Il 4 novembre 1921 all’Altare della Patria a Roma, al di sotto della statua della dea Roma, fu sepolto il milite ignoto, scelto a rappresentare tutti i soldati italiani caduti in combattimento e mai identificati. Un milione di italiani parteciparono all’evento, la più grande manifestazione patriottica collettiva. Ma ogni soldato sia della grande guerra che dell’ultimo conflitto mondiale, anche se ritornato reduce dal fronte, meriterebbe di essere ricordato e non destinato all’oblio. Gianluca Forcina, instancabile coeditore di Golfo e Dintorni, mi ha affidato il compito di ricordare – nel centenario della vittoria italiana nella grande guerra – il bisnonno Angelo Ciano, di cui è rimasto ben poco nella memoria familiare. Il pronipote conserva gelosamente una foto, il libretto personale di conduttore di generatori di vapore e…null’altro.
I ricordi sono sbiaditi nei nipoti Rita, Roberto, Enzo, da chi scrive tutti contattati. Ma ciò nonostante proviamo a costruire la storia di un uomo che nella sua esistenza ha vissuto tanti anni lontano dalla sua casa e dalla sua famiglia, a tal punto che, ingenerosamente, era considerato “distratto” verso la sua famiglia ma, invece, la sua è stata la classica vita da marittimo, a tal punto che, deceduto, alla vedova Margherita Forcina fu concessa una pensione, anche se modesta. Angelo Ciano nasce a Formia il 2 ottobre 1892 e ha 23 anni quando l’Italia entra in guerra. Si arruola – come tanti giovani del nostro golfo – nella Regia Marina e viene impiegato come fuochista. Il sistema di propulsione a vapore allora in uso sul naviglio militare prevedeva che i marinai fuochisti alimentassero il fuoco con carbone spalato all’interno del forno, per poter tenere alta la pressione del vapore nella caldaia. Sulle navi si usavano caldaie cilindriche con in basso le aperture dei forni collegate alle casse a fuoco o camere di combustione, sopra vi era il fascio tubolare.
Angelo Ciano aveva – parimenti agli altri fuochisti – come attrezzi principali in dotazione la pala per introdurre il carbone nei forni, il riavolo che era il rastrello per muovere il carbone sulla griglia, il gancio per liberare gli spazi fra barra e barra di graticola. Gli utensili essenziali per il maneggio del carbone, dell’acqua, della cenere e delle scorie erano: la misura per il carbone, un recipiente cilindrico di lamiera di ferro senza fondo per misurare il carbone da introdurre nel forno quando occorreva tener conto del consumo di combustibile; il secchio per acqua per bagnare cenere e scorie estratte dal cenerario e dal forno; il bugliolo per la cenere, un secchio capiente per portare in coperta e quindi gettare a mare la cenere e le scorie; la piccozza per spaccare la legna utile a governare i forni; la mazza usata per rompere il carbone troppo grosso, la zappa adoperata per il maneggio del carbone nei carbonili. I carboni usati erano il Cardiff che conteneva molto carbonio fornendo grande calore, si accendeva difficilmente, richiedeva considerevole quantità d’aria per la combustione, produceva poco fumo; il carbone Newcastle con minor quantità di carbonio sviluppava meno calore, si accendeva facilmente, combustione con poca aria ed emetteva molto fumo. Anni di duro lavoro, sopportando temperature altissime che, certamente, non facevano per nulla bene al suo fisico.
Dinanzi al timore di essere dei disoccupati si reagiva emigrando o riaffermandosi nelle forze armate e dichiarandosi disponibili ad affrontare i rischi e i disagi di tutte le guerre coloniali. Angelo Ciano diviene padre di due figli, un maschio al quale darà il nome del padre Francesco, che da adulto emigrerà in Australia e avrà due figli Angelo e Marco, il primo – a sua volta – perpetuando il nome del padre, e una femmina Maria, madre di dieci figli, di cui sei viventi. Angelo Ciano vivrà anche gli eventi della seconda guerra mondiale ma – nel frattempo – il 18 luglio 1936 – anno XIV dell’era fascista – si iscrive per il tirocinio prescritto per l’ammissione agli esami per conduttore di generatori di vapore, adeguandosi alle nuove apparecchiature presenti sulle navi.
Questa volta mancherà da casa per tredici anni in quanto viene anche preso prigioniero dagli inglesi e inviato per tutta la durata della guerra in Irlanda. Tornerà ammalato in Italia, la consorte Margherita lo accoglie, anche se si è sentita abbandonata in tutti quegli anni, lontano dal marito e dal suo cuore, ma lui non ha mai fatto mancare l’aiuto economico. La consorte non ha mai amato parlare della biografia del marito, vivendo anche lei gli eventi catastrofici pensava solo e da sola, con poco o niente, a far crescere i suoi due figli.
Nel 1957 il coniuge si spegne per un tumore inguaribile alla gola. Decisamente una conseguenza dei tanti anni vissuti nel ventre delle navi prima come fuochista e poi come conduttore di generatori di vapore. Ed oggi con questo articolo noi prendiamo Angelo Ciano dall’oblio della sua esistenza e lo rendiamo testimone di tanti italiani che per vivere o meglio per sopravvivere hanno rinunziato per anni alle loro famiglie, affrontando disagi e sofferenze con la dignità che caratterizza i nostri padri.