Sulla base di approfonditi studi epidemiologici, il radon è stato classificato dall’OMS e dall’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC) come un elemento cancerogeno per l’uomo (Gruppo 1, oncogeno certo) ed è reputato tra le principali cause di morte per tumore ai polmoni dopo il fumo di tabacco. Si tratta di un gas nobile e radioattivo, conosciuto nella tavola periodica con il numero atomico 86 e sotto il simbolo Rn, fu scoperto nei primi del novecento dal fisico tedesco Friedrich Ernst Dorn. Scaturisce dal terreno e da alcune tipologie di materiali da costruzione (es. residui magmatici, cemento addizionato con ceneri volatili di carbone, fosfogessi, sabbie zirconifere ecc.), nonché dalla falda acquifera. Statisticamente, le emanazioni dal suolo sono responsabili dell’80% del radon presente in atmosfera, mentre quelle derivanti dall’acqua freatica sono limitate al 19%. Essendo molto più pesante dell’aria, il radon tende a filtrare attraverso i materiali porosi, le fessure e le intercapedini per accumularsi negli spazi confinati, sia naturali che artificiali: ciò comprende qualsiasi tipologia di locale chiuso o scarsamente ventilato, nelle abitazioni private come negli ambienti di lavoro. Una volta accumulatosi, il radon può essere inalato insieme a particelle di vapore acqueo, polveri ecc.; i metalli pesanti originati dal processo di decadimento sono veicolati dal particolato aereo, penetrano quindi nell’organismo e − una volta giunti a livello polmonare −  si fissano ai tessuti continuando ad emettere particelle alfa (nuclei di elio) e danneggiando le cellule dell’apparato polmonare in modo irreversibile.  Ma paradossalmente è utilizzato in Italia a scopo terapeutico nella radioterapia, trattamento utilizzato per alcune forme di tumori, che consiste nell’uso di radiazioni ad alta energia, raggi x, per distruggere le cellule tumorali, cercando al tempo stesso di preservare il più possibile le cellule sane.

La normativa italiana non prevede un limite massimo di concentrazione di radon all’interno delle abitazioni private e sono ancora poche le leggi regionali che disciplinano il radon. Ma si può fare riferimento ai valori raccomandati dalla Comunità europea di 200 Bq/m³ per le nuove abitazioni e 400 Bq/m³ per quelle già esistenti e una normativa invece esiste per gli ambienti di lavoro che fissa un livello di riferimento di 500 Bq/m³.

La raccolta normativa italiana parte dai riferimenti alla Raccomandazione Euratom n. 143/90 della Commissione del 21 febbraio 1990 sulla tutela della popolazione contro l’esposizione al radon in ambienti chiusi e la Raccomandazione Euratom n.928-2001 sulle indicazioni per le acque destinate a consumo umano. Successivamente con il Decreto del Presidente della Repubblica 246-93 viene recepita la direttiva 106/89 sulle prescrizioni per i materiali edilizi mentre con il  Decreto Legislativo n 230-95, modificato dal Dlgs 241-2000, vengono indicate le misure da seguire in materia di radiazioni ioniche nei luoghi di lavoro.

Tra le Linee Guida troviamo le misure previste dalla Conferenza delle Regioni del 2003 sulla concentrazione di radon in aria nei luoghi di lavoro sotterranei e Linee Guida per la tutela e la promozione della salute negli ambienti confinati S.O. 252 GU 276 del 27-11-2001. Le nuove Linee Guida della Regione Lombardia applicabili a tutti gli edifici di nuova costruzione e agli interventi di ristrutturazione sul patrimonio edilizio esistente del 21 Dicembre 2011. Mentre tra le Direttive, troviamo la Direttiva Euratom 51/2013 del 22-10-2013 pubblicata il 7-11-2013 che regola le concentrazioni di Radon nell’acqua destinata al consumo umano recepita nel ns. ordinamento dal Dlgs 28 del 15 Febbraio 2016 e la Direttiva Euratom 59/2013 del 05-12-2013 pubblicata il 17-01-2014 che detta nuove disposizioni per la salvaguardia della popolazione dalle radiazioni ionizzanti.

Tra le leggi regionali, la Legge Regionale del Lazio sulla protezione da Gas Radon e sempre nel Lazio, la Delibera del XII Municipio del Comune di Roma sul Radon del 4 febbraio 2010. La Legge Regionale Puglia n. 30 del 3/11/2016 “Norme in materia di riduzione dalle esposizioni alla radioattività naturale derivante dal gas ‘radon’ in ambiente confinato”. Le più recenti, infine, sono la Legge Regionale Puglia 30 aprile 2019, n. 18 Norme in materia di perequazione, compensazione urbanistica e contributo straordinario per la riduzione del consumo di suolo e disposizioni diverse e la Legge Regionale Campania 8 Luglio 2019 n. 13 “Norme in materia di riduzione dalle esposizioni alla radioattività naturale derivante dal gas radon in ambiente confinato chiuso”.

 

C’è un nesso tra tumore al polmone nel basso Lazio e il Radon?

Probabilmente si. Sono proprio i dati raccolti dall’ARPA a confermare notevoli concentrazioni di radon nelle cinque province del Lazio. 

 

 

 

 

 

 

 

 

Secondo l’ultimo Rapporto pubblicato nel 2018 dal Registro Tumori di Latina, nella nostra Provincia aumenta, rispetto al passato, il numero di casi di tumore, ma aumenta anche la sopravvivenza nei pazienti a 5 anni dalla diagnosi. I tumori più frequenti in provincia, nel totale di uomini e donne, risulta essere quello del colon-retto, con il 13,1% del totale di nuove diagnosi, di poco superiore al tumore della mammella (12,4% di tutti i casi), che però per il’ 98% compare nelle sole donne; segue il tumore del polmone (11,8% di tutti i casi). Durante il convegno organizzato dal Consiglio nazionale dei geologi, che si è tenuto nell’ottobre 2018 presso il CNR a Roma, è emerso che Il 10% dei tumori ai polmoni in Italia è attribuibile al gas radon, con 3.200 casi all’anno. Secondo Nicola Rotolo, dell’università degli studi dell’Insubria, “studi epidemiologici confermano che il radon nelle abitazioni aumenta il rischio di cancro del polmone tra il 3% e il 14%, in relazione alla concentrazione media del radon e il rischio aumenta esponenzialmente nei fumatori”.

Le attività della campagna di monitoraggio del radon indoor nella Regione Lazio, eseguite dall’ARPA, sono state svolte nell’ambito di due programmi portati a termine tra il 2003 e il 2011. Nel periodo 2003-2007, l’ ISPRA ha realizzato il progetto, finanziato dal MATTM, dal titolo “Qualificazione delle metodologie per la misura delle concentrazioni di radon e per l’individuazione delle zone a maggiore probabilità di alte concentrazioni di radon”, nell’ambito della Legge 93/2001 che ha visto l’esecuzione di un’indagine pilota sul territorio delle province di Roma e Viterbo. Successivamente, dall’esigenza della Regione Lazio è stata stipulata, nel 2008, tra l’ ISPRA e l’ARPA Lazio la “Convenzione per il completamento delle indagini volte alla individuazione delle zone a maggiore probabilità di alte concentrazioni di attività di radon nella regione Lazio”, al fine di estendere la campagna di monitoraggio alle restanti province di Frosinone, Latina e Rieti. Purtroppo le zone sono risultate con maggiore probabilità di alte concentrazioni di radon.

Vincenzo Giovine, vicepresidente del Consiglio nazionale dei geologi ha ricordato come la geologia può contribuire in maniera fondamentale nella riduzione dei rischi causati da tale gas. Uno studio geologico permette di definire le aree a maggiore concentrazione di radon. Dalla conoscenza della distribuzione e delle concentrazioni è possibile procedere a una programmazione degli interventi utili a mitigare gli effetti dannosi”. Per esempio, rileva, “a livello macroscopico si può indirizzare l’espansione urbanistica verso aree a minor concentrazione e a minor rischio, mentre a livello puntuale di singole abitazioni o fabbricati si possono fornire informazioni che permettano di utilizzare i sistemi più idonei a ridurre e minimizzare la pericolosità del radon”.

Ma è possibile ridurre la concentrazione del Radon nei luoghi chiusi?

Sono possibili diversi tipi di intervento per ridurre la concentrazione nell’aria del Radon come ad esempio la realizzazione di sigillatura dei pavimenti e delle pareti interrate con materiali non permeabili o poco permeabili al gas Radon; o la messa in sovrapressione dell’interno dei locali interessati rispetto all’ambiente esterno; la realizzazione di ventilazione forzata nei locali interessati o la messa in opera di sistemi di aspirazione che risucchino i gas provenienti dal suolo sottostante, limitandone la parte che raggiunge il pavimento e le pareti interrate.