LA MINACCIA DI QUERELA E QUELLE VERITÀ SCOMODE DI CUI NESSUNO VUOLE PARLARE… La città di Formia non ha bisogno solo di un Sindaco. La città di Formia non ha bisogno solo di una rivoluzione culturale e politica rispetto a un passato pieno di ombre mai chiarite. La città di Formia ha bisogno anzitutto di verità e responsabilità. Concetti, talmente semplici e importanti, da rappresentare il punto irrinunciabile di partenza per chi vuole fare politica, amministrare la città e darle un futuro concreto. Questi sono ideali che non si barattano, in modo da poter finalmente trovare quale sia la strada per dare opportunità e qualità della vita a tutti i formiani, e non solo sempre agli stessi, così da decidere quale sia il futuro di Formia non per puro spot elettorale, ma concretamente. Sete di verità, ma ognuno ha la sua e qualcuno pensa di dire solo quella che vuole. Ieri Aldo Forte, figlio dell’ex sindaco Michele Forte, ha rivolto a me un comunicato stampa dove la minaccia della querela fa da cornice a una serie di scuse su cose accadute, realmente accadute e pazienza se sono passati oltre trent’anni, ma quelle cose hanno in un modo o nell’altro condizionato comunque la storia della nostra città. In un altro momento, forse avrei lasciato perdere, ma Formia è stata devastata per decenni e ora non c’è più tempo di soprassedere dinanzi a certi personaggi e certe affermazioni. L’ex assessore regionale, componente di una delle amministrazioni laziali più disastrose che la nostra Regione ricordi, oggi ha annunciato che mi querelerà perché Michele Forte, secondo il figlio Aldo, “non potette esimersi nel sottoscrivere una certificazione di stato civile alla famiglia Bardellino, per due ordini di motivi. Un sindaco non può esercitare alcun potere ostativo nel rilascio di una residenza a chicchessia a fronte del nulla osta dell’ufficiale di stato civile e, ancor prima, della decisione del Tribunale di Latina che, nonostante una specifica richiesta della Questura del capoluogo pontino, ritenne non applicare neppure la misura della sorveglianza speciale nei confronti di Ernesto Bardellino che all’epoca dei fatti era incensurato”. Bene, iniziamo con il dire che prima della modifica della legge nel 2012, il cambio di residenza non avveniva automaticamente, ma chi di dovere aveva tutto il tempo per i preventivi controlli della polizia locale e di eventuali altri controlli di organi di polizia giudiziaria. Il Comune poteva e doveva rigettare la richiesta di cambio di residenza, e visto che i fatti a cui ci riferiamo risalgono al 1990, prima della legge Bassanini (approvata nel marzo 1997) il rigetto avviene da parte della figura del sindaco, in qualità di ufficiale di stato civile. Ovviamente tale diniego doveva essere motivato e documentato. Il richiedente avrebbe potuto fare ricorso gerarchico al Prefetto entro 45 giorni dal diniego ottenuto possibilità che ancora oggi è attuabile, nonostante la legge sia stata modificata. Ricordiamo a questo proposito che gli organi di polizia espressero il loro parere contrario proprio al rilascio di quei documenti, circostanza che forse sfugge ad Aldo Forte, ma non può essere sfuggita all’ex sindaco che amministrava la città di Formia nel 1990. Sulla dichiarazione del Commissariato datata novembre 1990 poteva aprirsi uno spiraglio per la nostra città, per cui la famiglia Bardellino non avrebbe ottenuto la residenza e avrebbe dovuto ripiegare su altro Comune o andarsene dall’Italia, certo il Comune ne avrebbe giovato e gioito e forse oggi staremo a raccontare un’altra storia. Insomma saranno stati pure incensurati, anche se alcuni, già nel 1990, avevano precedenti di polizia, ma non stavano venendo certo in gita. Nel 1990 si erano già svolte le grandi operazioni che avevano devastato l’intera provincia di Caserta, con Antonio Bardellino che aveva ucciso e fatto uccidere i cutoliani, per poi essere lui stesso ucciso (?) nel maggio 1988, e successivamente alla sua scomparsa si era assistito alla diaspora della sua famiglia verso il sud della provincia di Latina, alla ricerca di un’area da colonizzare e dove stabilirsi in maniera definitiva. Nel 1990 si era già consumato davanti agli occhi di tutti lo strapotere scintillante della discoteca più grande d’Europa, il Seven Up, dove alcol, droga e affari criminali erano ospitati dai privet del locale, sito proprio a via degli Orti, a Formia. Ma ovviamente questo, Aldo Forte, non lo dice, speriamo che sia solo non conoscenza, anche se si dilunga sulle capacità amministrative, accusando la sottoscritta di non averle e lì ne prendo atto, ma dimentica che lui ha fatto parte della giunta di Renata Polverini nel Lazio, tra le principali responsabili assoluta della devastazione degli ospedali nel Golfo di Gaeta, della sospensione del progetto della Littorina per poi finire in bellezza chiudendo la sua esperienza con una “rimborsopoli” da qualche milione di euro di denaro pubblico speso per viaggi e pranzi da alcuni gruppi politici all’interno del Consiglio regionale, e le cui sentenze stanno arrivando a meta proprio in questi giorni. Quindi, Aldo Forte, adesso dice che dovrò rispondere in tribunale per quanto ho detto e se ci sarà un tribunale a dover fare eventualmente luce sull’accaduto non lo decide lui ma un giudice dopo eventualmente la decisione di chiedere il rinvio a giudizio da parte di un magistrato, come prevede la legge. Ma dico di più, forse a questo punto è davvero arrivato il momento che un giudice faccia chiarezza. Che un tribunale si occupi di quei giorni e di quei mesi e di quegli anni e ci dica che genere di rapporti siano intercorsi tra i componenti della famiglia Bardellino in fuga dalla guerra di camorra in corso a Casal di Principe e San Cipriano d’Aversa e il sindaco, allora assessore, Michele Forte e non solo. Rapporti in merito ai quali il superpentito dei Casalesi, Carmine Schiavone disse essere molto stretti, e che il clan dei Casalesi riteneva Formia e il sud della provincia di Latina, “provincia di Casale”. Almeno questa volta, diversamente da quanto abbiamo visto nel processo contro la giornalista Marilena Natale, la famiglia Forte, e pure noi, avremo la verità giudiziaria completa, fino in fondo e non solo parziale. In quella circostanza infatti la famiglia dell’ex sindaco ha perduto il processo perché la Natale riportò proprio le affermazioni di Schiavone. Una vittoria anch’essa solo parziale, perché nel dare ragione alla giornalista nessuno ancora ci ha detto se Carmine Schiavone riferì il vero o no, nessuno ci ha detto se Carmine Schiavone è stato un mitomane o un narratore, un mentitore o un vero collaboratore di giustizia. Oggi potremmo far finta che trent’anni sono passati e poco importa, tranquillizzando Aldo Forte e il suo avvocato che parlare di certi argomenti non porta voti, anzi, in tante occasioni e a causa di una brutta memoria corta, li fa soprattutto perdere, li fa sicuramente perdere. |