Che volto ha un eroe? Che nome ha? Come risuona la sua voce? Ognuno ha la sua risposta, io ho la mia, eccola: ha le sembianze di un partigiano /a . Tra questi eroi, che hanno sacrificato libertà e vite, ce ne è uno che lega il suo nome alla città di Formia: Domenico Cicala.
Segretario comunale del Comune tirrenico nel post – conflitto, gli anni delle ricostruzione, della rinascita di Formia e dell`Italia tutta, ne sono ricordate azioni e buone pratiche. Noi vogliamo ricostruire, invece, le sue gesta nel corso del conflitto bellico.
Chi era Domenico Cicala?
Classe `06, Cicala da giovane aveva aderito alle idee socialiste del primo novecento, alimentando la sua formazione umana e politica in senso liberale. Sono queste le radici che reggeranno le azioni che lo avrebbero visto protagonista a Filettino (FR) quando negli anni della ritirata nazista e dei rastrellamenti si trovava a svolgere il lavoro di segretario comunale.
Nel 1944, proprio nel comune del frusinate, con il valido appoggio della cara moglie Anna Longo, aveva dato vita ad un vero e proprio punto di riferimento e di aiuto per diversi prigionieri alleati provenienti dal campo di concentramento di Fara Sabina, e diretti al Sud.
In quegli anni, Cicale era in stretto contatto con il gruppo partigiano che si era formato a Filettino, di cui faceva parte il locale Giuseppe Latini, nobile figura di patriota, gli ufficiali superiori del Genio Aereonautico: Pietro Noto, Umberto Tolino ed Elio Albanesi, i tenenti Stenafelli, Stazio ed altri antifascisti, nonchè i fratelli Durante: Mario, Bruno e Faustino. Di questi ultimi, i primi due saranno martiri della Resistenza, uccisi dopo crudelissimi sevizie nei pressi di Avezzano, il terzo sarà internato nel campo di concentramento di Cinecittà da cui riuscirà a fuggire nascondendosi, poi, a Roma.
Per Cicala, invece, l`appartenenza al gruppo partigiano non passerà inosservata alle forze naziste in ritirata. Infatti, nell`aprile del 1944 un paracadutista italiano, Bruno Castellani, che avrebbe dovuto agire per conto degli alleati, catturato dai tedeschi a Trevi, rivelò i nomi degli antifascisti operanti nell`area.
Passione e calvario nelle mani dei nazisti
Il primo maggio 1944 Domenico Cicala fu arrestato nel suo ufficio comunale di Filettino e sottoposto ad un primo sommario interrogatorio, nel corso del quale gli fu assestato un potente colpo di frusta alla tempia, che lo farà sanguinare abbondantemente e gli lascerà una profonda cicatrice.
Il palazzo comunale si trovava a pochi metri dalla sua abitazione. Qui la moglie Anna, assistendo alla cattura, vedendolo ammanettato, presa dalla disperazione tentò di liberarlo dalla morsa delle SS, che per tutta risposta la allontanarono a colpi di fucile, che la mancarono miracolosamente.
Il segretario Cicala, intanto, era stato condotto a Trevi, dove continuò il barbaro interrogatorio. Due giorni di torture, al cui termine fu trasferito nel carcere giudiziario di Tagliacozzo (AQ), dove sarebbe stato fucilato il giorno successivo, il 3 maggio. La moglie Anna, non dandosi per vinta, presentandosi negli uffici dell`ambasciatore tedesco, accompagnata dal figlio Alfonso di nove anni, implorò aiuto, commuovendo il diplomatico che chiedendo al Comandante tedesco degli Altipiani di Arcinazzo (FR) di sospendere l`esecuzione, ottenne l`istruzione di un nuovo processo.
Ne seguirono, però, altri quindici giorni di calvario. Le SS volevano nomi, fatti e per ottenerli avrebbero utilizzato ogni mezzo. Cicala fu frustato a sangue, percosso sui palmi dei piedi, fino a quando talmente gonfi, non avrebbe potuto calzare scarpe. Minacciato con un cane al guinzaglio, ustionato nel corpo, implorò gli aguzzini di finirlo e terminare quel supplizio. Ma nulla avrebbe rivelato ai suoi torturatori.
Condotto nel carcere di San Domenico de L`Aquila, qui conobbe numerosi antifascisti, prima del processo fissato per il 24 maggio dinanzi al Tribunale militare, al cospetto di una corte presieduta da un tenente SS, due ufficiali della Werhmacht, dal pubblico ministero e il difensore avv. Ubaldo Bafile. La sentenza fu di condanna a morte per fucilazione per tradimento e assistenza ad ex miliari e prigionieri evasi dai campi di concentramento.
Ormai rassegnato al suo triste destino, Domenico Cicala consegnò all`Arcivescovo de L`Aquila, Carlo Confaloneri, in visita ai detenuti del carcere, una lettere di addio per i suoi familiari, copia della quella è custodita presso l`Archivio storico dell`Arcidiocesi.
Ma l`avanzare degli Alleati, consegnava ai nazisti la sola possibilità di ritirata, portandosi con sè i condannati a morte per l`esecuzione della condanna. Cicala era tra questi.
La fuga nella notte
La disperazione e una buona dose di coraggio, però, animarono la volontà del Cicala che, nella notte tra il 12 e il 13 giugno, mentre i soldati di scorta ormai stanchi sonnecchiavano, si lasciò scivolare, silenziosamente, in un fossato nei pressi di San Pellegrino di Norcia (PG). Subito scattò l`allarme con i soldai nazisti alle sue calcagna.
Ma abilmente il Cicala fece perdere le tracce di sé, nascondendosi in un querceto. La fuga sarebbe appena iniziata.
Aveva davanti a sè oltre 300 chilometri di terre liberate da percorrere che lo avrebbero portato in numerose località abruzzesi, come Monreale, dove gli fu di supporto un ex ufficiale italiano, avv. Corrado Guarnieri, passando per L`Aquila, dove fu acclamato dai partigiani locali e ospitato dal segretario locale, fino a Filettino, quando nella sera del 22 giugno 1944, pieno di gioia, e accolto festosamente dalla comunità, si ricongiunge con la sua famiglia dopo 53 giorni di torture e dormenti.
E` l`ora del sollievo e della ricostruzione, per la famiglia Cicala, la comunità di Filettino e l`Italia tutta.