Il Public Health England in una relazione che doveva restare segreta ha ammonito il governo inglese: “Si prevede che l’80% della popolazione della Gran Bretagna sarà infettata da Covid-19 nei prossimi dodici mesi e il 15%, pari a sette milioni novecentomila persone, potrebbero richiedere il ricovero in ospedale”. A rendere pubblico il documento è stata una testata giornalistica di prestigio. Procediamo con ordine. Il giornale è “The Guardian”, conosciuto precedentemente come “The Manchester Guardian”, un quotidiano britannico nato a Manchester, con sede a 90 York Way, London N1P 2AP. Fondato nel 1821 da John Edward Taylor, attualmente diretto da Katharine Viner, la prima donna a ricoprire l’incarico nella storia del giornale britannico, precedentemente dirigeva l’edizione statunitense. L’edizione quotidiana cartacea ha una tiratura dichiarata di 160.000 copie e ha vinto per le sue inchieste il prestigioso premio “The Press Award for Newspaper of the Year”.
Ed ora presentiamo la “Public Health England”; si tratta di un’agenzia esecutiva del Dipartimento della Sanità e dell’Assistenza Sociale nel Regno Unito che ha iniziato a operare il 1 aprile 2013 con un budget annuale di 4,51 miliardi GBP. Fa seguito alle agenzie precedenti Health Protection Agency e National Treatment Agency for Substance Misuse. Il documento segreto dell’Agenzia di Salute Pubblica Inglese è un dossier che fa tremare l’Europa. Presenta uno scenario catastrofico con ripercussioni sul lungo termine quello disegnato dagli esperti del governo inglese in salute pubblica: “Nel rapporto poiché si parla dell’80% della popolazione contagiata, riporta sempre il Guardian, significa che quattro persone su cinque dovrebbero contrarre il virus”.
E l’Italia? Resiste ma dovrà resistere ancora a lungo. Quasi certamente la data del 3 aprile non sarà sufficiente a invertire la rotta e a frenare in modo decisivo il contagio. Su questo i principali scienziati italiani convergono, anche se c’è chi già intravede segnali positivi. Ascoltiamo con attenzione le dichiarazioni di Fabrizio Pregliasco, Silvio Garattini, Massimo Galli, Franco Locatelli, Giovanni Rezza, Roberto Burioni. Di seguito un collage di loro dichiarazioni rilasciate in occasione di partecipazione a trasmissioni televisive e non solo. Fabrizio Pregliasco, virologo dell’Università degli Studi di Milano: “Serve più tempo oltre il 3 aprile. Siamo ancora nella fase acuta dell’epidemia di coronavirus, ma qualche timido segnale positivo lo possiamo osservare sul numero dei ricoveri e delle terapie intensive. Troppo presto per sperare di vedere un cambiamento significativo, non dobbiamo affatto stupirci se gli effetti delle misure restrittive non sono ancora evidenti. Sarà così anche domani, dopodomani e per qualche altro giorno ancora. Ci vuole infatti più tempo per sperare in un segnale positivo. Diciamo che ci vuole all’incirca una settimana per scorgere un primo segnale positivo, ad esempio una lieve flessione nell’aumento dei casi.
E ci vogliono all’incirca due settimane per sperare se non in una frenata, quantomeno in una stabilizzazione. Previsione: picco a fine marzo e fine del problema in Italia tra maggio e giugno”. Silvio Garattini, il fondatore dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri prevede: “Per la settimana prossima ci aspettiamo il picco, realistico pensare a trenta – quarantamila casi. Tutto dipenderà da noi, dalla nostra capacità di evitare il contagio. Atteniamoci alle disposizioni. Se tutti avessero stili di vita adeguati e ci fosse un’adeguata prevenzione, forse saremmo più resistenti. La diffusione di virus e batteri continuerà a esserci, dobbiamo ripensare il mondo della salute. Bisognerebbe fare tamponi più mirati, in particolare agli operatori sanitari e a quelli più a rischio”.
Massimo Galli, primario del reparto di Malattie Infettive dell’Ospedale Sacco di Milano: “È evidente che siamo ben lontani dal picco epidemico e c’è molto da lottare soprattutto per evitare che il problema si estenda ad altre regioni del Centro e del Sud. E poi ci sarà un’importante battaglia nella zona metropolitana di Milano, che in parte è già in corso, e occorre per forza prevedere maggiore vicinanza a chi è a casa e ha problemi.” Franco Locatelli, presidente del Consiglio Superiore di Sanità – CSS ed esperto del Comitato tecnico – scientifico attivato sull’emergenza coronavirus, oncoematologo dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma, originario di Bergamo: “Oggi possiamo affermare che la scelta di chiudere scuole e università, causa di molte polemiche, sta funzionando. Ha evitato assieme ad altre misure di rendere ancora più critica l’emergenza. Nei giorni precedenti la scadenza del 3 aprile valuteremo la situazione.
Siamo pronti a prorogare la sospensione didattica, se necessario. L’ipotesi di prolungare lo stop delle lezioni potrebbe porsi anche perché i dati delle ex zone rosse di Lodi e Codogno dicono che la riduzione di casi è stata netta. Quindi essere stringenti ci permette di contenere l’ondata e risparmiare vite e risorse. Più la pandemia rallenta, meno si gestisce in affanno col rischio di sprecare denaro… E’ innegabile che chiudere le scuole sia servito eccome nel rallentare la trasmissione del virus. Sapremo solo dopo in quale misura, 20 -30%?”. Giovanni Rezza, direttore del Dipartimento di Malattie Infettive dell’Istituto Superiore di Sanità: “Sono troppe le variabili delle quali bisogna tenere conto e non si conoscono i possibili sviluppi della pandemia.
L’importante è che, sotto la supervisione del personale sanitario delle Asl le persone contagiate siano isolate in ambienti domestici idonei e che possano per esempio disporre di bagno utilizzato esclusivamente da loro per impedire il contagio del resto della famiglia. Invece di essere ricoverati in ospedali questi malati possono essere gestiti lasciandoli nelle loro abitazioni, senza doverli perciò spostare nei reparti fino a quando riescono a respirare normalmente, cioè finché non sopraggiunga un’insufficienza respiratoria. Previsioni impossibili, quindi, per stabilire a che punto è la notte. Non si conosce la diffusione del Covid-19 quindi non si può prevedere scientificamente quando arriverà il picco dei contagi”. Roberto Burioni, ordinario di virologia e microbiologia dell’Università San Raffaele di Milano osserva: “Dobbiamo avere fiducia perché in questo panorama negativo ci sono dei segni molto interessanti che devono farci capire che siamo sulla strada giusta. Nelle zone dove per primo si è cominciato a stare a casa, il focolaio di Codogno e nell’altra cittadina in Veneto, i contagi sono arrivati a zero.
Questo ci fa capire che il virus non si trasmette da solo, siamo noi che lo trasmettiamo e se noi ci impegniamo per non trasmetterlo questo virus non si trasmette più. Quindi occorre guadagnare tempo, è risorsa fondamentale perché permette alle terapie intensive di avere a disposizione più letti, permette ai medici di trovare nuovi modi efficaci e tutto il mondo scientifico sta cercando una cura per questa malattia. Potremmo trovare efficace qualche farmaco già esistente ma anche qualcuno nuovo. Guadagnare tempo con questa resistenza”.