Lunedì 13 dicembre si riunisce la Commissione Diocesana per l’Ecumenismo, Il Dialogo Interreligioso e i Nuovi Culti presieduta da don Antonio Cairo sul tema prescelto a livello mondiale: “In oriente abbiamo visto apparire la sua stella e siamo venuti qui per onorarlo” (Matteo 2, 2)
Da sempre le diverse confessioni cristiane hanno pregato per l’unità, ma separatamente. In particolare verso la fine del Settecento e nel corso dell’Ottocento si svilupparono diverse iniziative di preghiera con questa intenzione, specialmente in area protestante e anglicana. Inizialmente furono guardate con sospetto, se non proibite, dall’autorità cattolica.
Il primo Ottavario, in forma simile all’attuale, nacque su iniziativa di due ministri in relazione epistolare tra loro: l’inglese Spencer Jones, anglicano, e l’americano Paul James Francis Wattson, episcopaliano (anglicano americano).
Nell’anno 1907, il rev. Jones suggerì l’istituzione, per il 29 giugno di ogni anno, di una giornata di preghiera per il ritorno degli anglicani, e di tutti gli altri cristiani, all’unità con la Sede Romana. L’anno seguente Wattson ampliò l’idea, proponendola in forma di un’ottava allo scopo di domandare a Dio “il ritorno di tutte le altre pecore all’ovile di Pietro, l’unico pastore”.
È precisamente a questo anno (1908) che viene fatta risalire convenzionalmente la nascita ufficiale dell’attuale settimana.
Wattson decise di iniziare l’ottavario il giorno della festa della Confessione di Pietro (variante protestante della festa della Cattedra di San Pietro che si festeggiava il 18 gennaio), e di concluderlo con la festa della Conversione di san Paolo. Da allora queste due date (18 e 25 gennaio) segnano l’inizio e la fine dell’Ottavario nell’emisfero settentrionale.
In ambito cattolico l’iniziativa fu esplicitamente approvata da diversi pontefici (Pio X, Benedetto XV) ma non come preghiera comune con gli altri cristiani: i cattolici erano invitati a pregare “per il ritorno a Roma dei dissidenti”, tanto che per un certo tempo Wattson, nel frattempo convertitosi al Cattolicesimo Romano, la chiamò “Chair of Unity Octave” per enfatizzare la relazione tra l’unità dei cristiani e il papato.
In ambito protestante, il movimento ecumenico Faith and Order (Fede e Costituzione) nel 1926 propose a sua volta un ottavario che iniziasse però la domenica di Pentecoste (tradizionalmente considerata la commemorazione della fondazione della chiesa di Cristo). Oggi questo periodo è adottato in molti paesi dell’emisfero meridionale, in cui gennaio è tempo di ferie.
Una profonda evoluzione dello spirito di questo ottavario è dovuta all’abate francese Paul-Irénée Couturier (1881-1953), che è considerato “il padre dell’ecumenismo spirituale”.
A partire dal 1933 egli dedicò tutte le sue energie a rivitalizzare l’Ottavario, conferendogli uno spirito diverso da quello di padre Wattson. Inizialmente ne fece un triduo, per poi riportarlo nel 1934 alla durata e al periodo proposti da Wattson. Qualche anno più tardi il nome divenne “Settimana universale di preghiera per l’unità dei cristiani”.
A quei tempi in ambito cattolico lo spirito della preghiera era quello del ritorno dei fratelli separati nell’alveo della Chiesa di Roma. La principale innovazione di Couturier fu quella di orientarla invece alla richiesta di riconciliazione reciproca tra tutti i battezzati nella fede cristiana, per camminare verso l’unità “che Dio vorrà, con i mezzi che Egli vorrà”, nella convinzione che “non si prega per la conversione ad una chiesa, ma per una conversione a Cristo”.
Questo nuovo spirito consentì così ad altri cristiani con visioni diverse da quelle di Roma di unirsi alla preghiera e l’iniziativa fu accolta da più confessioni, tanto che nel 1941, il movimento Faith and Order cambiò la data della settimana protestante per farla coincidere con quella dei cattolici. Nel 1948, con la fondazione del Consiglio ecumenico delle Chiese, la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani si diffuse sempre più tra diverse chiese in tutto il mondo.
Il versetto offerto a tutti noi cristiani appartenenti a varie Chiese, come spunto di meditazione per la celebrazione delle veglie in occasione della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani dal 18 al 25 gennaio 2022 è un versetto che estende ed attualizza nel nostro presente la celebrazione della grande festa dell’Incarnazione della Seconda Persona della Santissima Trinità, che abbiamo festeggiato poco tempo fa. La nascita di Cristo, nella narrazione del Vangelo di Matteo, è evento che, pur nelle caratterizzazioni storiche e genealogiche tipiche dell’evangelista, si apre immediatamente ad una dimensione cosmica e dossologica. L’Incarnazione di Cristo e la Sua entrata nello spazio e nel tempo diventano l’occasione in cui angeli e uomini si uniscono in un’unica lode, gli abitanti di Betlemme si abbracciano con i Magi che provengono dal lontano oriente e tutti insieme offrono i loro i doni al Grande Visitatore. Le regioni celesti e terrestri si congiungono con gli uomini per venerare Colui che diventa uomo per la nostra salvezza. La gioia e la speranza riempiono l’anima di tutti perché “Egli ci ama” e tutti con una voce inneggiano all’Altissimo, che si è degnato di ricevere la nostra natura umana. È questo cosmico e straordinario evento che la Chiesa Ortodossa vuole esprimere quando, nella vigilia di Natale, canta con stupore e reverenza: “Che cosa ti offriremo, o Cristo? Tu per noi sei apparso uomo sulla terra.}
1 Ciascuna delle creature da Te create ti offre la sua riconoscenza: gli angeli l’inno, i cieli e la stella, i magi i doni, i pastori lo stupore, la terra la grotta, il deserto la mangiatoia; ma noi una Madre Vergine!”. Nonostante la nascita di Cristo non si svolga come si addice al Creatore dell’universo, la stessa creazione manifesta all’intera umanità la Sua nascita, adempimento di ciò che il profeta Davide con la parola poetica proclama: “Narrano i cieli la gloria di Dio” (Sal 19 (18), 1) e di ciò che Barlaam profetizza: “Vedo quel che accadrà, ma non in questi giorni; scorgo un avvenimento, ma avverrà più tardi: ecco, compare un astro tra i discendenti di Giacobbe, sorge uno scettro in mezzo al popolo d’Israele: 3 1 colpisce alla tempia i Moabiti, spacca il cranio di tutti i discendenti di Set” (Nm 24, 17). Una stella inconsueta diventa la guida dei Magi verso il Bambino di Betlemme. Una stella prodigio annuncia ai popoli lontani, cioè ai pagani, invitandoli a venerare Cristo nato. Le antiche profezie che hanno annunciato la venerazione del Messia dai popoli si adempiono, secondo Matteo, quando i Magi dall’oriente si inchinano davanti a Cristo (Cfr Is 42, 4; 49, 23; 60, 5ss; Sal 72 (71), 10-15). Sin dall’inizio della Sua presenza sulla terra, Cristo apre le porte della fede a tutte le nazioni, invitandole ad adorare il Suo Nome Santissimo e quello del Suo Padre nello Spirito Santo: i popoli non rimangono impassibili davanti a questo grande invito; dopo che hanno visto questa stella straordinaria si mettono in cammino fiducioso, probabilmente senza conoscere ancora con esattezza la loro meta, ma la seguono con perseveranza e costanza perché sanno che essa li condurrà davanti al re dei giudei. Non esitano a dare inizio al loro cammino perché sanno che la fine del loro viaggio riserva loro qualcosa di più eccelso di ciò che i loro occhi vedono in questo momento. Superano la logica matematica, seguono una stella che sale da oriente, si nasconde e riappare, si ferma e ricomincia il suo moto, fino a fermarsi del tutto lì dove è apparsa la Luce che illumina tutta la creazione. Uomini di scienza, i Re Magi, non esitano ad accettare questo straordinario prodigio e obbediscono alla sua chiamata non contrapponendo la loro scienza alla loro fede. Sono molto lontani dalle nostre dispute che oppongono scienza e fede, creando due sfere dell’esperienza umana contrapposte o diversificate tra di loro, perché, forse, abbiamo dimenticato che l’una può diventare un valido aiuto e sostegno per l’altra e insieme collaborare per il bene comune.
La pandemia che ci ha afflitti ha invece mostrato che la fede e la scienza possono stare insieme e devono lavorare l’una accanto all’altra, offrendo sollievo ai mali spirituali e corporali che ci turbano. La stella conduce i Magi dall’oriente a Betlemme. Da un oriente così lontano e così vicino, allora come anche oggi. L’evangelista non ci ha consegnato il nome del paese esatto della loro provenienza, ma dice semplicemente dall’oriente. Probabilmente, questa espressione descrive quella vasta area geografica che, agli occhi dell’uomo di oggi, da terra di fascino e sapienza è divenuta sinonimo di luoghi martoriati, ormai teatro di sofferenze, conflitti e guerre. Una terra così lontana dal nostro modo di vivere la quotidianità ma anche dal nostro modo di fare Ecumenismo. Per l’ennesima volta l’oriente diventa la culla dove nasce 4 un altro tipo di Ecumenismo, che possiamo definire Ecumenismo di Martirio. È quella terra che produce martiri che illuminano con i loro bagliori di luce il cielo spirituale dell’intera Chiesa di Cristo. È quella terra che porta alla nostra attenzione l’esempio di una fede viva che riesce a superare le differenze che dividono Cristo, unico fondamento della nostra fede.
I testi delle veglie per ogni sera di questa Settimana provengono proprio dal Consiglio delle Chiese del Medio Oriente e le nostre preghiere siano per i cristiani di quelle terre lontane un omaggio di ringraziamento e un piccolo fiore che noi con devozione posiamo lì dove giacciono i nostri fratelli martirizzati per Cristo. In questa Settimana, la Chiesa di Cristo invita i suoi figli a pregare per la così tanto desiderata, ma così lacerata nei secoli, unità visibile della Chiesa. Rivolge questo invito sempre inalterato nei momenti felici, nei momenti di guerra, di carestie, di malattie. Non lo rivolge riferendosi all’uomo, stressato da tante preoccupazioni e dalle tentazioni tramite le quali la nostra epoca cerca di distrarlo, rendendolo indifferente verso le questioni di fede, ma lo rivolge, perlopiù, alle conseguenze che queste distrazioni e tentazioni, in generale, portano, come la paura, l’angoscia, la mancanza di fiducia verso il prossimo, che potenzialmente rischia di diventare la causa della nostra sofferenza. L’umanità di oggi si richiude in se stessa, cerca di recidere i rapporti con il prossimo e vivere non soltanto in una separatezza fisica, ma in un isolamento spirituale, che fa crescere a dismisura la sua solitudine e la sua sofferenza psicofisica. Arenandosi nella loro solitudine esistenziale, gli uomini e le donne di oggi gridano a se stessi e si chiedono: ma che valore può avere la nostra preghiera davanti alle tante divisioni che strappano l’unica tunica di Cristo? Che valore può avere la preghiera di fronte al dominio della morte? Non si può rispondere a queste domande, se prima l’essere umano non accetta spiritualmente il grande evento della Visita Divina. Tante volte le condizioni della vita umana induriscono il cuore e la grazia di Dio fa fatica a penetrarlo. Per poter capire e accettare chi è Colui che ci visita e al Quale rivolgiamo la preghiera, l’uomo deve preparare il presepio della sua anima, non tramite un cambiamento esteriore o attraverso uno sterile perfezionamento morale.
Ci vuole la conversione di tutto il nostro essere, accettare Cristo come il Signore della nostra vita, accogliendolo nella nostra anima, pur sapendo che essa assomiglia più ad una stalla, riempita da tutto ciò che ci affligge e ci opprime. È molto bello il paragone che i Padri fanno tra anima e stalla. 5 Come Cristo si è degnato di nascere in una stalla, così si degna e sì rallegra quando entra nella nostra anima convertita. Stando insieme ai fratelli e alle sorelle, pregando, elevando suppliche e dossologia al nostro unico Salvatore in ogni sera di questa Settimana, riviviamo anche noi misticamente quella notte, dove il cielo e la terra si sono uniti in un’unica lode. Illuminati dal comune battesimo, insieme siamo come piccole stelle che adornano in modo intellegibile il cielo spirituale della Chiesa di Cristo e l’intero universo. Un grande oikos capace di accogliere il prossimo non come straniero ma quale fratello e sorella che cerca una famiglia dove trovare sollievo, luce e speranza. Come Lui, che per divina condiscendenza riceve ciò che è nostro, escluso il peccato, ci invita ogni anno a preparare la nostra anima e il nostro corpo per farne Sua dimora regale, così ci invita a pregare e a collaborare per la riconciliazione e il superamento delle nostre divisioni. Cristo nasce e diventa bambino per la nostra salvezza. Come gli angeli, i magi, i pastori e l’intera creazione Lo hanno accolto con devozione e la stella l’ha manifestato ai popoli, così spetta a noi convertirci ed unirci nell’unico corpo mistico per lodare ed inneggiare, con una sola voce ed un solo cuore, il Suo onorabilissimo e magnifico Nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.