Per comprendere la Pasqua cristiana e, successivamente, la divisione tra cristiani cattolici ed evangelici da una parte ed ortodossi dall’altra bisogna partire dai nostri “fratelli maggiori” gli ebrei, non dimenticando che Gesù di Nazareth lo era lui stesso. La Pasqua ebraica, istituita la sera che ha preceduto l’esodo dall’Egitto, è la festa annuale nel corso della quale gli ebrei ricordano l’attraversamento del Mar Rosso, che sancì la liberazione, per mano di Mosè, dopo 430 anni di schiavitù in Egitto. Vennero infatti condotti dal patriarca Mosè nella Terra Promessa, ovvero la Palestina, dopo un viaggio durato 40 anni attraverso il deserto. L’Ultima Cena era un pasto rituale che celebrava il Pesach, la Pasqua ebraica, in ricordo della fuga dall’Egitto. Si mangiava quel che gli ebrei anche oggi nella rimembranza mangiano: agnello arrostito, pane azzimo, vino, charoset (l’impasto a base di frutta fresca e secca che ricorda l’argilla con cui gli ebrei fabbricavano i mattoni in Egitto e nel quale durante il Seder di Pesach, la tradizionale cena pasquale, si intinge il Maror, l’erba amara. Esistono innumerevoli varietà di ricette del charoset, a seconda dell’area geografica di provenienza o delle tradizioni familiari), erbe amare in particolare la lattuga, usata come antipasto anche nei banchetti dell’antica Roma. La nostra Pasqua cristiana ha ragione d’essere nella Resurrezione di Gesù il Cristo, dopo la sua crocefissione nel venerdì santo antecedente alla domenica di Pasqua. I cristiani hanno celebrato tutti insieme la festività essenza stessa del cristianesimo sino al 1054, anno dello scisma degli ortodossi. Quest’ultimi ancora utilizzano il calendario giuliano, un calendario solare, cioè basato sul ciclo delle stagioni. Era stato elaborato dall’astronomo egizio Sosigene di Alessandria e promulgato nell’anno 46 a.C. da Giulio Cesare (da cui prende il nome), nella sua qualità di pontefice massimo. Il calendario gregoriano, invece, è quello adottato dai cristiani cattolici ed evangelici. Calendario solare ufficiale di quasi tutti i paesi del mondo, prende il nome dal Papa Gregorio XIII, che lo introdusse il 4 ottobre 1582 con bolla “Inter gravissimas”, promulgata a Villa Mondragone, presso Monte Porzio Catone. Da allora le nostre strade si sono divise nel festeggiare le maggiori solennità cristiane, Il Santo Natale i cattolici il 25 dicembre, gli ortodossi il 7 gennaio.
Anche i festeggiamenti della Pasqua differiscono: nel 2020 i cattolici domenica scorsa, gli ortodossi oggi 19 aprile, per i cristiani tutti è una sconfitta. Il Patriarca di Costantinopoli e il Patriarca di Mosca hanno scritto i loro auspici per la Solennità guardando alla pandemia da coronavirus: siamo fragili ma apparteniamo a Cristo, nessuna restrizione deve spezzare la nostra unità. Non c’è messaggio di leader, politico o spirituale, che oggi non legga le cose del mondo dalla prospettiva della pandemia. La Pasqua che le Chiese ortodosse festeggiano oggi parla della Risurrezione a un’umanità che, tra ansia e lutti, cerca orizzonti più ampi del tunnel dove si trova da mesi. Non si sottrae da questo dovere il Patriarca ecumenico Bartolomeo I che da Costantinopoli sostiene con chiarezza: “È difficile restare umani senza la speranza dell’eternità. Questa speranza vive nel cuore di tutti i medici, infermieri, volontari, donatori e di tutti coloro che prestano assistenza generosamente ai fratelli che soffrono con spirito di sacrificio, abnegazione e amore. Nel mezzo di questa crisi indicibile, essi profumano di resurrezione e speranza”. Osserva Bartolomeo I: “Il coronavirus ha dimostrato quanto fragile sia l’uomo, quanto facilmente lo domini la paura e la disperazione, quanto impotenti si rivelino le sue conoscenze e la sua fiducia di sé, quanto infondata sia l’opinione che la morte costituisca un evento alla fine della vita e che l’oblio o l’allontanamento della morte sia il suo giusto modo di affrontarla”. E afferma che pur tuttavia “apparteniamo a Cristo” e “la presenza del dolore e della morte, per quanto sia evidente, non costituisce la realtà ultima”. Da Mosca fa eco il Patriarca Kirill (da giovane ha studiato con profitto a Roma) che con sguardo concreto si fa interprete dei sentimenti dei fedeli privati della vita ecclesiale: “La fede dà la forza di vivere e, con l’aiuto di Dio, di sopportare vari mali, prove differenti, specialmente quelle che ci colpiscono oggi con la diffusione di un virus pericoloso”.
Il Covid-19 sta procurando al pianeta “prove straordinarie” ma, soggiunge, “siamo chiamati a mantenere la pace interiore, a ricordare le parole del Salvatore, pronunciate alla vigilia della sua Passione redentrice: Nel mondo avete tribolazioni, ma abbiate coraggio: io ho vinto il mondo. Nessuna restrizione esterna deve spezzare la nostra unità e toglierci l’autentica libertà spirituale acquisita dalla conoscenza di nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo”. In precedenza Papa Francesco ai partecipanti al III Ritiro mondiale dei sacerdoti, promosso dall’International Catholic Charismatic Renewal Services (Iccrs) e dalla Catholic Fraternity, aveva detto che con gli ortodossi siamo riusciti a litigare sulla diversità della data della Pasqua e aveva ridicolizzato il fatto immaginando un incontro tra un ortodosso e un cattolico; domanda e risposta: “Il tuo Cristo è risorto? Il mio invece risorge la settimana prossima”. La celebrazione unitaria della cristianità intera della Pasqua, infatti, avviene di rado e solo per coincidenza di fatti astronomici. Qualche studioso malignamente ha detto che da parte ortodossa si è preferito contraddire l’astronomia che andare d’accordo a suo tempo con il Papa di Roma. E oggi? Tutti noi augurando ai fratelli ortodossi una Santa Pasqua proviamo nel cuore un’infinita amarezza. L’anno prossimo 2021 i cattolici festeggeranno il 4 aprile, gli ortodossi il 2 maggio. Per favore Padri della Chiese cristiane fate presto; atterrisce il solo pensiero di dover rendere conto un giorno a Nostro Signore Gesù Cristo.