Che il vino faccia buon sangue lo sanno tutti e lo sapevano anche i nostri antenati che lo producevano, grati di una terra fertile capace di garantire ricche vendemmie. L’Italia d’altronde, come ha riportato il Sole24 Ore, nel 2018 è tornata ad essere leader mondiale nella produzione di vini, stimando una produzione di ben 55,8 milioni di ettolitri. Il vino è prodotto in quasi tutte le regioni d’Italia (Umbria, Emilia Romagna, Piemonte, Lombardia, Trentino Alto Adige, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Toscana, Campania, Puglia e Lazio) alcune delle quali possono vantare vini a denominazione DOCG, DOP o IGP, ossia marchi di qualità in base alla denominazione di origine/indicazione geografica, ai confini della denominazione/indicazione, alle tipologie di coltivazione della vite, alla resa massima per ettaro e alla gradazione alcolica. I fattori che fanno la differenza, e ovviamente ne determinano la qualità e il prezzo, sono l’annata, il produttore, il vitigno e la regione di produzione. Pensiamo al Barolo, al Chianti, all’Amarone, al Prosecco, al Montepulciano, al Primitivo di Manduria o al Franciacorta, considerate eccellenze in tutto il Mondo. Tra i vini DOCG anche tre vini del Lazio: uno rosso, il Cesanese del Piglio, prodotto in alcune zone della Provincia di Frosinone e due bianchi: il cannellino di Frascati e il Frascati Superiore, prodotti in alcune zone della provincia di Roma. Inoltre nella nostra Provincia viene prodotto il Moscato di Terracina Dop, un vino bianco possibile nelle varianti secco, amabile, passito e spumante, prodotto nei vigneti delle zone di Monte San Biagio, Terracina e Sonnino. Mentre sono tante le produzioni I.G.P (indicazione geografica protetta), in quanto la Provincia di Latina è una delle aree vitivinicole più importanti della regione Lazio.
Tra i tanti vini I.G.P, quello di Ponza, che grazie alle condizioni pedoclimatiche dell’isola, è stato definito “unico”. La storia dell’azienda agricola “Antiche Cantine Migliaccio” di Ponza nasce nel 2000, grazie ad Emanuele Vittorio e sua moglie Luciana Sabino, che hanno deciso di riprendere a coltivare l’antico vigneto dell’omonimo antenato di Emanuele Vittorio. Infatti la storia del vigneto risale al 1734, anno in cui Carlo di Borbone colonizzò l’isola assegnando in “enfiteusi perpetua” vari appezzamenti di terra ai coloni partenopei, assegnando a Pietro Migliaccio, proveniente da Ischia, la zona del Fieno. Pietro Migliaccio portò da Ischia i vitigni tipici: Biancolella, Forastera, Guarnaccia, Aglianico e Piedirosso, e sono questi gli antichi vitigni a piede franco che Emanuele Vittorio, nipote di Benedetto Migliaccio, ha riportato a nuova vita, salvandoli dagli sterpi che avevano già invaso i filari. Oggi l’azienda, avvalendosi della straordinaria professionalità dell’enologo Vincenzo Mercurio, produce da vent’anni quattro vini, i tre Fieno di Ponza Bianco, Rosso e Rosato IGP e il Biancolella IGP, che prendono il loro nome dalla località in cui sono situati in tre ettari di vigneti, Punta Fieno, una zona difficile da raggiungere via terra e via mare, e per questo incontaminata e preservata dal turismo di massa. Durante i giorni di vendemmia l’isola si dipinge ancor più di poesia perché amici di famiglia e ponzesi, si ritrovano per raccogliere l’uva e terminata la giornata, a passare divertenti ore insieme a tavola. Una volta mosto viene trasportata da due asini, dal Fieno alla cantina del Pizzicato, dove il carico viene trasferito. Ora le diecimila bottiglie di Fieno di Ponza e di Biancolella sono pronte per raggiungere pochi degustatori esperti.
Cosa permette al vino di Ponza di distinguersi da altri vini come quelli, ad esempio, di Formia o Gaeta?
Quello che rende unico il nostro vigneto è la qualità dell’uva importata dalla Campania, appunto dai nostri avi, quindi la nostra uva non essendo quella autoctona si distingue e da quelle di Formia o Gaeta. Inoltre le proprietà del terreno e la sua esposizione al sole conferiscono un sapore unico alla nostra uva. Ho scoperto tutto questo man mano che andava avanti questa passione per il ripristino del vigneto.
Come mai è stato abbandonato e perché avete deciso, vent’ anni fa, di ripristinare l’antico vigneto?
Ho molti ricordi della mia infanzia in questa isola e soprattutto nel vigneto, siamo stati sfollati a Ponza e ricordo vivevamo senza elettricità accendendo la sera una lampada a petrolio. Poi siamo tornati a Napoli dove ho frequentato le scuole e l’Università, infine dove ho svolto la mia professione di medico. Quando ho ereditato il vigneto e sono tornato a Ponza ho sentito subito la voglia di farlo rinascere, cosi, avvalendomi di esperti e soprattutto della straordinaria competenza dell’enologo Vincenzo Mercurio, ho scoperto la storia del vigneto e ho cominciato a fare il vino: 300 litri. Ci siamo appassionati, abbiamo iniziato ad acquistare i terreni abbandonati vicino al nostro e alla fine abbiamo creato un vigneto di tre ettari. Tanti sono i costi e i problemi che abbiamo, come il venir meno costantemente dei terrazzamenti che dobbiamo rifare spesso, ma ad aiutarci ci sono straordinarie persone che amano questa terra, come Salvatore e Antonio, i due contadini sempre pronti a ripristinare i terrazzamenti e senza i quali questo vigneto non sarebbe lo stesso. Inoltre ogni ristorante dell’isola ha una mia bottiglia e sento di aver creato assieme ai ponzesi qualcosa di antico e magico, come il mio vigneto. Ovviamente la commercializzazione è molto ristretta essendo poche bottiglie ma tanto non è questo il mio obiettivo.
Cosa sperate per il futuro del vostro magico vigneto?
Ma non sappiamo cosa ci riserva il futuro, già il fatto di fare il vino è stato qualcosa che non avrei mai immaginato nel mio futuro. Sicuramente spero che questa mia passione possa essere portata avanti e che il vigneto continui ad esistere per sempre.