L’Arma dei Carabinieri è patrimonio di tutta l’Italia, una delle istituzioni più amate dagli italiani, nonostante alcuni episodi che negli anni hanno coinvolto alcune poche decine di militari, in termini statistici il nulla. I Carabinieri hanno attraversato con onore tutta la storia risorgimentale da quando Re Vittorio Emanuele I di Savoia li istituì il 13 luglio 1814. Carabinieri nella bufera delle due guerre mondiali, protagonisti anche durante l’occupazione tedesca e la guerra civile, eroi delle Quattro Giornate di Napoli, Martiri di Fiesole, sino al sacrificio sublime di Salvo D’Acquisto. E poi nella ricostruzione repubblicana, negli anni di piombo, nella guerra alla mafia, nella lotta alla corruzione e al malaffare. Questi pensieri, sinceramente, fanno parte del mio DNA di italiano (padre, genero, nipote, cugino e zio di carabinieri di ogni ordine e grado). E con tali sentimenti che la mattina del 24 aprile entro nella Compagnia di Formia per intervistare il Comandante, Capitano Michele Pascale.
Ha assunto il comando nel nostro Golfo il 1 settembre 2020, la sua competenza è su nove stazioni: Gaeta (che è tenenza), Itri, Formia, Minturno, Scauri, Santi Cosma e Damiano, Castelforte, Ponza e Ventotene, oltre a reparti di servizi e una motovedetta di stanza nell’area portuale militare di Gaeta. Il Capitano Michele Pascale è, nello stesso tempo, un autentico ufficiale gentiluomo ed un figlio dell’Arma. Suo padre Aldo (sottoufficiale dell’Arma, originario di Presenzano un piccolo comune di sole 1800 anime nella Terra di Lavoro, inviato in Sicilia conosce e si innamora della palermitana Giusy Terzetto) è comandante della Stazione Carabinieri di Capaci quando in tale località vi fu un attentato di stampo terroristico – mafioso compiuto da Cosa Nostra il 23 maggio 1992 con una bomba composta da 500 kg di tritolo, per uccidere il magistrato antimafia Giovanni Falcone. Quel giorno perirono oltre al Giudice, la moglie Francesca Morvillo (anche lei magistrato) e tre uomini della scorta Rocco Dicillo, Antonio Montinaro e Vito Schifani. I feriti furono 23. Il Capitano è nato a Palermo l’11 settembre 1982 e alla data della strage aveva soltanto 9 anni. Racconta: “mio padre ha comandato la Stazione Carabinieri di Capaci per ventidue anni.
Quel giorno era un sabato e noi tutti eravamo a Palermo, una ventina di chilometri da Capaci, dove i miei genitori stavano realizzando un’abitazione che ci avrebbe accolto dopo il pensionamento di mio padre. A quei tempi non esistevano i cellulari e la casa, essendo in costruzione, era priva di collegamento telefonico. I Carabinieri dalla Stazione telefonarono a mia nonna comunicando la notizia. Lei dovette raggiungerci e non appena mio padre lo seppe lasciò tutto ciò che stava facendo e corse sul posto”. Quali sono i suoi ricordi personali? “Tre giorni dopo chiesi a mio padre di portarmi sul posto. Volevo vedere con i miei occhi il luogo della strage. Rimasi profondamente scosso, si vedeva un cratere immenso e grandi pezzi di cemento armato divelti e proiettati ovunque. Non scorderò mai quella vista. Oggi in quel luogo è stato eretto una stele commemorativa e messa a dimora, come simbolo, una pianta di carrube che insiste tra alberi di ulivo in quello che è definito il giardino della memoria ove, ogni volta che mi trovo a percorrere quel tratto autostradale, mi fermo per recitare una preghiera”. Il mio sguardo va a un lato dell’ufficio dove – incorniciata – vedo una foto famosa in cui sono ritratti insieme i magistrati Falcone e Borsellino. Il Capitano nota il mio sguardo e commenta: “a mio giudizio in ogni luogo aperto al pubblico dovrebbe esserci una foto dei due magistrati caduti nell’adempimento del loro dovere al servizio dello Stato”.
LA VOCAZIONE PER LA VITA MILITARE E IL PERCORSO CHE L’HA PORTATO A FORMIA
Capitano ci racconti la sua vocazione per la Benemerita e come è entrato nell’Arma? “Sono nato a Palermo in clinica ma ho sempre vissuto in una caserma dei Carabinieri e appartenuto a una famiglia con chiara vocazione per l’Arma. Mio padre Comandante di Stazione, mio fratello Rosalino è un Maresciallo da qualche anno rientrato nella Regione Carabinieri Sicilia. Io personalmente ho frequentato il Liceo Scientifico e subito dopo mi sono iscritto alla facoltà di Giurisprudenza di Palermo per poi superare il concorso per accedere al 1° Corso per Ufficiale in ferma prefissata al termine del quale ho prestato servizio come Comandante di un plotone della Scuola Allievi Carabinieri di Reggio Calabria. Successivamente vinco il concorso per accedere all’Accademia Militare di Modena, Corso 188° denominato Fedeltà. Successivamente accedo alla Scuola triennale per ufficiali di Roma dove all’ingresso si riceve il grado di sottotenente e al termine quello di tenente con due stellette”.
Una volta uscito dalla Scuola ufficiale? “Prima destinazione come comandante del NORM – Nucleo Operativo e Radiomobile della Compagnia di Trani, un comune italiano di circa sessantamila abitanti, capoluogo, insieme a Barletta e Andria, della provincia di Barletta-Andria – Trani, in Puglia. Successivamente vengo trasferito al Reparto Crimini Violenti del ROS con sede a Roma, istituito il 15 novembre 2011 e deputato al supporto alle unità investigative territoriali delle indagini in occasioni di particolari ed efferati eventi delittuosi, per casi di complessa soluzione, ma nella massima discrezione, come da tradizione della struttura anticrimine. L’impegno investigativo del Reparto non è mai venuto meno”.
E successivamente? “Ufficiale addetto al Reparto Anticrimine di Roma, Comandante di Sezione del Reparto Anticrimine di Reggio Calabria e, infine, dal 1settembre 2020, Comandante di Compagnia di Formia”. I suoi affetti personali? “Sono coniugato con una psicoterapeuta romana Azzurra Orsini e abbiamo un bambino di 21 mesi Gioele Aldo ed una in arrivo, mia moglie è al quinto mese di gravidanza”.
I CASI PIU’ DIFFICILI TRATTATI DAL REPARTO CRIMINI VIOLENTI
Il bambino Loris ucciso dalla madre e Maria Luisa Fassi assassinata da un balordo
Capitano può raccontarci alcuni casi particolarmente difficili, trattati come ufficiale del Reparto Crimini Violenti? “Fui inviato per il delitto di Santa Croce Camerina, commesso il 29 novembre 2014 in questo comune ubicato in Provincia di Ragusa, che ha visto coinvolto Lorys Andrea Stival, un bambino di appena otto anni nato il 18 giugno 2006. Fu un lavoro frenetico e logorante che ci riservò pochissimo spazio al riposo, ricordo che soprattutto nei primi giorni, si aveva il tempo di dormire per pochissime ore. Lo stesso nostro Comandante venne sul posto a lavorare con noi. Ci trovammo dinanzi a un’ipotesi terrificante: una mamma aveva strangolato il proprio figlio. Infine avemmo la conferma: l’unica responsabile era la madre del bambino, Veronica Panarello che si dichiarava innocente. Ricordo con tristezza quando demmo la notizia della responsabilità della moglie al padre di Loris. Fu stravolto, il suo volto si trasformò drammaticamente, era un bravo uomo.
La vicenda vede il giorno 29 novembre 2014, verso le 13, alla stazione dei Carabinieri di Santa Croce Camerina, presentarsi Veronica Panarello, madre di Lorys Andrea Stival, che sporse denuncia sull’avvenuta scomparsa del figlio di 8 anni. La donna disse di essere uscita da casa sua, sita al civico 82 di Via Giuseppe Garibaldi, e di aver accompagnato quella mattina suo figlio a scuola, presso l’Istituto Psaumide in Via dei Fratelli Cervi, ma all’uscita le maestre avevano affermato che Lorys non era stato visto entrare da nessuno. Le ricerche vennero subito avviate, e, dopo una breve perlustrazione per le strade del centro del paese, si ampliarono verso le prime periferie. Dopo breve tempo, verso le 16, un cacciatore, Orazio Fidone, fece una chiamata al centralino dei Carabinieri del paese, riferendo di aver appena ritrovato il cadavere di un bambino gettato in un canalone nei pressi del Mulino Vecchio, nell’estrema periferia di Santa Croce Camerina. I carabinieri andarono a ispezionare la zona, confermando la presenza di un cadavere. Venne quindi fatta giungere sul posto la Panarello che dovette attestare che il cadavere in questione era del figlio scomparso. A questo punto fummo mandati in Sicilia a supportare i colleghi locali nelle indagini. In seguito alla scoperta dei resti del bambino, dopo un iniziale sequestro dell’auto del cacciatore che aveva ritrovato il corpo, le indagini proseguono e Veronica Panarello, dopo un interrogatorio in Procura, venne tratta in arresto con l’accusa di omicidio e occultamento di cadavere. Il corpo venne raccolto dalla polizia scientifica per disporne l’autopsia, la quale, depositata per il 6 marzo 2015, affermò che il bimbo fosse morto tra le 8.30 e le 10 del giorno del delitto per strangolamento.
L’indagine successiva appurò che lo strangolamento era stato provocato da alcune fascette di plastica che Veronica Panarello affermò di aver precedentemente avuto da due insegnanti di Lorys. Il 18 dicembre 2014 vennero officiati i funerali del piccolo nella chiesa principale del paese a cui però la Panarello non partecipò perché era in custodia cautelare. La prima versione proposta è quella di un capriccio del bambino, relativo al fatto di non voler andare a scuola, che avrebbe scatenato una reazione negativa da parte della madre. Nel 2015 fornisce una nuova versione secondo la quale, mentre lei era occupata a lavare i panni in bagno, il figlio, giocando con le fascette, se le sarebbe strette al collo e senza accorgersene si sarebbe “autostrangolato”. Avendo sentito le urla, la madre, secondo la nuova versione, avrebbe tentato di soccorrere il figlio quando era troppo tardi. Temendo la reazione da parte del marito Davide Stival, avrebbe caricato il figlio morto in macchina, lo avrebbe gettato nel canalone del Mulino Vecchio e poi avrebbe nascosto lo zainetto.
Nel 2016 Veronica Panarello fornisce un’ulteriore versione su quanto accaduto, Lorys sarebbe stato ucciso dal nonno paterno, con il quale lei riferì di aver intrattenuto una relazione. Secondo questa versione il figlio avrebbe scoperto la relazione clandestina tra la madre e il nonno, dunque per questo sarebbe stato ucciso da quest’ultimo, per strangolamento con un cavo. Il nonno paterno di Lorys ha respinto tutte le accuse definendole calunnie. Nei tre gradi giudizio viene condannata a trenta anni di reclusione. Lavorammo in collaborazione con la Polizia di Stato”. Ricorda altre vicende? “L’omicidio della signora Fassi. Era il mattino del 4 luglio 2015 quando la commerciante fu ripetutamente accoltellata durante un tentativo di rapina. Si spense per sempre il sorriso di Maria Luisa Fassi, tabaccaia cinquantaquattrenne aggredita mortalmente nell’edicola – tabaccheria di Corso Volta che gestiva insieme al marito Valter Vignale.
Fummo inviati sul posto a supportare i colleghi del Comando Provinciale di Asti. Pasqualino Folletto, che per quell’omicidio sta scontando una pena definitiva a 30 anni di reclusione entrò nel negozio pochi minuti dopo l’apertura con l’intenzione di mettere a segno una rapina, ma la reazione della commerciante ne scatenò la furia omicida. La donna, colpita con estrema violenza da un numero elevatissimo di coltellate sferrate in gran parte del corpo, venne sottoposta a un intervento chirurgico d’urgenza ma purtroppo spirò, senza riprendere conoscenza, nel tardo pomeriggio. Risalimmo all’identità dell’assassino cercando di analizzare ogni elemento utile acquisito mediante attività tecniche, dinamiche e riscontri sul campo e grazie anche alla collaborazione di un ex carabiniere, ultra 70enne con ancora un fiuto investigativo di eccezionale livello, che, insospettitosi della presenza di quell’uomo mai visto prima, memorizzò parte della targa dell’autovettura con la quale era sopraggiunto. Vennero analizzate fotogramma per fotogramma le riprese registrate dalla videocamera di sicurezza di un negozio adiacente la tabaccheria. Rilevando i ripetuti passaggi, nei giorni precedenti e nei minuti salienti dell’omicidio, della Renault Megane di Folletto. Il quale successivamente confessò l’omicidio, asserendo di aver perso la testa durante un tentativo di rapina compiuto per ripagare un debito di gioco. La famiglia Fassi che gestisce anche un ristorante ha voluto realizzare un libro di ricordi e hanno avuto la sensibilità di donare a noi investigatori copie personalizzate dell’opera”
IL RAPPORTO DI UN UFFICIALE DELL’ARMA CON I SUOI UOMINI
Capitano quale è il suo rapporto con i carabinieri in organico alla compagnia che comanda? “Ho vissuto nella caserma di Capaci sino all’età di sedici anni. I miei parenti erano i carabinieri. I parenti di sangue erano tutti lontano. Ricordo le tavolate tutti insieme per festeggiare le festività o un semplice compleanno. Come loro comandante desidero avere con loro un rapporto franco e collaborativo. Ciò non mi esime dall’evidenziare sia gli errori – quando questi si registrano – sia i brillanti risultati ottenuti nel quotidiano. Noi chiediamo loro una disponibilità h24, sovente nei giorni festivi e quando tutte le famiglie italiane sono riunite intorno al desco casalingo”.
E quali sono le caratteristiche del territorio del Golfo di Gaeta? “Noi operiamo ai confini della regione campana e abbiamo strade molto frequentate da tutti coloro che vogliono evitare il pedaggio autostradale. E poi abbiamo un passato di soggiorni obbligati e di storia criminale”. Dal suo arrivo a Formia sono stati portati a compimento l’operazione “Anni Duemila” contro clan autoctoni di Santi Cosma e Damiano e “Operazione Ponza” colpendo trafficanti di droghe, rivolte soprattutto a esaudire le richieste dei consumatori che frequentano questa nota località turistica. Capitano ha una considerazione da fare in conclusione? “Desidero evidenziare che l’Arma possiede personale che conosce il territorio e contribuisce alla crescita della comunità locale. Dobbiamo dare merito a loro per la dedizione e disponibilità quotidiana che mettono nell’espletamento del servizio e per le numerose rinunzie a cui vanno incontro loro stessi ed i loro affetti”. Grazie, è stato un vero piacere intervistarla.