apparente solo all’esterno, disegnata con muratura di mattone incorniciata di peperino.
E’ una tecnica che non ci è ignota; e che trionfa a mezzogiorno del Lazio nel campanile di San Pantaleo di Ravello, il quale nel secolo XIII riunisce pittorescamente parecchi degli elementi dec9orativi della torre campanaria di Sant’Erasmo di Gaeta, ed altri di origine araba,sicula, normanna. Come è noto Ravello fu campo di esercitazione alla maestranze romano-campane.” Le finestre con gli archi incrociati e sopralzati, ricchi di piatti smaltati, a colori vivi, hanno un aspetto quasi veneziano, di origine bizantina. Il lavoro, bellissimo, di restauro, che torna ad onore non solo del suo esecutore, arch. Francesco Sanguinetti, ma di tutta la Sorintendenza, merita di essere ricordato con gratitudine, per l’impagabile opera prestata in favore del nostro patrimonio monumentale. Della pregevole opera di restauro, scrisse Giorgio Lilli Latino: “Il campanile era stato duramente toccato dalle bombe; tanto duramente, che quasi non si riconosceva. Demolirlo sarebbe stato affare di un minuto; restaurarlo fu invece complicatissimo, ma il lavoro fu compiuto così bene e con tanta scrupolosa fedeltà, che nessuno oggi potrebbe dire che il campanile di Itri sia mai stato graffiato dalla guerra.
Dal Fosso Pontone il materiale fu portato sul monte a dorso di mulo, mattonella per mattonella, pietra per pietra, e dove i muli non potevano passare, si si aprirono varchi a colpi di piccone. Un lavoro duro e magnifico, uno dei migliori compiuti dalla Soprintendenza ai Monumenti del Lazio in questo dopoguerra. L’arch. Sanguinetti, cui fu affidato il restauro e che aveva già una vasta esperienza di antich campanili riportati allo stato originario, si trovò a dover risolvere numerosi problemi di trasporto, di sgombero, di collegamento, prima di poter procedere alla parte tecnica del lavoro; e non aveva mai operato tra macerie lungo una scoscesa parete di monte.” Adesso questo magnifico pezzo d’arte medioevale, questo esemplare di architettura assolutamente marinara, costruito fra le montagne, è meta di numerosi visitatori, che ammirano la cupola e l’ardita architettura duecentesca. L’opera, notevole per l’equilibrio ed il valore della sua armoniosa decorazione, attende però un completamento nel restauro delle due chiese, soprattutto quella di S. Maria Maggiore, a croce greca, leggermente irregolare, dato l’addossamento delle case vicine. Essa è ritenuta la chiesa più ben disposta della Diocesi di Gaeta. Infatti il suo terrazzo era chiamato “la loggia della salute”.