Mafie che da sempre non hanno spartito niente con nessuno, che affermano la loro superiorità nei territori di provenienza , convivono invece in maniera eccellente in questa che viene definita una terra aperta, nella quale si riesce a lavorare e collaborare non solo con i sodali provenienti dai territori di origine, ma anche con quelli che trovi sul territorio, quindi con le mafie emergenti.
Con quei clan locali, dunque, che perpetrano il metodo mafioso; non a caso proprio in questi tre comuni, in questo triangolo che abbiamo evidenziato, vi siano i Casamonica, gli Spada, i Di Silvio, che intrecciano sempre più spesso rapporti con la politica locale eleggendo, prezzolando e assoldando parti di classe dirigente e di politici.
Le responsabilità certamente sono da ricercare in quella che è la “non lotta” alla mafia, le mancate denunce. La svolta di legalità deve necessariamente passare dalla denunce, ma con la consapevolezza che chi denuncia venga accompagnato in un percorso senza incertezze, di supporto agli imprenditori vittime di estorsione, di racket e di usura. La “protezione” deve essere ancora di più affermata come un successo dello Stato e non come un fallimento.
La consapevolezza che ci sono dei buchi da colmare a livello legislativo, istituzionale e procedurale deve essere il primo obiettivo per una vera lotta al contrasto delle mafie. Oggi la situazione del Lazio è veramente complessa, non solo nel litorale ma anche nell’entroterra, basti pensare ai Diotallevi, ai Fragalà. Troppe sono le rappresentazioni di quei picciotti non venuti da lontano ma ormai nati nel Lazio, che fanno carriera nelle nelle famiglie mafiose.
Ecco, l’impegno deve essere istituzionale, politico, sociale: una rete efficace di protezione e contrasto, unica strada per una vittoria finale.