Certi incontri sono cosí casuali che ti domandi, è una coincidenza o un segno. L`ultimo, quello con Marco Buono, lascia il quesito insoluto, sollevando una nuova domanda. Ma quanta gente lascia Formia? Tanta, mi viene da pensare. Ma la storia di Marco è la storia di chi rincorre un sogno. Piccolo o grande che sia, se vuoi qualcosa, te la devi andare a prendere. E Marco ci sta riuscendo.
Lo incontro al Blues Bar di Londra. Sul palchetto allestito nello storico Ain’t Nothin But The Blues Bar a Carnaby St il suo volto familiare mi colpisce. Il suono che esce dalla chitarra sa di sorpresa ed emozione. Dopo il concerto, l`affronto al bar mentre un altro gruppo si avvicenda sul palco. “Ci conosciamo?” Lo confondo, per poi per metterlo a suo agio con il classico “Di dove sei?” “Italia” abbrevia. “Da dove?” Insisto.
“Formia”.”Noooo!” gli rispondo dietro.
Si crea subito sintonia. Sarà la birra, sarà la comune appartenenza geografica, sarà il piacevole clima del Blues Bar, Marco Buono, non solo nel cognome (Nome omen), mi racconta come è arrivato fin lì. Come ha fatto della musica, la sua passione, il suo mestiere.
“La prima volta che ho incontrato il blues ero in campeggio con gli amici. Quest’uomo che non conoscevo e che non avrei mai più rivisto, mi dice: `Saresti bravo col blues`. È stato come una iniziazione”, prova a convincermi, collegando i puntini che poi lo avrebbero portato a fare quello che fa oggi … il bluesman.
“Conoscevo già il blues, in effetti – racconta -. Mio zio era solito imbarcarsi per lavoro, quindi sono stato abbastanza fortunato da ricevere i vinili della musica di tutto il mondo. È così che ho scoperto il blues, è stato come una chiamata”.
Suona da prima tra Formia e Gaeta. Qui viene influenzato anche dai richiami della cultura americana che negli anni `90 echeggia nella comunità gaetana. Spesso si intrufola con gli amici nel `campo degli americani`, dove ne assorbe le influenze. Per Marco, la musica è un luogo sicuro, un riparo nell`adolescenza e maturità.
“Vengo da una famiglia che ha dovuto superare molte avversità, e in questo, la chitarra è sempre stato il mio posto sicuro”. Continua a suonare con gli amici nei bar e negli eventi locali. Ma Formia non gli stava offrendo il giusto “palcoscenico” per crescere musicalmente.
“Per questo mi sono trasferito a Roma per lavoro. Dovevo pagare le bollette e pensavo di poter studiare musica lì. Ma mi sbagliavo. Riuscivo a malapena a cavarmela”.
“A quel tempo ero innamorato di una ragazza che divenne rapidamente il mio mondo. Suonare però diventava sempre più difficile. Volevo preservare quell’amore e continuare a lottare per la musica. Ecco perché mi sono trasferito in Germania”.
“Prima mi sono fermato a Francoforte, poi a Norimberga dove mi è stato offerto l’ultimo piano della caffetteria dove lavoravo. Ero disperato e avevo davvero bisogno di soldi. All’inizio mi sentivo triste, ma lentamente le cose sono migliorate. Ho iniziato a risparmiare perchè volevo che la relazione con la mia ragazza, pur se a distanza, funzionasse ”, mi racconta, prima di scivolare in un triste ricordo. “Sarei tornato molto presto a Roma, quando ho ricevuto la sua telefonata che mi diceva che non avrebbe poteva farcela”. A distanza non avrebbe funzionato.
“Questo è blues” si ravviva. “Il blues vive nei sentimenti. Non importa se buono o cattivo. Basta sentirlo, viverlo”.
“A quel punto della mia vita – rammenta dopo un sorso di birra – la chitarra era l’unica cosa rimasta. La mia unica compagnia”. Succede, però, a quel punto che un incontro dà una svolta alla sua carriera.
“È in quel momento che ho incontrato per la prima volta un armonicista. È stato un incontro fondamentale, che ha plasmato il mio stile. Avrei sempre avuto una simile collaborazione, ma è stata una fortuna averla in quel momento”.
Si tratta di una collaborazione fugace, ma che lascia il segno. Ma è già tempo di cambiare. Prossima fermata a Berlino e … un nuovo incontro, Willy.
“Willy è stato per me come un mentore. Mi ha sempre incoraggiato. `Suona questo, ascolta quello` e ogni conversazione finiva con lo stesso invito, `Vai a Londra, ascoltami. Tu appartieni a Londra`”.
“Ma non c’erano abbastanza soldi per il trasferimento”. Ma la capitale inglese era più vicina di quello che Marco poteva immaginare, esattamente ad una fermata di distanza da … Formia.
Le cose a Berlino, infatti, si mettono male. Marco è colto da una sorta di crisi per la quale solo un posto fa al caso suo. Formia, appunto. Qui, Marco si ristora per quella che sarebbe stata la nuova meta.
“Non mi aspettavo cosa sarebbe successo dopo. Ricevo una chiamata da Londra. Era un mio caro amico che mi dice: `Vorresti unirti alla mia band?`. Non ho esitato. Ho detto di sì”.
“Posso dirti – mi racconta – che è stata una specie di svolta. A Londra, c`era solo la musica. C’era solo blues. Mi sono abituato a lunghe ore di esercizio, pratica e musica in strada. Fino a nove ore al giorno”, ha ricordato. “Al chiuso o all`aperto, al sole o con la pioggia”.
E` in questo preciso istante che Marco realizza che il sogno di fare la musica una professione, prende forma. “Londra mi ha cambiato la vita per sempre. Ricordo ancora chiaramente tutto quello che ho passato, ma alla fine ho ottenuto quello che volevo davvero: vivere di musica”.