Questa è una storia fantastica che, come in una fiaba, unisce due località che già la storia ha unito nei secoli: Napoli e Gaeta. La ricostruiamo incontrando Giorgio Moffa e avendo dinanzi a noi dal suo locale gaetano lo scenario incomparabile del golfo. Tutto ha inizio nel 1923 quando il ventiquattrenne Ciro Leone (classe 1899), partenopeo doc di Spaccanapoli, da panettiere si trasforma in pizzaiolo, consigliato dalla moglie Giorgina più grande di lui di sei anni e vera donna di carattere (erano cugini di primo grado e il loro amore era iniziato in famiglia). Alle remore del marito perplesso nell’aprire una pizzeria proprio di fronte alla pizzeria da Michele (altro locale storico di Napoli) ebbe a dire una frase indimenticabile nelle memorie dei discendenti: “Cirtiè (così Giorgina chiamava il marito) addò schiara ‘o sole pe’ loro schiara pure pe’ nuje”. Da Michele ebbe come prima sede un locale sotto l’Ospedale Ascalesi per poi trasferirsi in Via Cesare Sersale.

Foto storica

Di fronte in Via Pietro Colletta civici 42 – 44 – 46 si espande negli anni Il Trianon. Poco distante il teatro che porta lo stesso nome e che è giunto sino a noi tra alterne fortune. Ora si parla della direzione artistica di Marisa Laurito per recuperarlo. Racconta Giorgio Moffa: “è una leggenda che vi fosse stata o vi fosse competizione tra Michele Condurro e Ciro Leone, erano persino comparielli. Ciro e Giorgina hanno sei figli, tre maschi e tre femmine. La più piccola Immacolata – classe 1934 – è mia madre. Mio padre Carmine Moffa non appena si fidanza con lei viene cooptato nell’azienda di famiglia. Ciro Leone è un vero patriarca e vuole intorno a lui tutti i figli e i generi. Mentre le figlie e le nuore debbono pensare a crescere i figli e accudire i mariti. Crede nella famiglia ed è un faro per tutti loro. I rapporti tra genero e suocero sono sempre stati buoni, sia perché entrambi erano rigorosi e sia perché mio padre ha sempre rispettato il ruolo di mio nonno. È grazie all’unità familiare che Ciro Leone si espande, partendo da panettiere a pizzaiolo in un solo vano, realizzando pizze da asporto, apprezzate e rinomate”.

La prima di quattro generazioni

Durante l’ultimo conflitto mondiale il capostipite decide di portare la famiglia al sicuro via da Napoli costantemente bombardata dagli alleati e, successivamente, occupata dai tedeschi. Anche loro sfollati come tanti concittadini. Ciro Leone sceglie Somma Vesuviana e per sostenere la famiglia si mette a commerciare carni. Alla fine della guerra ritornano a rialzare le saracinesche, il Trianon torna a vivere. Giorgio respira sin da piccolo questa atmosfera di imprenditori familiari e cresce tra i profumi delle pizze appena sfornate. Vive con i genitori al di sopra del Trianon sino a quando l’appartamento non viene assorbito nello stesso locale, per giungere oggi a 300 posti a sedere con tre forni a legna, uno per ogni piano. I tavoli sono rigorosamente di marmo poiché all’inizio del secolo scorso le pizze venivano servite direttamente sul marmo stesso, non utilizzandosi i piatti. La tradizione dei tavoli si è preservata sino ad oggi. I genitori Immacolata e Carmine hanno cinque figli: Pinuccio, Ciro, Rosaria, Giorgio e Marco. Quindi il nostro protagonista è il quarto, il mestiere glielo insegna il maestro pizzaiolo zio Pasquale Leone quando lui ha soltanto 14 anni. A fine anni sessanta un nuovo flagello angustia Spaccanapoli e Forcella.

Diego Armando Maradona con Giorgio

I giovani della camorra vogliono guadagnare bene e senza alcuno sforzo e si avvicinano al Trianon per reclamare il pizzo. Molto comodo che gli altri lavorino e loro intaschino denaro perché i commercianti possano lavorare tranquilli sotto la loro protezione…contro se stessi. Ma Ciro Leone è figlio di quel quartiere e conosce tutti anche i padrini di questi giovani emergenti. E a tutti loro fa pervenire un messaggio: il Trianon non corrisponderà nulla a nessuno, ogni lira è frutto del sudore della fronte sua e dei suoi familiari. E ancora: se ci proveranno lui denunzierà tutti loro alla Questura, senza alcuna incertezza. Dopo questo confronto tra il bene e il male il Trianon non fu mai più infastidito in alcun modo. Nel 1971 nonno Ciro muore e i figli Pasquale e Giuseppe hanno in eredità la vecchia sede storica. Oggi continuano l’attività i mariti delle cugine di Giorgio, figlie di Pasquale Leone, Giorgia e Donatella, non è interessata la loro sorella Daniela Leone. È tempo per Giorgio e i suoi fratelli di spiccare il volo. Pinuccio morirà a soli trentaduenne, Marco è ancora piccolo, Ciro e Giorgio aprono il Trianon Chiaia in Via del Parco Margherita a Piazza Amedeo sino al 2009, quando muore anche il fratello Ciro, solo cinquantenne. A questo punto il locale viene ceduto, non il marchio di famiglia. Nel frattempo nel 2006 Giorgio apre una sua pizzeria nel centro storico di Formia a Castellone.

L’anno dopo inizia l’esperienza a Gaeta presso la Base Nautica. Nel frattempo Giorgio trasferisce nel 2013 il locale da Castellone alla rotonda antistante il porto commerciale, in luogo più visibile. Quest’ultimo locale cambia denominazione e diventa “Tarallucci e Vino”, l’obiettivo di Giorgio Moffa è di poter offrire una buona cucina, allietata ogni venerdì, sabato e domenica da quella che lui definisce bella musica. Trattoria e pizzeria tipica napoletana, offrendo piatti anche casarecci come una pasta e patate o una classica pasta e fagioli. Giorgio è coniugato con Maria Paola Timbone ed hanno tre figli: Immacolata, Giorgio Francesco e Federica. Il figlio maschio sedicenne già si interessa all’attività paterna e potrebbe dare un seguito alla professione di famiglia. Con lui si giungerà alla quarta generazione, certi che Ciro Leone – il patriarca – sorriderà compiaciuto anche a lui.

 

I gusti degli estimatori della pizza

Ne parla Giorgio Moffa

 

Gli chiedo se ha mai nostalgia di Napoli o rimpianti? Mi risponde con mia sorpresa che “da due o tre anni mi manca Napoli poiché la città sta facendo registrare un forte sviluppo culturale, turistico e gastronomico. L’Unesco ha proclamato la pizza patrimonio dell’umanità da qualche anno e ciò ha risvegliato l’interesse dei filoni turistici per Napoli. È un rifiorire di aperture di Bed & Breakfast e di locali per turisti. È il momento in cui il turismo mondiale ha riscoperto la pizza napoletana. Abbiamo fondato l’Unione Associazione Pizzerie Storiche Napoletane, che abbraccia 13 pizzerie storiche con tradizione centenaria”.

A Giorgio Moffa va il merito di aver esportato tale tradizione nel golfo, con presenze a Gaeta e a Formia. Quali sono le pizze più apprezzate dalla clientela? Spiega: “Gli intenditori esigenti chiedono ancora la Mastu Nicola, ideata nel settecento, al tempo dell’inizio della dinastia dei Borbone, dai maestri pizzaioli di Portalba. È una focaccia con sugna, olio, alici e pecorino e alcuni aggiungono anche origano. La più richiesta è la Margherita, seguita dalla Marinara, quindi Ripieno, Pizza Fritta e Romana (Marinara con aggiunta di alici)”. La Marinara è stata per lungo tempo il pasto unico del popolino napoletano, a mezzogiorno si vendevano le pizze per strada nei quartieri spagnoli, anche a credito, un modo per creare affezione da parte della clientela. Si mangiavano piegandole “a portafoglio”. Re Ferdinando I di Borbone è stato il primo illustre buongustaio della pizza. Giorgio Moffa si è reso anche disponibile a lanciare