Itri centro: qui insisteva il convento di San Francesco – Poco lontano dalla chiesa ricettizia della Ss.ma Annunziata, c’era il convento di S. Francesco della Scarpa, con l’annessa, ricca chiesa di S. Giovanni Battista, dei Padri Conventuali della Scarpa, contenente numerose lapidi. Un’antica epigrafe, sepolcrale, riportata dal Pratilli e dal Grutero, racchiudeva il lamento di un marito inconsolato, l’architetto Numisio, per essere stato lasciato solo, dopo 55 anni, dalla consorte dilettissima Procula, con cui visse senza lagnanze o rammarichi. L’iscrizione. In marmo, era posta sulla tomba di Procula.
Il sacro luogo fu fondato nel 1324 e la chiesa fu consacrata nel 1415 da Marino, vescovo di Gaeta; vi morì il cardinale Ippolito de’ Medici, vicecancelliere della Chiesa, fatto avvelenare, nel 1535, dal dissoluto cugino Alessandro, duca di Firenze. Il pontefice Benedetto XIII si ferma due volte ad Itri: il 3 maggio 1727 pranza dai conventuali; il 29 maggio 1729 si ferma a rifocillarsi sempre nel paese aurunco.
L’unico resto dell’antica chiesa, quasi interamente distrutta, nell’ultima guerra mondiale, dai bombardamenti angloamericani, è il dipinto posto sulla parete di una sala del “Bar centrale”. L’affresco raffigura “Gesù Cristo nell’Orto degli Ulivi e la Resurrezione”. Esso, in discreto stato di conservazione, è perfettamente leggibile e può assegnarsi, senza dubbio, al XIV secolo, ascrivibile alla scuola umbra, forse al pennello di Ottaviano Nelli o a qualche allievo di Gentile da Fabriano. Le figure, armoniche, sono ampiamente modellate. Vi cogliamo una lirica intuizione del valore spaziale e musicale del paesaggio. Inquadrati in un’incorniciatura architettonica altrettanto armonica quanto semplice, immersi nella solitaria quiete del paesaggio digradante in dolci modulazioni, sotto la luminosa immensità dei cieli, i personaggi dello sconosciuto artista hanno una grazia straordinaria, che partecipa, con mirabile equilibrio, all’alta malinconia implicita nel ritmo stesso degli spazi. L’opera rivela un gusto per la precisione e per la finitezza. Essa, caratterizzata dal rigore della stesura prospettica e dalla geometrica perfezione dei volumi, è immersa in una luminosità diffusa e sottile, vibrante di trasparenze e di rosate morbidezze.
Il dolce paesaggio, inghirlandato di rocce e di piante, sottolinea, oltre ad un tono di religiosità semplice e sincera, l’atmosfera di silenzio che fascia i personaggi, tre dei quali sono dormienti.
Fino a poche anni fa, del convento, restavano gli archi possenti. Nella chiesa di S. Giovanni Battista era custodito un polittico, dal titolo “Madonna col Bambino, San Francesco,. S. Giovanni Battista e l’Eterno benedicente”,databile all’anno 1499 e attribuito a Cristoforo Scacco.
Molto è stato scritto e molto si è discusso circa il luogo di nascita dello Scacco e della sua formazione artistica. Chi lo vuole nativo di Verona per essere stato così sempre chiamato o per esservisi formato artisticamente alla presunta scuola del Mantegna o del Crivelli o ancora dello Squarcione, tutti operanti in quelle terre veneto-padovane, credendo di poterne dar prova con supposte influenze di quei pittori nelle sue opere. Mai nessuno ha dato peso alcuno alla tradizione di Lui, ancora costante nelle terre in cui l’artista ha lasciato i suoi quadri migliori e, diciamo pure, importanti per mole ed impegno, ivi rimaste e custodite in piccoli centri, dove è da ritenere egli abbia lavorato per commissione, data la sua abituale permanenza sui luoghi, impostagli dalle sue condizioni di nascita e di esistenza. Fondi, Itri, Sessa Aurunca, Capua, Nola, Piedimonte Matese, Penta (il dipinto di questo caratteristico paese è, adesso, come quello di Itri, a Napoli, nelle Gallerie Nazionali di Capodimonte), Monte S. Biagio, sono tutte località del Mezzogiorno d’Italia, i cui artisti erano pronti a recepire ciò che avveniva altrove. Nell’ultimo centro, nella chiesa di S. Giovanni Battista, Cristoforo Scacco eseguì un polittico rappresentante lo “Sposalizio di S. della Rota Caterina tra S. Gio. Evangelista e il Battista”, opera commissionatagli da Evangelista Scacco, congiunto,”canonico salernitano”, titolo probabilmente onorifico, portato anche a Sessa Aurunca e ad Arezzo.
Tralasciando altre considerazioni intuitive, per restare nel campo della realtà materiale e nell’impossibilità di avvalerci di approfonditi studi e ricerche al riguardo, lavoro – è auspicabile – che qualcuno voglia intraprendere, può ben affermarsi che ad Itri la memoria dello Scacco è tuttora viva, per il nome dato ad una via del centro storico, che tutti ricordano, anche se, forse, la scritta è andata distrutta, a causa degli eventi bellici del secondo conflitto mondiale, con circa la metà delle antichissime costruzioni, dell’ultimo e primo Medioevo.
E ancora più viva è la memoria del Maestro, tramandata per generazioni, “da bocca ad orecchio”, dai Cardi, legittimi, privati proprietari del polittico, di sapore antoniazzesco, oggi custodito, smembrato, nelle Gallerie Nazionali di Capodimonte, ivi passato dal Museo Nazionale di Napoli, che, con illegittime, arbitrarie, capziose motivazioni, è riuscito ad impossessarsene. L’opera adornava la cappella gentilizia della famiglia Cardi in Itri, fatta erigere intorno al 1520, da Giuseppe Cardi, figlio del ministro di Caterina de’ M4edici, regina di Francia, quivi venuto a trovarsi per aver comandato la squadra navale addetta alla sorveglianza delle coste del golfo di Gaeta fino al Circeo, infestate dalle trireme e dalle veloci fuste dei pirati.
La cappella trovavasi nella chiesa di S. Giovanni Battista, annessa come abbiamo già accennato, al convento dei Frati Minori, che si stabilirono in Itri, dopo l’assenso del papa avignonese. Giovanni XXII, al secolo Jacme Duesa, colui che condannò Marsilio da Padova e santificò Tommaso d’Aquino.
Il polittico fu venduto ,nel 1905, da uno dei proprietari, Giuseppe Cardi, assente l’altro, avv. Federico Cardi, che si era stabilito a Fondi, all’antiquario d’arte Improta di Napoli, per una cifra irrisoria, il quale tentò di esportarlo in Francia, ma alla dogana di confine fu sequestrato e passato arbitrariamente al Museo Nazionale di Napoli , che illegittimamente ne rivendicò il possesso. Ne seguì un lungo processo, che finì in favore del Museo Nazionale di Napoli, per decadenza di termini da parte degli eredi Cardi.
Ad Itri Cristoforo Scacco eseguì anche “Le Quattro Stagioni”, opera che rimase in casa Cardi fino all’ultimo conflitto bellico, ora irreperibile.
Di certo si sa che gli Scacco, nel Quattrocento, dimoravano in Itri, nel centro storico. In una numerazione dei fuochi di Terra di Lavoro, dell’anno 1447, I numerazione, vol. 26, c. 33 a, conservata nell’Archivio di Stato di Napoli, sezione amministrativa, si trovano citate, di seguito, due famiglie Scacco : quella di “Janne Antonio de Scaccho, Joanna eius uxor: sunt sub eo nati minores”; l’altra di “Antonaczo de Scaccho, Bona eius uxor: uxoratus ab annis duobus”
Tra i figli di Giovanni Antonio e di Giovanna, sua moglie, e tra quelli che Antoniazzo e Bona hanno messo al mondo c’è l’artista Cristoforo, nato sotto la signorìa dei Caetani e formatosi artisticamente a Verona, dove non è censita nessuna famiglia Scacco e nei cui archivi non si hanno notizie sulla famiglia ? Ciò conferma la nascita di Cristoforo nel regno di Napoli, svolgendo l’artista la sua attività nel Meridione d’Italia, occupandovi uno dei primi posti, grazie alla vivacità dei suoi colori e alla delicatezza delle composizioni, in alcune delle quali persegue una visione surrealistica.
Pensiamo che il Nostro sia nato ad Itri, abbia avuto l’educazione artistica nella città degli Scaligeri e poi sia tornato alla terra natìa.
Nel gennaio del 1799 il convento fu saccheggiato dalle truppe napoleoniche e molto danneggiato. I frati, in parte furono uccisi, in parte carcerati. La chiesa fu ridotta a stalla, il giardino fu adibito a deposito di carrozze e di munizioni. La grande ed antichissima campana del convento fu trafugata e portata a Marsiglia e non è più totrnata ad Itri.
Il comandante della truppa francese, in considerazione del danneggiamento che derivava al polittico dai fuochi del bivacco, di sua iniziativa lo fece trasportare in casa dei proprietari Cardi, francesizzanti, dove rimase fino ai primi anni del Novecento.
Il polittico è diviso in quattro tavole: nella parte centrale è raffigurata la Vergine, seduta, avvolta in un manto scuro, ornato d’oro, che, dalla testa,, cade pesantemente sulle braccia; manto fermato sul petto da una placca. La Madonna stende il velop intorno al Bambino, che, in piedi, sul ginocchio sinistro di Maria, benedice con la mano destra, mentre nella sinistra regge il globo,. Il Bambino, dai capelli biondi, dai vispi occhietti chiari, dal volto tondeggiante, dal naso schiacciato, dall’adorabile boccuccia, è più bello di quello della tempera su tavola del Museo Campano di Capua, con un gusto del colore caldo e trasparente.
Sullo sportello di sinistra è rappresentatoo San Francesco, di profilo, che legge con serenità il libroi aperto sul palmo della mano sinistra, mentre, con la destra, stringe una sottile croce di colore rosso, che potrebbe alludere, conoscendo la predilezione dello Scacco per i simboli, al sangue versato dal Cristo sulla Croce.
La tempera su tavola ci riporta ad Andrea Mantegna della “Pala di San Zeno”, a Verona, per la postura della Vergine e del Bambino e per la smagliante intensità delle cromìe del dsipinto.
Nella tavola di destra, abbiamo San Guiovanni Battista, il precursore di Gesù nella predicazione e nel Battesimo, in piedi, in tunica scura, che risalta nei risvolti, e manto rosso: nella mano sinistra tiene un libro su cui poggia un agnellino, “agnus Dei”, mentre la mano destra regge un’asta con lo stendardo di S. Giorgio, vessillo simboleggiante che trattasi di un cavaliere di Cristo. Il mantello è tenuto davanti da due cordoni attaccati ad una placca. Ak di sopra della parte mediana del polittico, è posta una cimasa, sulla quale spicca l’Eterno Padre, benedicente, in cui risalta una calda sensibilità della gamma cromatica,, propria del colorismo lombardo-veneto.