Dei tredici assedi sostenuti, iniziati nell’846 (i Saraceni l’assediano per circa due anni) e finiti con quello del 1860-61, tratteremo solo l’ultimo, che portò alla fine del regno dei Borbone, con il crollo e la dissoluzione del più vasto e più antico reame, oltre che il più ricco e più potente, della penisola italiana.
Caduta Capua, i sovrani borbonici, Francesco II e Maria Sofia di Baviera, si rifugiano nella roccaforte di Gaeta, investita dalla via di terra. La volitiva fanciulla di Wittelbach, nellle cui vene scorreva il sangue di antichi guerrieri teutonici, fu vicina al consorte rifiutando le pressioni e gli inviti a portarsi nella Città Eterna.
La bella regina fu il simbolo e l’anima della strenua resistenza della guarnigione di Gaeta trascorrendo giorni interi, in quel rigido inverno, sugli avamposti della piazzaforte assediata, accanto al re, in mezzo ai soldati, “inebriati della sua presenza”.
Nell’ora suprema e nelle situazioni più pericolose, anche quando scoppiò il tifo tra i soldati napoletani, ella era presente e si aggirava tra i feriti e tra i malati medicandoli e rincuorandoli. Tra gli scoppi di proiettili e il sibilare di bombe e di granate, Maria Sofia, temeraria, incurante del pericolo, compariva sul suo cavallo bianco, nei punti della fortezza dove più crepitavano le mitraglie incitando gli uomini a resistere e a rispondere alle cannonate dei piemontesi. I difensori della roccaforte, decimate dalle formidabili artiglierie nemiche (gli assedianti avevano cannoni a retrocarica e rigati, di lunga gittata), imbrattati di sangue, fissavano la bella amazzone con un’adorazione religiosa baciando l’orlo della sua veste. I soldati partenopei, malvestiti e peggio nutriti, forniti di esigue riserve, la salutavano con gioiosi “urrah”, con possenti grida di “Viva la regina”, mentre caricavano gli antiquati pezzi di artiglieria e facevano fuoco.
Maria Sofia, appena diciannovenne, spartì con essi i disagi, le privazioni più terribili ed inopinate, rifiutando ogni particolare privilegio. Questo comportamento, che le procurò un’aureola di leggenda, suscitò in tutta Europa echi entusiastici di ammirazione; lo stesso nemico subì il fascino di questa figura femminile apprezzandone le singolari qualità morali. La gloriosa pagina di storia scritta a Gaeta dalla dinastia borbonica fu, a detta di Charles Garnier, “una delle più belle pagine della storia contemporanea”. L’epopea gaetana isapirò pagine di ammirazione a Gabriele D’Annunzio, che, nella”Canzone di Garibaldi”, aveva esaltato il valore, l’abnegazione di Maria Sofia, definendola “2aquilotta bavarese” Un alone di poesia si sprigionava dalla figura della sovrana, il cui fulgido eroismo fu cantato dal poeta napoletano Ferdinando Russo nel poemetto “O surdato ‘e Gaeta”, in cui un reduce dell’assedio richiama alla mente le sue impressioni dedicando a Maria Sofia, una sorta di Angelo consolatore, di genio del bene, alcuni ingenui versi, permeati di sentimentalismo e di delicata mestizia: “E ‘a riggina…Quant’era bella / e che core teneva! E che maniere! / Mo’ ‘na parola ‘a sentinella, / mo’ ‘na strignuta e mano a l’artigliere. /Steve sempe cu nuie!… Muntava ‘nsella currenno e ‘ncuraggianno juorno e sera / mo’ cca, mo’ lla… /e t’era buonaurio e t’era sora, / quanno cchiù scassiava a cannunata! ….. /Ire ferito? E t’asciuttava ‘a faccia… / Cadive muorte? Te teneva ‘mbraccia…”.
Nobile comportamento, non da regina, ma da “suora di carità”.
Sulla spianata di Gaeta si è vissuto, da parte di “Franceschiello” e di Maria Sofia, un episodio di grande dignità personale, pronti com’erano i due giovani regnanti, all’inevitabilità degli eventi, in attesa di quella che Alessandro Giupponi definisce polemicamente la “Mala Unità d’Italia”, che diede inizio alla “Questione Meridionale”, non ancora risolta.
Caduta Gaeta (una circolare del 14 febbraio 1861 attesta la resa di Gaeta, a firma di Mario Rizzari,
vice governatore della provincia di Messina), la famiglia reale parte per Roma, in data 13
febbraio1861, ospite del pontefice Pio IX, sulla corvetta francese “Mouette”: A bordo, oltre a
Francesco II e a Maria Sofia, ministri, generali, dame e gentiluomini. In tutto ventiquattro persone.
La guarnigione borbonica rimase prigioniera di guerra fino alla caduta di Messina e di Civitella
del Tronto.
Sulla “Batteria Philipsthal” il generale-conte Lanzavecchia di Bury., nel 1868, “passò una gran
rivista a tutte le truppe del presidio di Gaeta, e lo stesso Generale, a ricordare il valore e l’eroismo
di tutti i soldati che lottarono e perirono durante l’assedio del 60-61, fece apporre, su quella
batteria, una lapide sormontata dai due stemmi di Casa Savoia e di Casa Borbone”. In quella
circostanza, fu celebrata al campo una messa solenne per tutti i caduti dell’assedio.
Cinque anni prima, Marco Minghetti era stato incaricato di formare il nuovo governo, in
sostituzione di Luigi Carlo Farini, che , malato e stanco, lasciò la Presidenza del Consiglio,
spegnendosi povero, a soli 54 anni di età.