L’Enciclopedia Treccani ci ricorda che il sostantivo femminile coerenza deriva dal latino cohaerentia, e significa l’essere coerente nei comportamenti della propria esistenza. E in nome della coerenza francamente non comprendo l’oggetto del contendere, che ha spinto una Clinica d’eccellenza in campo sanitario ad indire una conferenza stampa per difendersi da un infermiere ex dipendente già giudicato e condannato “in nome del popolo italiano”. Ma procediamo con ordine: il quotidiano La Repubblica il 2 agosto 2017 (attenzione alla data contestuale o antecedente addirittura al famigerato filmato nella sala operatoria della Casa del Sole) a firma di Simone Cosimi pubblica un ampio e dettagliato servizio sull’uso della musica in sala operatoria. Scrive il giornalista de La Repubblica, tra l’altro: “il genere più amato dai chirurghi mentre operano è il rock (49%) seguito dal pop (48%), dalla musica classica (43%), dal jazz (24%) e dal r&b (21%)”. Spiega Alan I. Benvenisty, medico al Munt Sinai Helath System di New York e specialista in chirurgia vascolare e trapianti: “La vita delle persone è nelle mie mani e ascoltare il rock mi trasmette tranquillità, in questo modo la mia totale attenzione è rivolta ai miei pazienti. Ascolto le band della mia giovinezza e la sensazione di nostalgia mi trasporta in un luogo tranquillo, che concilia la concentrazione”. Ma quanti camici bianchi riguarda il fenomeno? Molti. Anzi, moltissimi. Stando all’indagine condotta sull’applicazione gratuita di condivisione delle conoscenze per l’assistenza sanitaria pare che quasi tutti i chirurghi e gli specializzandi (90%) ascoltino musica mentre lavorano. Va ovviamente fortissima la varietà: l’89% preferisce infatti affidarsi alle playlist mentre taglia, risolve e cuce. Quasi un terzo fa ruotare più di cinque selezioni. Continua l’inchiesta de La Repubblica: “Secondo i maestri del bisturi la musica rilassa e calma ma aiuta anche a migliorare l’umore e la concentrazione. Uno degli intervistati ha per esempio spiegato che “la musica calma i nervi e migliora il morale dell’équipe”. Un altro ha aggiunto che “a volte mantiene la sala calma e coordinata e altre volte aiuta a sostenere il ritmo”. Certe volte, questo il dato divertente, se il paziente è solo in anestesia locale vengono raccolte anche le sue preferenze sulla colonna sonora. Insomma, scatta un grande jukebox operatorio: “Facciamo tagli cesarei in cui le pazienti sono sveglie – ha spiegato un medico – se hanno una preferenza selezioniamo quella. Altrimenti, ci divertiamo ad ascoltare brani da vecchi programmi televisivi, vecchie canzoni e così via”. Scrive ancora nel 2017 La Repubblica: “Il rock funziona anche fra gli anestesisti, i professionisti di anestesiologia e le infermiere anestetiste certificate: lo sceglie il 44% mentre seda i pazienti. Ma in questo caso è (non a caso) la più morbida e accogliente musica pop il genere preferito, col 59% delle risposte. Niente paura, però: la sicurezza è sempre lo strumento più importante e al primo posto per ogni professionista. Chi ha partecipato alla ricerca ha riferito che la musica non viene ascoltata durante i momenti critici in sala operatoria e quando ci sono complicazioni”. La Repubblica dopo l’estate 2017 ha pubblicato vari servizi nel tempo sempre sostenendo la bontà della musica in sala operatoria, ebbene in nome della coerenza che “scoop” è pubblicare l’immagine di un medico anestesista che ascolta e fa ascoltare della musica? Io personalmente ho subito vari interventi chirurgici e ho sempre cercato il contatto umano con l’equipe nelle cui mani affidavo la mia vita. Poteva essere una battuta o condividere della musica. Alcuni nella clinica formiana. In un caso ho chiesto al direttore Maurizio Costa di starmi vicino sino a quando non avesse fatto effetto l’anestesia e fui accontentato. Non mi va che si debba giustificare la Casa di Cura del Sole che è all’avanguardia. Credo che l’ex dipendente si stia comportando come l’uomo abbandonato dalla sua innamorata che cerca in tutti i modi di offenderne l’onorabilità. Ma il suo è un boomerang; ha fatto solo pubblicità alla sua ex azienda, all’avanguardia anche in questo caso. Termino questo servizio pubblicando il comunicato diffuso dalla dirigenza della clinica: “La Casa del Sole, a seguito dell’articolo comparso sul sito del quotidiano La Repubblica on linee poi ripreso dalla stampa, a difesa del buon nome della struttura e dei suoi operatori, oltre ad aver dato mandato all’avvocato Conte per l’individuazione dei reati commessi, tende a chiarire quanto segue: il video è stato ripreso, come già precisato dal professionista coinvolto, “alla fine di un intervento chirurgico che posso datare, con certezza, al 2016 o al massimo al 2017, su un paziente sveglio e consenziente, a fine seduta, a cui do anche una carezza”. È stato registrato dall’ex dipendente, ad insaputa del professionista, al termine di un delicato intervento. Lo stesso infermiere aveva postato sul suo profilo social un altro filmato che ritraeva sempre il dottore Virgilio ed al termine del video aggiunge il commento “inizia il bello così impari”, non nascondendo il suo intento ricattatorio. Giova, d’altronde, ricordare che lo stesso era stato licenziato, con sentenza passata in giudicato, per essersi reso protagonista di “una serie di gravissime e reiterate condotte poste in essere da parte ricorrente, risultate pienamente comprovate, che hanno delineato un “modus operandi” del ricorrente spiccatamente “padronale”, sintomatico del totale spregio nutrito sia per gli interessi datoriali che per le responsabilità ed i diritti connessi alle posizioni dei colleghi (infermieri e medici), che hanno inevitabilmente portato alla lesione del vincolo fiduciario”. Lo stesso “ha addirittura, nel tempo, adottato una prassi che prevedeva il pagamento di una vera e propria tangente da parte dei medici esterni per poter accedere alle sale operatorie. Inoltre, sempre nella citata sentenza, è riportato “Analoga condotta sintomatica di una gestione del ruolo ricoperto nel luogo di lavoro esclusivamente improntata a finalità indebite ed illecite…”. Perché il dottore Virgilio? Forse perché è un professionista che lavora in clinica dal 1994, ricevendo quotidianamente attestati di stima da tutti gli operatori? Oppure perché è stato uno dei firmatari della nota che ha dato inizio alla procedura di licenziamento? Certo è che anche chi ha pubblicato l’articolo e chi ha omesso ogni forma di vigilanza su quanto pubblicato, non poteva ignorare che l’art. 615 bis c.p. prevede che “l’ambulatorio di un ospedale deve essere ritenuto quale luogo di privata dimora, essendo il suo uso riservato al personale e ai singoli pazienti che vi sono ammessi…”. Il reato, poiché commesso da infermiere incaricato di pubblico servizio (Cass. Pen. Sez. V 9393/2020 depositata il 10.03.2020), sarebbe perseguibile anche d’ufficio”.